La psicologia sportiva può aumentare la prestazione dello schermitore
Dr.ssa Francesca Orlando
LA SCHERMA, OVVERO L’ARTE DEI CONTRASTI
La scherma più che una disciplina o uno sport, appare prima di tutto come un gioco di contrasti in cui ogni aspetto richiama il dualismo del gioco e della lotta.
In quanto relazione tra due persone, la scherma attiva le dinamiche intrasoggettive sul confronto e affronto con l’altro atleta e quindi sulla percezione dei propri limiti e di quelli altrui.
L’analisi di questo sport parte, principalmente, dalla costituzione delle parti con cui si esercita, prima ancora che dalla sua stessa rappresentazione.
La divisa della scherma prevede una maschera e un’arma ed è su questi due elementi che possiamo osservarne le implicazioni simboliche.
La maschera è uno strumento di difesa del proprio volto, ma se vogliamo anche del proprio sé, che implicherebbe il desiderio di cancellare o nascondere temporaneamente l’individualità umana di chi la indossa, sostituendola con una diversa o anonima. Dietro la maschera l’atleta annulla i condizionamenti derivanti dall’ambiente esterno per appropriarsi di una dimensione interamente soggettiva e agire in perfetto anonimato, sicuro del suo riparo. Paradossalmente, è proprio in questa condizione di non esistenza che il soggetto lascia conoscere di sé tutta la sua intenzionalità, uno vero e proprio svelamento di sé. Il confronto con l’altro presuppone l’utilizzo di una propria rappresentazione, un’incarnazione – la maschera appunto – che permette di vedere la realtà dai frammenti di cui essa è fatta.
Attraverso la maschera, dunque, l’atleta dà sfoggio delle sue qualità umane prima ancora che sportive rimandando ad un’elaborazione della vita nei termini propri della scherma. Gioco e lotta, danza e attacco, forza e leggerezza, mente e corpo: nel ritmo di questi dualismi nemmeno tanto opposti tra loro si disegnano le figure della scherma. L’atleta studia l’avversario per approfondire se stesso, avanza leggermente in punta di piedi per poi sferrare l’affondo là dove si scorge una debolezza. Ed ecco che si ritrae al punto di partenza, ne aspetta la risposta, come in una sessione comunicativa, io parlo tu rispondi e viceversa. La scherma è un comportamento e come tale è comunicazione di sé: gli assalti e le parate sono le modalità difensive di come reagiamo ad un evento. Perché la scherma è comunicazione ed educazione che forgia il carattere e alimenta lo sviluppo cognitivo attraverso l’utilizzo di sempre nuovi pattern strategici, per cui la tecnica non potrebbe sussistere senza un’adeguata strategia mentale.
L’andamento dei movimenti dell’atleta in pedana dice molto della sua psicologia: avanzare all’attacco o ritirarsi in difesa sono i due aspetti più tipici dell’affrontare normalmente la vita. C’è chi osserva attentamente le mosse altrui per rispondere, chi affronta l’avversario riducendogli lo spazio, chi attacca sempre e chi non risponde mai.
Schemi fisici per schemi psicologici propri di quell’atleta.
E poi c’è l’arma: il prolungamento di sé, prima ancora del braccio nella difesa dal nemico. Prolungamento di un sé mentale ma anche di un sé prettamente fisico: la colonna vertebrale dalla testa (o coccia) al coccige (lama), e la rappresentazione più intuitivamente fallica legata alla forza e al potere. Che sia fioretto o spada poco importa: tutti richiamano simbolismi legati alla forza e al comando, ma anche all’integrità dell’uomo.
La rappresentazione di sé forgiata in uno strumento che non è facile da usare.
La scherma che suggerisce il contrasto della vita e della morte, trova nell’arma la sua massima rappresentazione. Toccare senza essere toccato, l’attacco e la difesa, la cui azione può avere valenza positiva nel rappresentare se stesso, quanto negativa nel significato distruttivo del termine (lotta).
