Traduzione: I Fondamentali nella scherma


 

 

 

 

Introduzione

Concetto di sistema-schermitore

Rapporto tra schermitore e attrezzo

La guardia

La deambulazione sulla pedana

Raggiungimento spaziale del bersaglio avversario

La misura

Siti spaziali attorno ai bersagli 

Conclusioni 

 

 

 

Introduzione

 

            Nella formazione e nell’allenamento dello schermitore la teoria schermistica contempla due parti ben distinte: i fondamentali personali  e il rapporto con l’avversario.

            Quest’ultimo ovviamente costituisce l’escatologia della scherma ovvero il suo fine ultimo, che è naturalmente quello di riuscire a prevaricare l’avversario che ci si trova di fronte sulla pedana.

            Ma prima di poter affrontare l’antagonista in un libero assalto è necessario, anzi indispensabile, essere in possesso di tutta una serie di conoscenze e di abilità motorie relative alla gestione del proprio corpo; questi sono i cosiddetti fondamentali della tecnica schermistica.

            Qui di seguito affronteremo mano a mano i singoli argomenti che riguardano questa specifica preparazione al combattimento.

            Innanzitutto esordiremo con la trattazione in generale del concetto di sistema-schermitore.

            Passeremo poi ad esaminare il rapporto che si deve instaurare tra schermitore ed attrezzo arma, fioretto-sciabola o spada che sia.

            Parleremo quindi della guardia come postura di attesa per lo sviluppo dei colpi.

            Dedicheremo un capitolo allo specifico problema della deambulazione sulla pedana.

Ci concentreremo poi sul problema del raggiungimento spaziale del bersaglio avversario.

            Analizzeremo di seguito la problematica relativa alla misura, ovvero alla distanza intercorrente tra i rispettivi bersagli

            Concluderemo la serie di argomenti esaminando alcuni siti spaziali presenti attorno allo schermitore in guardia.

            Il cammino, come si vede, non è breve; tra l’altro avverto che le problematiche relative ai vari punti indicati non saranno compiutamente approfondite, ma solo accennate o poco più. In effetti altri miei lavori sono già entrati nei dettagli degli argomenti qui trattati e, laddove lo si ritenga opportuno, possono essere consultati per sviscerare i singoli argomenti: “LO SPAZIO E IL TEMPO NELL’ASSALTO DI SCHERMA” e  “ELEMENTI DI GEOMETRIA E FISICA NELL’APPLICAZIONE DELLA TEORIA SCHERMISTICA” (entrambi nella rubrica LIBRI DA SCARICARE del sito passionescherma.it)   –    “MICROSCOPIO SU ASPETTI TECNICI”  –  “FISICA E GEOMETRIA NELLA SCHERMA” (entrambe rubriche specifiche presenti nel sito poco sopra citato)

            Quindi questo mio lavoro sui “ Fondamentali della scherma” avrà prevalentemente una funzione di estrapolazione e di trattazione di concetti  di carattere generale; non saranno comunque disdegnati approfondimenti su aspetti tecnici di particolare valore e significato.

 

  

 

Concetto di sistema-schermitore

 

            Iniziando a parlare della formazione di uno schermitore, è importante se non proprio essenziale, aver presente innanzitutto il concetto di sistema, cioè di un qualcosa inteso come connessione di elementi in un tutto organico e funzionalmente unitario.

            In questo senso ci può aiutare un esempio: quello di un autoveicolo, cioè di un mezzo progettato per il trasporto di persone e oggetti; mezzo al quale nel corso del tempo sono stati aggiunti specifici accessori per facilitare e rendere sempre più efficiente il mezzo: fari per vedere al buio, clacson per segnalare la presenza, sino all’aggiunta oggigiorno di airbag per la sicurezza e navigatore satellitare.

            Parimenti allo schermitore si insegna ad impugnare e gestire un’arma bianca, si insegna a stare in guardia, a spostarsi sulla pedana e tante altre cose utili senza ancora la presenza ostile dell’avversario sulla pedana.

            E questo è solo il supporto fisico a quella che è la sua attività mentale pregressa: osservare, cogitare ed elaborare il da farsi di fronte ad un antagonista  che si comporta esattamente come lui; tutto ciò ovviamente e meravigliosamente in competizione tra loro.

            Cosa voglio dire con questo: che ogni insegnamento che si trasmette al neofita va inquadrato in una costruzione progressiva di un tutt’uno, cioè appunto di un funzionale sistema-schermitore, che sarà utilizzato nella sua globalità durante lo scontro di pedana; e questo aspetto, naturalmente in relazione all’età del neofita, va fatto recepire come metodo di apprendimento.

            In altre parole: deve essere subito chiaro per il nuovo schermitore che ogni difettosa applicazione di un gesto tecnico non potrà non avere delle necessarie ricadute su aspetti concorrenti; ad esempio, per semplificare, una guardia troppo larga consentirà ovviamente un affondo minore rispetto a quello potenziale. Questo come una parata troppo distante dal proprio corpo ritarderà la relativa risposta, come una spalla non in linea rispetto all’altra andrà ad alterare la normale linea d’attacco o come un affondo eccessivo renderà progressivamente più difficoltoso il ritorno in guardia.

            In conclusione nel sistema-schermitore numerosissime sono le interconnessioni tra le posture fisiche delle singole parti del corpo, per non citare poi anche quelle relative alla ricerca e all’elaborazione della contraria sia in attacco che in difesa.

            Questo è, secondo il mio parere, l’aspetto più importante relativo ai cosiddetti Fondamentali” della scherma: in linea di principio tutto dovrebbe essere registrato al meglio, al fine di garantire la piena potenzialità di cui è possessore ogni schermitore e questo ad ogni livello della sua maturazione tecnica.

            Non è da trascurare anche un importante fatto: mentre con l’avversario ci si contrappone e questo costituisce l’essenza dello scontro, nei Fondamentali non siamo in competizione con nessun’altro tranne che con noi stessi. In altre parole con il primo si combatte e basta, mentre con noi stessi dovremmo avere ampia facoltà di parola e di intervento.

            Ecco perché, in relazione ai suoi Fondamentali, ogni schermitore dovrebbe essere con se stesso il più intransigente possibile: ogni errore, piccolo o grande, che si concede, poi lo paga in ciò che più conta, cioè in competitività con l’avversario di turno. Lo sappiamo bene che a noi umani la perfezione non è concessa, ma non è affatto vietato, anzi è auspicabile al massimo, che invece ci si sforzi sempre di protendersi verso essa: il ricordarselo, il sorvegliarsi di continuo e il cercare di migliorarsi costituisce già una forza di per se stessa; avere la coscienza a posto dà sicuramente una spinta in più.          

            Nei Fondamentali ogni schermitore dovrebbe continuamente osservarsi con occhi critici, più critici del maestro più severo.

            In quest’ottica fondamentale è il messaggio, accanto alla nozione tecnica, che può dare l’insegnante: una buona didattica è quella consistente nel far sperimentare direttamente all’allievo gli effetti negativi di un’applicazione errata delle informazioni.

            In effetti per l’acquisizione profonda e critica di un insegnamento il problema non è solo quello di riuscire ad applicarne correttamente gli estremi, ma anche e soprattutto quello che praticamente poi ne dimostra l’attendibilità e la veridicità.

            A questo proposito di esempi, anche buffi, se ne possono fare a bizzeffe: chiedere all’allievo di aumentare a dismisura l’ampiezza della guardia e poi invitarlo a fare veloci successioni di passi avanti o indietro; oppure invitarlo ad inclinare esageratamente la linea delle sue spalle in avanti o all’indietro e poi vedere dove finisce il suo braccio armato.

            Il problema è che durante il combattimento lo schermitore è completamente assorto nel confronto con l’avversario, per cui non ha soverchio tempo per tenere sotto controllo la qualità dei suoi fondamentali: la sua R.A.M. è interamente occupata altrove, contro il cosiddetto nemico. In effetti sui propri Fondamentali si può lavorare soprattutto quando si è soli su una pedana nel proprio club, aiutati magari dal maestro, ma soprattutto supportati dalla propria caparbietà e dalla propria forza di volontà.

            Consapevoli, o resi tali, del fatto che il rispetto di un dettame tecnico non rappresenta un valore formale di una norma astratta, ma, proprio al contrario, un contenuto di natura assolutamente pragmatica, verificata nel tempo e sancita nei trattati di una certa epoca. Quindi non estetica, ma pura efficienza.

            Un ultimo concetto: come accennato poco sopra, lo schermitore, come ben sappiamo, unisce prestazioni di carattere fisico a prestazioni di carattere mentale.

            Il fatto di sentirsi efficiente nei Fondamentali, naturalmente nei vari gradi di evoluzione riguardanti ciascuno, è corroborante per lo spirito dello schermitore, che, non occorre ricordarlo, esiste solo perché è un combattente in perenne antitesi con l’avversario di turno.

            Non solo: ma la piena conoscenza della potenzialità di alcuni propri  Fondamentali, penso ad esempio a quelli relativi alla mobilità sulla pedana,  è di importanza fondamentale per una corretta impostazione dell’assalto: ad esempio un raffronto con la velocità dell’antagonista deve assolutamente portare ad un’idonea registrazione dell’importante variabile costituita dalla misura.

            Molto di ciò che lo schermitore pensa ed esegue durante l’assalto è interconnesso: come abbiamo visto talvolta fili nascosti collegano aspetti pur diversi della sua prestazione; suo interesse è quello di mantenerne il più attento controllo.

In ultima analisi l’assetto dello schermitore deve costituire un insieme armonico, dove ogni singola parte si rapporta in modo ottimale a quelle direttamente collegate e, tutte insieme, ad un unico principio di massima efficienza.           

            E, come vedremo nel proseguo della nostra indagine, in questa armonia talvolta si affermerà il principio della contemporaneità dei movimenti, talvolta invece quello della precedenza di una gestualità rispetto ad un’altra; ciò a testimonianza che i Fondamentali non rappresentano un qualcosa di statico, ma al contrario un insieme di valori che vanno continuamente tenuti sotto controllo e registrati al meglio.

            Ecco cosa rappresenta a mio giudizio il sistema-schermitore.

 

 

 

Rapporto tra schermitore e attrezzo

 

            L’arma bianca costituisce un attrezzo e di conseguenza risulta fondamentale per lo schermitore  il suo miglior utilizzo. In effetti l’attività del braccio armato risulta fondamentale ancor prima di entrare in competizione con quello corrispettivo dell’avversario: mentre agli arti inferiori è demandata l’attività di deambulazione e di proiezione in avanti in occasione dell’attacco e al braccio non armato solo attività complementari, la punta e la lama dello schermitore devono poter sprigionare tutta la loro potenzialità esecutiva di per se stessa.

            Le problematiche connesse a questa efficienza sono: il modo di rapportarsi fisicamente all’attrezzo stesso, il modo di gestirlo e l’applicazione della forza muscolare nella sua gestione.

            La prima questione, come in elenco, riguarda specificatamente come impugnare l’arma e a questo proposito possiamo prendere in considerazione due temi:  l’esame di alcuni principi di carattere generale e la diversa tipologia dei manici esistenti.

            I primi si rifanno alla necessità di un adeguato contatto tra la mano dello schermitore e la parte dell’arma ad esso deputata: in effetti, nell’insieme della presa della mano, alle singole dita è demandata una diversa funzione: l’indice da sotto fornisce il maggior supporto – il pollice serra dall’alto – il medio serra di lato – anulare e mignolo svolgono funzioni di ancoraggio supplementare; le dita-guida sono le prime tre e ad esse deve essere affidata maggiormente la gestione e il movimento dell’arma.