La scherma nasce come disciplina individuale eppure la scherma si configura come sport relazionale tout court: una buona scelta per lo sport dei ragazzi, e non solo. L’incontro con l’altro e il rispetto delle regole, che definiscono l’inizio e la fine del duello, sanciscono l’osservanza dell’integrità personale che pochi sport sanno indicare. L’altro c’è e intorno a lui lo spazio che disegna il suo campo d’azione: l’atleta è chiamato così ad accorgersi di lui per ragionare con e contro di esso la sua tattica sportiva, non per usarlo a scopo egoistico nella vittoria personale.
Gli spazi sono delimitati, e per questo rispettati, in una danza di corpi che definiscono le mosse vincenti.
Francesca Orlando
Psicologa Psicoterapeuta
Master “Capitolina Scherma” – Roma
a cura del Dr. John Heil
Dr. John Heil, is a clinical and sport psychologist, and founder of Fencing Sport Psychology. He was the fencing team sport psychology consultant at the Atlanta, Sydney and Athens Olympic Games. Dr. Heil is currently editor of the Sport Science column in American Fencing Magazine, and served as Chair of USA Fencing Sports Medicine & Science for over 15 years. He is a Lecturer at the Virginia Tech Carilion School of Medicine and an Instructor at the Roanoke Police Academy. Dr. Heil is a licensed psychologist, a Certified Mental Performance Consultant, and member of the United States Olympic Committee Sport Psychology Registry. He is past president of the American Psychological Association Society for Sport, Exercise and Performance Psychology.
Work by Dr. Heil can be found on YouTube at the Fencing Sport Psychology Channel https://www.youtube.com/channel/UC_6mpR6ZGay3MSADrLLMUhQ
From Eye to Mind & Mind to Body:
The Visual Image as A Learning Tool
John Heil & Lee Branum-Martin
The eye is the path to the mind, and the mind the guide of the body. This idea, which guided the training of the Zen warrior 1,000 years ago, is equally important in sport today. But unlike the Zen warrior of the past, today’s athletes have a wide array a visual technologies available to them. Cameras as well as editing and playback systems are increasingly affordable and user friendly. These provide the potential to create a variety of products and techniques to enhance skill learning and competitive performance. This potential has only just begun to be tapped. For example, studying videos of competitors performance not only prepares the fencer for that particular opponent, but also teaches tactical thinking. Other methods can be used to develop technical skills and to boost psychological preparation.
Two simple ideas illustrate the value of visual learning:
1. When it comes to action, the mind thinks in pictures, and
2. Athletes learn by watching .
Consider the expression, “A Picture is Worth 1,000 Words” (or, about one floppy disk) . It suggests that the visual image is an information rich form of communication. Brain research shows that the human mind thinks in two distinct but complementary ways. One way is best described as “picture thinking “ and the other as “word thinking”. To better understand this idea, imagine looking at a picture of the perfect lunge. Then think of how to describe the lunge – including the position of the weapon arm and the back arm, the lead leg and the rear leg, as well as, the coordination of the arm and leg movements, the timing of the attack, proper balance and so on. Of course, well trained fencers can usually do both quite easily. But it is impossible to recite in your mind all of the words needed to describe the lunge quickly enough to do the lunge. In contrast, a simple flash of the image of the lunge in your mind gives all the information you need. So, it should come as no surprise that for physical actions, the brain actually relies on something more akin to pictures than words. For the same reasons, fencers and other athletes must think in pictures. Then it follows that watching “pictures” of fencing can improve fencing
The most fundamental way to learn sport skills is to watch and imitate. In fact, many types of behavior are learned in this way. Inevitably, one must start somewhere when learning anew skill—and usually this means watching others. The process of using others’ behavior as a “template” or guide to ones own actions is known to psychologists as modeling. Children and adults alike, do this instinctively. Then comes doing, and refining of the skill through the trial and error of supervised instruction. Eventually the athlete tries to repeat his or her own best actions, essentially imitating themselves.. While there is no learning without doing, the best scientific evidence available suggests that visual learning is an excellent complement to (but, of course, NOT a substitute for) learning by doing. The great advantage of visual learning is the convenience and “portability” (you can do it almost anywhere) provided by video recording. Fencers can review good actions of others as a way to acquire skills and their own best actions as a way to refine skills – and do this in the comfort of their own home, or on an airplane en route to a competition. This provides an excellent opportunity to train on those days you can’t get to practice .