            Nel tempo e secondo anche scuole tra loro contemporanee si sono mano a mano affermate per l’utilizzo del fioretto e della spada certe tipologie di manico (per la sciabola come ben sappiamo ne esiste un’unica forma): per ultime riscontriamo l’ormai quasi universale manico cosiddetto anatomico (con gli alloggiamenti per le dita della mano) pur nelle sue numerosissime variazioni ed il manico francese denominato liscio (senza appunto alcun appiglio). Alla fine degli anni 60 intanto era andato definitivamente in pensione il manico italiano, quello più grazioso ed estetico con il gavigliano, il ricasso ed i caratteristici doppi archetti.

            Inutile precisare che un determinato tipo di manico facilita una certa tipologia di colpo, rendendone in parallelo più complicata un’altra: si tratta in effetti solo di scelte di carattere personale dello schermitore.

            Passiamo ora ad esaminare il modo di gestire l’attrezzo-arma.

            L’intero braccio armato partecipa con tutte le sue sezioni: della mano abbiamo appena finito di disquisire, ora si tratta di incentrare la nostra attenzione sull’avambraccio e poi sull’intero braccio.

            Il primo si deve far carico, attraverso la rotazione sul suo asse, di configurare il cosiddetto pugno più idoneo in relazione alla linea sia di penetrazione che di difesa: così, ad esempio, la parata di quarta è facilitata da una sua parziale rotazione verso l’interno della guardia, come invece una parata di terza verso l’esterno.

            L’intero braccio, oltre che essere di complemento agli spostamenti dell’avambraccio, è da utilizzarsi anche come spostamento spaziale della punta e della lama: in avanti per lo sviluppo del colpo o comunque della sua finta oppure all’indietro per guadagnare spazio nella difesa col ferro oppure nel corpo a corpo.

            Parliamo ora dell’applicazione della forza muscolare nella gestione dell’arma.

            Resa superflua l’eccessiva forza prima necessaria in relazione ad armi pesanti e pesantissime, vista la loro nuova leggerezza, si è per contro affermato il valore della velocità: quindi applicazione della forza al minimo necessario per facilitare sia i tempi di spostamento del ferro, sia il miglior controllo di quest’ultimo. Nello specifico la cosiddetta stretta in tempo della mano che aumenta solo temporaneamente l’energia muscolare in occasione di battute sul ferro eseguite oppure patite; e la doverosa assenza del concorso di forza prodotta dalla spalla nella conduzione del ferro, che produrrebbe solo ritardo esecutivo dell’azione e, con il suo conseguente irrigidimento, una probabile imprecisione di colpo finale.

            Come argomento conclusivo tratterei quello dell’allenamento del braccio armato.

            Va da sé che, pur esattamente impostato, questo arto avanzato dello schermitore, spingiamoci pure a definirlo il suo pungiglione,  affinché sia in grado di svolgere adeguatamente la sua funzione ha necessità di esercizio assiduo e continuo, quindi essenzialmente di tempo: prova, riprova, correggi, registra sono solo alcune delle parole chiave per giungere a padroneggiare al meglio la propria arma. Si parte dal famoso “bastone”, che il neofita percepisce nel corso delle primissime lezioni, per arrivare, mano a mano con pazienza e ancora con pazienza, a quel sentiment du fer, che costituisce l’ideale raggiungimento della perfetta fusione del proprio arto con l’arma che si impugna; una sensibilità che qualche maestro (del passato) favoleggiava portasse addirittura ad intuire, tramite impalpabili vibrazioni ed evanescenti pressioni, le intenzioni dell’avversario.

 

 

 

La guardia

 

            Ogni tipo di confronto con un avversario presuppone una postura corporea di attesa che risponda a vari tipi di esigenza; la scherma probabilmente ne è uno degli esempi più classici e richiamati.

            Il primo concetto, pur ovvio, è quello che il corpo dal suo normale ed ordinario atteggiamento si ponga in una particolare posizione, sia nel suo insieme che nelle sue singole parti.

            Per il fatto che il combattimento non avviene da fermo cioè da una posizione statica, ne discende l’esigenza di assumere una postura che faciliti un rapido  spostamento in avanti e all’indietro: ecco che le gambe si flettono adeguatamente, né troppo né troppo poco, per incamerare un’idonea energia potenziale da utilizzare appunto per deambulare con la massima velocità possibile.

            Per il fatto di doversi proiettare velocemente in avanti e raggiungere un bersaglio dell’avversario che doverosamente si tiene a debita distanza, la guardia impone che il corpo si profili debitamente rispetto all’antagonista: ecco che da tale postura, aprendo il compasso delle gambe, si produce il più ampio e veloce avanzamento spaziale possibile. Tra l’altro, defilando il proprio corpo, si offre meno bersaglio al colpo dell’avversario, che è addirittura costretto a spezzare il proprio pugno armato per procurare un miglior angolo di incidenza alla propria linea d’attacco.

            Per il fatto che l’intero corpo in guardia possa esprimere al meglio le proprie potenzialità sia offensive che difensive la guardia deve ossequiare principi fisici di equilibrio statico e dinamico: ecco che il peso del corpo va ripartito equamente tra i due arti inferiori per assicurare la migliore qualità dell’assetto e dello spostamento; ecco che tra i due piedi deve esserci la giusta distanza; ecco che le spalle devono giacere su una linea parallela al terreno per dare il giusto orientamento al lavoro del braccio armato; che il piede avanti sia propriamente indirizzato verso l’antagonista per imporre l’idonea deambulazione in avanti e all’indietro e per indirizzare l’apertura del compasso delle gambe nella migliore direzione verso l’antagonista.