Goal Setting
A common practice among athletes is to write down important goals and post these in a key place (such as, in a locker, or on a bedroom mirror). When seen they serve as a reminder of what the athlete hopes to accomplish and why he or she trains and competes. This same purpose can be served by a photograph of you or someone who is a role model for you.
Each year magazines ranging from Sports Illustrated to Life offer the best photos of the year. The depth and richness of information and emotion that a single photograph can convey is amazing. For many of the great events of the world (including the world of sport) there are signature photographs that have endured over time and captured the meaning of the moment. There are other compelling photographs of athletes unknown outside their sport, whose behavior, demonstrates the virtues of sport such as focus, intensity, speed and physical grace.
WHAT YOU CAN DO
1. Select and post a simple photo of you, showing technical expertise, a moment of personal achievement, or a photo that you associate with a positive mindset. Let this be a reminder of a situation that you would like to repeat again and again.
2. Select and post a photo of another fencer or athlete that you would like to model yourself after. Strive in your training to rise to the level of that other fencer.
3. Choose a photo of an athlete in another sport whose personal qualities show through so clearly in the photograph, that it can guide you in the search for those same qualities.
4. Remember, that you will do your best by developing your own unique skills – and that images of others are simply stepping stones.
Technical Skills
Watching bouts on video enables you to view your own and others actions from a different perspective. This can serve as a starting point for developing new skills, and also allow you to reinforce and refine existing ones. For many spectators, regardless of the sport, relatively little is learned from hours of watching. This is a consequence of a passive approach to viewing, where entertainment rather than learning is the primary goal. For visual learning to be effective it must be an active process, more work than entertainment. The fencer must study the video with specific objectives in mind.
WHAT YOU CAN DO
1. When you view a video with fellow fencers or your coach dig into the details. Try to see what aspect of certain actions are working well, and what needs improvement
2. Use the slow motion and stop-action features (if available) to analyze actions in detail.
3. If an edit feature is available, create a tape of your (or another fencers’) best actions in sequence; then sit attentively and watch strong actions over and over again (at both slow motion and regular speed) as a way of mentally “grooving” the actions
Women’s foil coach Buckie Leach, states that when the best American fencers spend time training in Europe with top level opponents, their fencing becomes faster. By watching with care and by doing what you see, you can boost your skills.
Tactical Training
Fencing’s characterization as physical chess is well deserved. Even the most athletically gifted fencer can be undone by a relatively weaker opponent who plays the “chess game” better. Developing tactical skills is probably the most challenging aspect of the sport. Even world class athletes who then become world class coaches continue to develop and refine this aspect of the sport throughout their careers. Enhancing your own tactical skills is the fastest and surest way of training smarter.
WHAT YOU CAN DO
1. Watch bouts with remote in hand and stop the action periodically to discuss what the fencer is doing, and the best way to counter those actions (as a way of developing tactical thinking, in general).
2. Do the same with opponents you expect to encounter, as away of preparing to compete against them specifically. This is particularly useful with a fencer to whom you are equally matched, but unable to defeat on a regular basis
3. When you tape bouts, take care to label them well (e.g., fencer, opponent, date, competition, score, other items of note).
Other approaches require systematic taping of bouts and extensive editing. An ideal situation is to have a videotape library of key opponents. With careful editing, certain actions typical of a fencer can be put together in a way that is time efficient and well-suited for study. For example, a fencers typical offensive and defensive actions can be put in sequence, showing how successful actions were implemented, and how these have been effectively countered by opponents. A less labor intensive plan would include a total of 4 bouts: a winning and losing bout (one each against a right-handed and left-handed opponent) for each fencer ( Sam Cheris’ suggestion).