            Per il fatto che tutta la globalità dello schermitore partecipa allo scontro, la guardia riserva anche al braccio non armato, qualunque sia la postura in cui lo si tenga, la duplice funzione di concorso nello slancio in avanti del colpo e di riequilibrio in occasione del ritorno in guardia.

            Questi, pur abbozzati senza estrema precisione, sono i canoni della teoria schermistica; poi la realtà è un’altra.

            Se ne volete una prova certa è sufficiente andare ad una gara di seconda fascia tecnica oppure in una sala di una certa importanza: non troverete mai uno schermitore in guardia uguale ad un altro in quanto ognuno interpreta questo Fondamentale e lo personalizza, talvolta anche troppo liberamente.

            Le cose invece cambiano e non di poco se avete la possibilità di osservare le gare più importanti, Campionati del mondo se non proprio i Giochi Olimpici: con le dovute eccezioni, qui i canoni della guardia sono molto ossequiati; il motivo è che l’esperienza di questi schermitori di vertice ha consentito loro di capire che certe istruzioni dei trattati non corrispondono a valori estetici ed edonistici, ma, al contrario, a posture essenzialmente funzionali, che garantiscono la massima efficienza sulla pedana.

            Costruita comunque la sua postura di guardia, lo schermitore può fruire di una rassicurante postazione dalla quale poter svolgere l’attività di un combattente che non agisca puramente a caso: osservare il nemico catalogandone le caratteristiche, ricercare nel proprio bagaglio tecnico le contrarie più idonee alle varie potenziali situazioni, difendersi dall’attacco accogliendolo nella migliore situazione possibile, attendere di eseguire il proprio attacco nell’istante e alla misura più conveniente.

            In effetti anche il linguaggio comune riassume tutte queste esigenze nella nota frase: “Stai in guardia”.

            In esordio ai “Fondamentali della scherma” vi ho intrattenuto sul concetto di sistema – schermitore, cioè della sommatoria di tutto un insieme di funzionalità che deve soprassedere in modo armonico all’attività di combattimento. Ecco, la guardia costituisce il nucleo centrale di questa teoria, la colonna portante per la migliore realizzazione di tutti i colpi contemplati dall’attuale teoria schermistica.

            Una volta alle gare più importanti delle giovani leve, probabilmente stenterete a crederlo, al di là della normale classifica si assegnava anche un premio per lo stile; sicuramente un lodevole tentativo di educare i giovanissimi, indirizzandoli al rispetto del canone come ricerca della propria massima funzionalità.

            Oggi sono comunque altri tempi e non solo nelle sale di scherma: si deve ottenere tutto e subito; qualunque mezzo è buono soprattutto se celere al massimo, con buona pace del celebre Machiavelli.

 

 

 

La deambulazione sulla pedana

 

            Come ben sappiamo la scherma non è uno sport statico, tutt’altro: dopo l’a-voi i combattenti sono in perenne movimento e questo per tre motivazioni abbastanza evidenti.

            La prima è che quasi sempre ciascuno di essi congettura una misura diversa, misura che dipende dalla corporatura, dalla velocità o da contingenze di natura tecnica; il tutto poi non in valore assoluto, bensì in valore relativo, cioè in rapporto alle effettive caratteristiche degli schermitori in pedana.

            La seconda fondata sul concetto che un bersaglio fermo è più facilmente aggredibile di uno in movimento; quindi ci si muove di continuo per non dare all’avversario facili riferimenti spaziali, ci si muove per cercare di difendersi nel senso di rendere più difficoltoso l’attacco dell’antagonista.

            La terza sull’ovvia considerazione che un attacco che parte da una posizione statica è più rapidamente percepibile di uno che invece si nasconde dietro un continuo movimento di avanzamento – arretramento.

            La deambulazione in avanti e all’indietro è un elemento imprescindibile della sfida che si celebra sulla pedana.

            Da tutto ciò discende la grande importanza per lo schermitore di sapersi e potersi muovere in tutte le direzioni.

            In avanti per avvicinarsi quanto più è possibile all’antagonista, rubandogli misura come si dice in gergo, per poi scatenare prontamente l’attacco premeditato oppure quale strumento compensativo per superare una marcata differenza di altezza tra i due contendenti (mentre ad uno è sufficiente l’affondo, all’altro è necessario ricorrere al passo avanti-affondo); all’indietro, al contrario, per rendere inoffensivo l’attacco dell’avversario applicando la cosiddetta difesa di misura (in gergo sciogliere misura) o quantomeno per smorzarne l’impeto.

            La tecnica schermistica, com’è noto, offre un ventaglio di soluzioni: passo patinato, balzo, passo incrociato. Non è da dimenticare il fatto che nella specialità della sciabola, al fine di limitare la tendenza agli attacchi arrembanti, viene sanzionato chi, avanzando, antepone il piede dietro a quello avanti.

            Legge della scherma: non esiste la soluzione migliore, esiste solo la soluzione più idonea al caso specifico; ad esempio il passo patinato, impegnando meno muscolarmente gli arti inferiori, ovviamente è suggerito per lo sviluppo di azioni complesse tipo quelle composte; invece il balzo, affidandosi ad una vera e propria esplosione di energia, si accompagna meglio ad azioni di minore cesellatura tecnica; il passo incrociato, soprattutto se eseguito in successione, indubbiamente crea dei pericolosi intrecci tra gli arti inferiori, ma all’occasione, ad esempio una chiusura nella specialità della spada, lo schermitore esperto non lo rifiuta certo.