Mental Training
Review of videotapes can help the fencer prepare psychologically for upcoming competitions. This can be done in a variety of ways. Studying successful bouts usually calls attention not only to technically strong actions, but also to feelings of confidence and success. Much mention is made of the “zone” by many athletes in varied sports ( actually short for “zone of optimal functioning”, based on the work of Soviet sport psychologist, Yuri Hanin). This reflects a growing awareness of the role of the mental game in competitive success, and the understanding that the right state of mind for competition can be cultivated through systematic training in mental skills. The fundamental questions that must be addressed for each athlete are: 1. “What are the key elements of the ‘zone’ for each athlete”; and, 2. “How can these be systematically trained and implemented.” While this is a challenging task that will require a variety of approaches, there are insights to be gained by fencers simply looking at how they act when they are feeling confident. By its very nature, video recording captures not only actions and words, but also subtle elements of body language and demeanor that reflect the fencer’s underlying psychological state.
WHAT YOU CAN DO
1. Watch bouts in which you have performed well, a day or two before important competitions as a way of building confidence (selecting bouts that are at a comparable level of competition).
2. If you already use key words (sometimes called, “affirmations”) as a way of focusing or maintaining confidence, repeat these silently to yourself as you watch the bout.
3. After an exceptionally good performance, have your coach (or a sport psychologist interview you on videotape using an open-ended style of questioning. Revisiting your thoughts and feelings at critical moments during the competition will help capture the experience of being in the “zone” while it is still fresh in your mind.
4. Reviewing this video recording before important competitions will help with mental preparation; and taking a look at difficult periods in your career can help you regain perspective.
Many top fencers have equal levels of physical skill. Fatigue, discouragement, and distractions can be serious problems for any fencer’s mental game. Talking with a receptive listener while viewing a video recording can help identify links between mental states and performance. Videotaped bouts are useful, not only with remembering positive mental states during optimal performances, but also with identifying problematic mental states. Some mental dangers to fencers include getting too comfortable when leading in score (finish the bout quickly), getting frustrated or discouraged when losing (do your best touch for touch & don’t beat yourself up), and getting angry at the opponent or director (fence your best for the situation, since you can’t control others). As you review the video, identify patterns which lead to success and patterns which threaten success. Identify strategies that have helped you create a successful mental state, and strategies that have lead you out of performance-threatening situations.
Final Thoughts
Some practical considerations for your use in developing visual learning strategies include:
1.Collect photographs, videos, or any other recordings containing your best performances and review these in accord with an established plan.
2. Remember the physical, mental, and emotional qualities of those moments and strive to re-create them in every bout.
3. Collect strategies for keeping your technique, tactics, thoughts, and feelings focused on winning each touch.
4. Set reasonable short term goals for progress in managing techniques, tactics, thoughts, and feelings. Take stock in how far you’ve come and decide what you need to do next.
While visual learning can be quite exciting and the technology is attractive, it is not without danger. Video and reviewing can be time consuming, so make sure you feel like you are gaining from it, rather than becoming stuck in it.
Working from eye to mind, and mind to body will enable you to expand your training repertoire and build your skills as a fencer. The development of visual learning techniques (methods which use visual technology as a way of building sport skills) is the #1 sport science goal of the USFA. A variety of approaches that athletes and coaches may take have been presented. Let this encourage you to further your use of visual learning as a way of training smarter.
Dr. John Heil is a sport psychologist with Lewis-Gale Clinic and Chair of the USFA Sport Science, Safety & Technology Committee. He can be reached at: Lewis-Gale Clinic, 4910 Valley View Blvd., Roanoke, VA 24012; 540-265-1605; JHeil@REV.NET. Lee Branum-Martin is a doctoral student in Sport Psychology at the University of Houston and part of a research team completing a USOC funded research study on Women’s Foil. ( The results of this study will be reported in a forthcoming edition of American Fencing.)
AmFenEyeToMind;jheil;1/2/06[VizPeAmFe]
WINNING FENCING
From American Fencing Magazine
Dr. John Heil
The competitive fire that drives the pursuit of victory is a potent force generating awesome displays of physical excellence and compelling moments of personal courage. What makes a winner is endlessly debated. One idea for which there is widespread agreement is that among equals in physical talent, the mental game makes the difference. As simple as the idea of winning is, how to best harness it as a force remains to be discovered. Gold medal goals have given athletes direction through tremendous adversity and been the driving force behind sport’s greatest moments.