            Fondamentale è essere in grado di sintonizzare la deambulazione con l’azione del braccio armato: in attacco per risparmiare un tempo tecnico, ad esempio nel passo avanti affondo l’allungamento del braccio in concomitanza con l’esecuzione del passo; in difesa per effettuare una corretta parata coordinandola con il passo indietro. Con questi concetti torniamo alla visione dello schermitore concepito come sistema globale operativo, visione per la quale rimandiamo a quanto detto in precedenza.

            Passando oltre, la capacità di deambulazione sulla pedana risulta molto importante anche per motivi tattici: realizzando una pressione costante in avanti si può costringere l’avversario alle corde, che nella scherma significa farlo avvicinare pericolosamente al limite posteriore; in questa situazione spaziale estrema, quando magari l’antagonista non può più arretrare, le sue reazioni in quanto più indotte, diventano più prevedibili e quindi possono facilitare ad esempio l’impostazione di un controtempo. In questo caso l’avanzamento diventa un tassello fondamentale di un certo tipo di colpo.

            La deambulazione gioca un ruolo determinante anche nel noto meccanismo denominato contropiede: il balzo indietro, caricando le gambe e sbilanciando leggermente il corpo in avanti, consente di effettuare subito dopo una veloce frecciata di aggressione sull’avversario proprio nel momento per lui più impegnativo del ritorno in guardia, quando sistema muscolare e indotti riequilibri fisici lo assorbono grandemente.

            A conclusione una citazione storica, credetemi non per sfoggio di cultura, ma solo per esemplificare adeguatamente l’argomento : Quinto Fabio Massimo Verrucoso, Console romano che nel terzo secolo A.C. combatteva contro Annibale, per la sua tattica militare fu denominato il Cunctator, che tradotto nella nostra lingua significa il temporeggiatore. In pratica produceva un attacco tanto violento quanto soprattutto veloce, per poi ritirarsi e attaccare nuovamente in un altro punto dello schieramento nemico, seguito da un altro attacco in altra parte e così di seguito, senza mai farsi coinvolgere in uno scontro decisivo; ciò che gli consentì la vittoria finale fu proprio la sua capacità di spostamento veloce da un punto all’altro del territorio. Ora, se Quinto Fabio Massimo con il suo esercito in tal modo vinse la guerra contro Annibale, uno schermitore contro un solo avversario può ben vincere il suo match!

            In ultima analisi lo schermitore rappresenta un’intelligente macchina da guerra in movimento perpetuo.

 

 

 

Raggiungimento spaziale del bersaglio avversario

 

            Uno dei problemi fondamentali dello schermitore è quello di poter raggiungere un bersaglio dell’avversario: in effetti, reciprocamente, ognuno dei due combattenti si tiene ovviamente alla distanza che ritiene personalmente necessaria per avere il dovuto tempo di reagire all’attacco antagonista.

            Quindi, pur non trovandosi ancora nel match reale, lo schermitore ha la necessità di inserire nei suoi fondamentali la miglior tecnica per riuscire a protendersi al meglio in avanti.

            Interessante è il fatto che, dopo essere riuscito ad eludere l’attività del braccio armato antagonista cioè in una parola la sua difesa col ferro, c’è sempre il problema residuo del raggiungimento di una parte del suo corpo. Quindi nella teoria schermistica il concetto di attacco ha due aspetti: uno relazionale col ferro antagonista ed uno squisitamente di ordine spaziale.

            Abbiamo già considerato in precedenza che una buona parte delle ragioni che inducono a stare in guardia come oggi è d’uso risiede nel fatto di essere nelle migliori condizioni possibili per riuscire a superare la cosiddetta misura: gambe flesse pronte a liberare l’energia potenziale idoneamente incamerata e corpo inclinato rispetto alla linea direttrice per esser pronto a defilarsi completamente nell’allungo in avanti.

            In effetti la distanza che separa la punta o la lama dal sospirato bersaglio può essere erosa da due diversi segmenti prodotti verso di esso: l’allungamento totale del braccio armato e lo spostamento dell’intero corpo.

            Nel primo caso l’avvicinamento prodotto non supera in genere i 30 cm. circa; ma l’esiguità della misura, non deve assolutamente trarre in inganno in quanto nel risultato finale, ovvero il riuscire a toccare l’avversario, ogni centimetro può essere

determinante. Ricordiamo anche che, ad eccezione della specialità della sciabola dove per la segnalazione del colpo è sufficiente il solo contatto con il bersaglio, nel fioretto e nella spada la punta non solo deve raggiungere il corpo antagonista, ma deve poi andare spazialmente anche oltre per la lunghezza delle rispettive corse, al fine di vincere la resistenza delle molle inserite nella bussola.

            Nel secondo caso, quello dello spostamento dell’intero corpo, la tecnica schermistica fornisce le coordinate e le dinamiche spaziali per due tipologie di avvicinamento: l’affondo (forse l’altro nome alternativo di allungo rende maggiormente l’idea) e la frecciata (forse più nota anche in Italia con un francesismo, la flèche).

            Inutile dire che entrambi gli spostamenti verso l’avversario possono essere preceduti da un passo avanti; ma non più di uno, altrimenti si tratterebbe non più di un attacco, ma di una vera e propria promenade!

Iniziamo intrattenendoci con l’affondo che è il più classico dei modi di tentativo di avvicinamento all’antagonista, sicuramente quello statisticamente più utilizzato.

            Come abbiamo preavvertito, in questa contingenza non entreremo nel dettaglio tecnico del gesto: per chi volesse approfondire questi aspetti rimandiamo alle altre rubriche indicate in esordio ai Fondamentali. Infatti è nostro desiderio affrontare qui i temi non nel loro specifico, ma nel loro aspetto generale e sistematico.

            Ma torniamo all’argomento: dicevamo che l’affondo è lo strumento più utilizzato per sviluppare un attacco nei confronti dell’avversario; cerchiamo di capirne i motivi.