When hall of fame baseball player Yogi Berra, was asked what he thought about when he was hitting, he replied “You can’t think and hit at the same time.” The same is true of fencing. It is well understood that negative thoughts are a spoiler of success. For example, fearing a bad outcome undermines confidence and focuses the athlete on what not to do, making that very result more likely. When things go wrong frustration and anger often follow. As feelings run amuck, the fencer loses control over emotional intensity and is taken out of the mental game. In either situation the fencer needs to refocus on fencing, on what to do next.
Even how to use positive thoughts of victory to one’s best advantage is elusive to the point of paradox. For example, if you are thinking about how nice it would be to win your bout at the instant your opponent attacks, you are at a disadvantage. The disadvantage comes from trying to think about two things at the same time, fencing and winning. Your attention is divided, split between what to do now (fencing) and how things might feel later (satisfaction of winning). To fence your best you need as near a total focus as possible on what is happening as it happens – to be focused on NOW! Thoughts of victory while still fencing are premature, causing you to get ahead of yourself, taking you away from what is happening as it happens.
Think of your mind as a muscle that needs to grab the moment. The stronger the muscle ( that is, the greater your concentration ) the better you can seize the moment. This means committing your mind fully to what to do NOW. Thinking ahead to the result (either winning or losing), can cause the moment to slip from your grasp. So in the heat of competition even thoughts of winning can be a distraction.
When top athletes are asked about their greatest experiences .in sport they describe intense concentration, along with feelings of control and confidence. Often there is little awareness of anything else but on the events as they unfold from moment to moment. Thoughts of winning or losing are notably absent. This mental state is often called the “zone,” short for the “zone of optimal functioning” as coined by Russian sport psychologist, Yuri Hanin. Of course, this does not just happen. It is the byproduct of intense practice and dedication to excellence, that begins with how you approach your training.
Much has been said of winning and the mental game. The 10 simple ideas that follow point the way to winning fencing, and suggest that winning comes from how you play the game.
THE WAY TO WINNING FENCING
· Fence ONE TOUCH at a Time
· Set Positive Realistic DAILY GOALS as Steps to your DREAM GOALS
· FOCUS on Now — when distracted REFOCUS
· Fence Technically PRECISE & Tactically DECISIVE
· Train for INTENSITY – Compete with INTENSITY
· Be in your MENTAL GAME from the FIRST TOUCH to the FINAL TOUCH
· LEARN from Winning and Losing & LEARN to Win after Losing
· Keep the FIGHT in your Fencing
· Fencing Skills are LIFE SKILLS – Practice them on and off the Strip
· FINISH! The touch; FINISH! The bout; FINISH! The competition
Is there more to winning than being the “best”, being “number one”? In each fencing competition there is only one winner, one gold medalist. Does that make everyone else a loser? There are many ways to win. A personal best is a win. So is fencing with the right attitude, and showing personal courage in adversity.
Excellence is as much about the way you do things as it is about the results, as much about the journey as about the final destination. There are wins and losses every day in fencing and in life. Learning to fence with a winning attitude will make you a success on and off the strip.
Thanks to Sherry Posthumus and Col. Jeanne Picariello for their review and comments.
Dr. John Heil is Chair of the US Fencing Sports Medicine and Science Committee. He can be contacted at Psychological Health Roanoke, Roanoke, VA 24018; Phone – 540-772-5147; eMail – jheil@psychhealthroanoke.com
The Tiger Parent
Dr. John Heil
The Tiger parent’s prescription for success can be a bitter pill to swallow. As with any medicine there are two critical questions to consider: Will the intended effect be accomplished; and on balance does that desired effect outweigh the unintended consequences. Practical experience has taught that the worst of these effects may take a long time to be revealed, potentially blazing a trail of pain and suffering.
As a young baseball player, I witnessed a tiger parent wreak havoc on a team mate. Even from the vantage point of a 13 year old, it was clear to me this way wasn’t the right way. In my eyes, the parent’s behavior was an awkward mix of mean and selfish, that was stealing the joy of the game from everyone within earshot. The unintended consequences prevailed. The son rebelled, dropped out of the sport and found his way into trouble. Maybe there was even hope in that – as if by not capitulating, the son would eventually become his own person, and not repeat the parents’ mistake.