            Innanzitutto, credo, per la natura non definitiva del gesto: in effetti dopo l’affondo la teoria schermistica tratta anche del ritorno in guardia, dando quindi per scontato che anche in astratto non tutti gli attacchi procurino la stoccata vincente.       Quindi si può tentare una tipologia di attacco, magari neutralizzata dal nostro avversario, ma con i dovuti modi e soprattutto con i dovuti tempi ci si può anche sottrarre alla sua azione di rimando.

            Addirittura nella cosiddetta seconda intenzione, come ben sappiamo, l’attacco cade intenzionalmente sotto la parata antagonista e quindi il primitivo affondo non è utilizzato per raggiungere l’avversario, ma costituisce solo un elemento tecnico del relativo colpo.

            L’affondo poi, pur utilizzando una discreta quantità di energia muscolare sia nel movimento in avanti che nel recupero della guardia, non  costituisce l’azione con il più alto consumo energetico.

            L’utilizzo dell’affondo è anche condizionato da un altro fattore di grande rilevanza tecnica: agendo secondo uno schema di processi posturali in divenire che garantiscono un buon controllo muscolare del braccio armato, assicurano a quest’ultimo, o meglio alla sua punta e/o alla sua lama, un ottimo tasso di precisione nell’espletamento del colpo. In effetti le cosiddette azioni composte, i fili (tranne quello di terza che risulta il più fisiologicamente naturale), i vari colpi che attuano il meccanismo del controtempo e quant’altro esigono la perfetta padronanza degli spostamenti spaziali dei ferri.

            In appendice ricordiamo due applicazioni, diciamo turbo, all’affondo: il cosiddetto raddoppio e il passo avanti affondo a balestra.

            La tecnica del primo, come sappiamo, consiste, prima di iniziare l’affondo, nello spostare il piede dietro sino a congiungerlo con quello avanti; in tal modo logicamente si guadagna nello spostamento in avanti verso l’avversario l’originale apertura delle gambe in guardia. Ovviamente il sotterfugio non deve essere applicato abitualmente, altrimenti l’antagonista, accorgendosi dello stratagemma, sicuramente cerca di ampliare la sua misura.

            Il passo avanti affondo a balestra sfrutta invece la rapida successione del balzo seguito senza soluzione di continuità dall’allungo; la prestazione muscolare diventa piuttosto energetica e quindi, perdendo conseguentemente in precisione di punta, si adatta ad azioni di percussione come ad esempio la battuta (in occasione appunto del passo) e colpo.

            Passiamo ora ad esaminare la seconda delle modalità con cui poter portare un attacco, la frecciata.

            Sicuramente è la più dirompente: una specie di tuffo quasi incosciente in avanti, che ha soprattutto lo scopo di sfruttare al massimo la sorpresa, aggredendo letteralmente la misura.

            La spazialità in avanti che lo schermitore riesce ad esprimere equivale grosso modo a quella ottenuta con un passo avanti affondo ed ha, comunque, il vantaggio di esprimersi con un solo tempo tecnico e non tre come invece il passo avanti affondo.

            Tuttavia si addicono alla frecciata solo le azioni di attacco semplice e quelle composte limitatamente ad una sola finta: in effetti il tempo in cui lo schermitore si trova letteralmente sollevato rispetto alla pedana è estremamente breve e, di conseguenza, la componente tecnica dei colpi non può prolungarsi nel tempo. In altre parole la componente atletica della modalità esecutiva dell’attacco limita notevolmente la natura tecnica dell’attacco stesso.

            La frecciata in genere, se ben eseguita, è un genere di attacco che, almeno in linea teorica, non ammette ritorno in guardia, quindi è un genere di spostamento, che nel peggiore dei casi, quando il colpo non tocca per effetto della difesa dell’avversario o per un proprio difetto di esecuzione, si conclude con una vera e propria fuga in avanti per non subire alle spalle la stoccata di rimando antagonista.

            Quindi, in conclusione, affondo o frecciata?

            La domanda, come spesso capita nella tecnica schermistica, è mal posta in quanto ci sono due regole di carattere generale che condizionano non poco lo schermitore intelligente.

            La prima è quella che attiene alle diverse situazioni che si possono venire a creare nel corso del match reale: una marcata differenza di statura tra i due contendenti, il competere in una specialità piuttosto che in un’altra, come abbiamo accennato poco sopra la scelta di tirare un colpo semplice  piuttosto che un altro più complesso.

            La seconda invece che riguarda una nota e senz’altro fruttuosa strategia: mai concedere all’avversario il vantaggio di poter prevedere le nostre mosse, intendendo per tali non soltanto la natura delle azioni, ma anche la modalità del nostro avvicinamento; le probabilità di successo aumentano a dismisura se si riesce nel corso del match a variare la tipologia della propria scherma, diluendo saggiamente nel tempo la contraria vincente che magari abbiamo sperimentato con successo in precedenza.

 

 

 

La misura

 

            Lo ripetiamo: ancora l’avversario non è davanti a noi sulla pedana, ma, proseguendo nei nostri ragionamenti tecnici, la sua presenza diventa sempre più incombente.

            Nei Fondamentali precedenti abbiamo cercato di mettere a punto tutto ciò che lo schermitore di per sé deve saper fare sempre al meglio per poter competere contro l’avversario con crescenti probabilità di vittoria.

            Ora si tratta di prendere in esame un parametro di fondamentale importanza, una specie di metrica tecnica: la cosiddetta misura.

            Se Pitagora diceva che tutto è numero, nella tecnica schermistica si può affermare con altrettanta tranquillità che tutto è misura: in effetti il fine escatologico dello schermitore, cioè il suo fine ultimo, è quello di riuscire a colpire un bersaglio valido dell’avversario che gli si para contro sulla pedana; in altre parole l’imperativo categorico è quello di riuscire a coprire la distanza che separa la propria punta o lama dall’antagonista, appunto la misura.

            La teoria schermistica inizia appunto la trattazione dell’attacco con le cosiddette azioni semplici, dove la difesa non deve avere nemmeno il tempo di attivarsi, almeno compiutamente: la misura, ovviamente con la velocità e la scelta del tempo, è tutto.

            Questo, comunque, è solo l’aspetto macroscopico del problema: la misura, appunto come metrica tecnica come abbiamo accennato poco sopra, è fondamentale anche per lo svolgimento ideale delle azioni di attacco composto ed anche quelle relative alle uscite in tempo.

            In effetti nelle prime la finta (o le finte), che notoriamente costituisce l’elemento di esordio del colpo, deve essere realizzato ad una distanza tale da poter far sembrare reale il pericolo, quindi, come nelle cosiddette azioni di attacco semplice, deve essere portata in genere a giusta misura; diversamente la o le finte non innestano la reazione di parata dell’avversario.

            Anche nelle uscite in tempo la giusta valutazione della misura è fondamentale, altrimenti, ad esempio, non si potrebbe tirare con successo un’inquartata o una passata sotto.

            Lo schermitore deve ovviamente collegare la misura agli altri Fondamentali di cui abbiamo disquisito in precedenza: con una buona  deambulazione ci si può avvicinare all’avversario per poi scatenare l’attacco oppure, se possibile, ci si può allontanare all’indietro per smorzare l’impeto dell’iniziativa antagonista e facilitare quindi la propria difesa; la valenza del proprio affondo o della propria frecciata può assicurare il successo al proprio attacco.

            E’ fondamentale, e non sia un gioco di parole, che lo schermitore percepisca in tutta la sua portata l’importanza della distanza che lo separa dall’avversario e lo deve fare in due ottiche contrapposte: come zona franca necessaria per poter organizzare la propria difesa e preparare la risposta adeguata e come zona filtro da oltrepassare per riuscire a raggiungere un bersaglio dell’antagonista. Non una semplice e arida quantità metrica, ma qualcosa di composito e variabile da utilizzare per il fine ultimo della stoccata vincente. In effetti per uno schermitore abbastanza evoluto la misura non è un valore costante durante uno stesso match: possono in effetti  intervenire situazioni che possono indurlo a cambiare atteggiamento come una marcata differenza di punteggio, una situazione di svantaggio in prossimità dello scadere del tempo regolamentare oppure un cambiamento più generale di tattica.

            Ora, per cercare di approfondire la materia, è necessario fare alcune considerazioni sulla natura intima della misura.

            Ogni schermitore ha delle precise caratteristiche fisiche che concorrono a condizionare in modo diretto la sua misura: un longilineo, essendo tendenzialmente più lento degli altri, tende ad allungare la sua misura; un brevilineo al contrario, essendo molto reattivo, tende ad accorciarla; un normotipo è in grado di optare tra le due soluzioni.

            Un altro fattore che influisce grandemente sulla scelta della misura è il tipo di specialità in cui si compete: regole di combattimento e tipologia di bersagli, con tutti i risvolti tecnici che comportano, non possono non concorrere a determinare stereotipi di misura; così di spada e soprattutto di sciabola, dove sono presenti i cosiddetti, si tende a tenere lontano l’avversario, mentre nel fioretto si compete da molto più vicino.

            Ma il vero problema della misura è che essa non è decisa da un solo schermitore, ma è il risultato di un vero e proprio scontro preliminare alla ricerca del tentativo del colpo vincente; questa contesa può essere in genere poco appariscente, ma quando i due concorrenti presentano marcate differenze di ordine fisico, ecco che la cosa diventa molto evidente; se poi la specialità in cui si compete è la spada, la battaglia sulla misura diventa uno dei maggiori protagonisti dello scontro. Ovviamente chi riesce a sparare il proprio attacco dalla posizione a lui più favorevole ha più possibilità statistiche di successo.

            Concludo l’argomento con una frase di un mio maestro: “Chi riesce ad imporre la propria misura all’avversario sicuramente pone una discreta ipoteca sulla vittoria finale”. Come si può non dargli ragione!

 

 

 

 

Siti spaziali attorno ai bersagli

 

            Quando lo schermitore si mette nella postura di guardia si determinano attorno al suo corpo, in corrispondenza dei suoi diversi bersagli, alcuni siti spaziali di estrema importanza tecnica.

            Le loro esatte coordinate sono fondamentali per il braccio armato, che, com’è noto, deve svolgere una funzione di difesa basata sull’intercettamento del ferro avversario e sulla successiva deviazione della sua linea di attacco al di fuori del corpo del proprio protetto; questa è la meccanica della difesa col ferro.

            Perché abbiamo usato l’aggettivo esatte? Perché è bene avere chiaro un concetto: la frase schermistica ha un suo inizio, ma poi nel suo divenire può, almeno in linea teorica prolungarsi sino all’infinito concettualmente come nel riflesso di due specchi posti uno di fronte all’altro; in effetti un attacco può essere parato e la successiva risposta controparata e così via. Ecco perché è necessario, quando si interloquisce con la propria lama, potersi esprimere al meglio.

            Mi spiego: quando il proprio ferro devia il colpo antagonista ha assolto la sua funzione di protezione del bersaglio; ma questo avviene anche quando si eccede nella spazialità nel senso di spostarsi esageratamente al di fuori della proiezione del bersaglio stesso quindi da una parte o dall’altra oppure esageratamente in avanti  cioè molto lontani sempre dal bersaglio. Ebbene, proprio per il concetto di colloquio tra i ferri, è invece molto utile prestare la massima attenzione nell’effettuare una parata nel giusto sito, direi quello essenziale per non essere colpiti, per poi essere nelle migliori condizioni per rispondere ovvero approfittare della situazione venutasi a creare per punire la presunzione dell’avversario.

            Tra l’altro il non sbandierare con la propria lama (similitudine utilizzata con acume dai maestri) consente anche una maggiore probabilità di neutralizzare un attacco composto dell’antagonista: la prima finta ci può indurre ad andare in parata, ma, appunto economizzando nello spostamento del ferro, possiamo avere la speranza di effettuare una seconda e magari risolutiva parata.

            Comunque queste benedette coordinate sono poi abbastanza indotte: in effetti una mano armata troppo vicina ai sottostanti bersagli non potrebbe muoversi agilmente e quindi velocemente in quanto il braccio si spezzerebbe al gomito con un angolo estremamente acuto e assumerebbe una postura alquanto innaturale; al contrario un braccio armato quasi totalmente disteso non potrebbe fruire della preziosa articolazione del gomito soprattutto nell’effettuazione delle parate all’interno della propria guardia.

            Quattro sono i bersagli frontali principali sia del tronco del corpo sia del polso e dell’avambraccio, quindi quattro saranno questi punti ideali sovrastanti il corpo dello schermitore che dovranno essere rispettati al massimo per le ragioni appena espresse; ad essi si aggiunge anche quello della schiena, creando non pochi problemi ad ogni difesa. Bersagli particolari sono nella sciabola la testa e le sue due figure laterali; mentre nella spada la coscia, il ginocchio ed il piede.

            Sia bene inteso che sino ad ora abbiamo sottointeso una presunzione canonica, cioè che i colpi di attacco sia portati linearmente; in altre parole che le linee di attacco siano raffigurabili come segmenti, i cui estremi sono il punto di partenza della lama ed il punto di arrivo sul bersaglio. La stoccata viaggia su un ipotetico piano ed il successo della parata consiste nel portare all’appuntamento spazio-temporale la propria lama su un altro piano ad esso incidente; questo almeno nelle parate semplici, in quelle di contro e in quelle di mezza-contro, mentre in quelle di ceduta intervengono altre dinamiche di ordine più fisico che geometrico.

            Invece nel caso dei colpi cosiddetti di fuetto, cioè di quelli che fanno percorrere alla punta una traiettoria curvilinea che quindi aggira ogni barriera erta in difesa dalla lama, cade ogni concetto di presidio del ferro e l’unica possibilità è quella di ricorrere alla misura: arretrare portandosi fuori della gittata del colpo oppure, proprio al contrario, chiudere misura, opponendo comunque la lama.

            Ma lo schermitore non si avvale dei predetti siti solo per l’effettuazione delle parate: gli stessi parametri spaziali valgono in occasione anche di uno specifico atteggiamento con l’arma, cioè di un proprio legamento.

            I siti valgono anche come partenza per i propri attacchi: il legamento appena richiamato è il giusto prodromo per un colpo di filo; dallo stesso sito può partite anche una battuta e colpo.

Importante è poi considerare il fatto che, per il noto principio di reciprocità posturale tecnica, i siti spaziali su cui stiamo disquisendo, non più propri ma appartenenti all’avversario, sono un fondamentale riferimento geometrico in occasione di un proprio attacco: una cavazione, partendo da un legamento dell’avversario, oppure eseguendo un attacco composto, minacciando prima la stoccata in un sito per poi portare il colpo in un altro o nello stesso bersaglio se la finta è doppia.

            Insomma davanti ai rispettivi bersagli dei due schermitori in guardia uno di fronte all’altro sono individuabili come dei punti, dei pallini colorati di rosso se vi piace il colore; essi rappresentano sia la ragnatela difensiva sia la mappatura degli accessi ai sottostanti bersagli: punti reali, ma soprattutto ideali per la Teoria Schermistica, come quelli ipotizzati dalla Geometria Piana, che indicano le porzioni di spazio dove si cerca di costruire o distruggere la frase schermistica.

 

 

 

 

Conclusioni

           

Nell’immaginario del mondo schermistico troppo spesso e colpevolmente l’attenzione s’incentra solo sul rapporto con l’avversario, cioè sullo scontro che si consuma sulla pedana.

            D’accordo che questo è l’aspetto escatologico di tutta l’attività, l’aspetto spettacolare e ciò che in fin dei conti costituisce il fascino e l’essenza della scherma; ma prima di affrontare l’antagonista di turno, lo schermitore deve prima e innanzitutto relazionarsi con se stesso. E ciò non significhi soltanto fare i conti con i tratti della propria personalità, sia che si tratti dell’audacia o dei nascosti mostri dell’Id; parliamo invece della sua preparazione tecnica in relazione a posture e movimenti che non presumono ancora l’effettiva presenza dell’avversario sulla pedana.

            Quindi una proficua e idonea presa sul manico, una postura equilibrata di guardia che garantisca la piena efficienza sia in attacco che in difesa, una calibrata capacità di gestione in velocità e precisione dei movimenti del braccio armato, la possibilità di riuscire a raggiungere con buone probabilità di successo i bersagli antagonisti prescelti.

            Non possiamo poi, uscendo dalla dimensione squisitamente tecnica, non fare un doveroso cenno alla cosiddetta preparazione atletica che ormai costituisce un indispensabile substrato su cui costruire la migliore prestazione dello schermitore.

            Un lavoro d’insieme quindi umile, ripetitivo e faticoso, indispensabile per poter realizzare le gratificazioni che, se di caso, dona il successo sulla pedana.

            Questo è quel “sacrificio” che spesso denunciano i campioni; come se potesse esserci una soluzione alternativa al successo agonistico!

            La verità è che in un mondo ormai professionistico anche per gli schermitori, tutti, più o meno, si sacrificano; poi però si afferma colui al quale arride maggiormente il composito mosaico di valori e situazioni che produce la vittoria.