The story of the quintessential Tiger child, the soaring golf prodigy that fell from grace, has earned its place as a cautionary tale in the modern lore of sports. As a lifelong student of the game of sport, I was as excited and intrigued by Tigers verve and prowess, even as I felt distress for the means by which the end was met. As a sport psychologist, I was deeply uncomfortable with the sport youth development model that the Tiger story fostered. While willing to believe it could work for a precious few, I was quite sure that for most, it would do more harm than good. Of course, in the end it wasn’t really good for Tiger either, or any of those who for their own reasons pumped air into the illusion until it finally popped like a balloon. Sad to say, I am relieved by his demise, but hopeful that he can rebuild the person and golfer, and perhaps in the process show us a way to win at both sport and life.
In a debate with Tiger Mom, Ms. Chua, at a World Economic Forum, economist Larry Summers suggests that “Childhood takes up a quarter of one’s life, and it would be nice if children enjoyed it.” He makes the point that children are not simply adults in training, but their own people with distinctive powers and joys.
In a Wall Street Journal commentary (http://online.wsj.com/article/SB10001424052748704709304576124612242184274.html?mod=djemEditorialPage_h), Dartmouth professor, James Bernard Murphy cautions that as adults we can become so focused on success and superiority that we forget that most of us produced our best art, asked our deepest philosophical questions, and most readily mastered new gadgets when we were mere children.
Fortunately, there is a classic work for this timeless question, simply entitled Developing Talent in Young People (New York: Ballantine Books; ISBN: 0-345-31951-6). Published over 25 years ago, it has gone unrecognized in the current flurry of commentary in a cyber world that can be as myopic as it is viral. Educational Psychologist, Benjamin Bloom and his colleagues at the University of Chicago conducted detailed interviews with dozens of those who have achieved success in sport – and in the arts, medicine and science – as well as their parents and teachers. Then they simply let the results speak for themselves. Its 500 plus pages illuminate well worn paths to success, reveals stories of joy, discovery and passion, and brings to light the critical role of nurturing relationships.
A final thought from the pinnacle of achievement. With New Zealander Edmund Hillary, Sherpa Tenzing Norgay was the first to summit Mt. Everest, an iconic achievement that continues to fascinate cultures East and West, ancient and modern. Though catapulted to international fame and hero status among the Himalayan cultures, he remained ever mindful of the terrible human costs incurred in the self-indulgent and reckless pursuit of achievement. In character, he refused to press his own dreams and aspirations on his children, encouraging them to seek their own way in life.
In 1996, son Jamling Tenzing Norgay summitted Mt. Everest. In Touching My Father’s Soul (San Francisco: Harper; ISBN: 9780062516886), the younger Norgay chronicles his journey and reveals the motivation to literally follow in his fathers footsteps to the top of the world. His story is less one of conquest than of personal fulfillment, valued above all else for the sense of spiritual connection felt for the father who refused to impose his will on the son – and in so doing lifted him to the very same heights.
TigerParent;jheil;2/15/11+
Dott. Nicola Paulesu
Psicologo Clinico e di Comunità – Psicoterapeuta Funzionale
Nicola.paulesu@gmail.com
La scherma educativa.
Prime libere riflessioni: gli elementi fondamentali e gli atteggiamenti schermistici nello sviluppo delle life skills individuali e sociali degli atleti.
Presentazione
Oltre gli aspetti atletici e tecnici, l’attività svolta in una sala di scherma rappresenta per lo schermidore l’occasione per sviluppare competenze sociali e relazionali utili ad affrontare in modo efficace le richieste e le sfide della vita quotidiana, in un rapporto di fiducia con se stesso, gli altri e la comunità.
In questo articolo ci chiediamo come la scherma possa contribuire allo sviluppo di tali competenze, che si esprimono in pedana, a prescindere dall’impostazione tecnica ricevuta.
Seguendo lo sviluppo dell’atleta, infatti, il maestro e gli istruttori possono utilizzare le proprie personali sensibilità per agire consapevolmente, sia sul piano della regola schermistica, sia sul piano della maturità individuale e sociale.
Articolo
Una regolare attività sportiva influisce positivamente sulle esperienze di vita dei giovani atleti, in particolare perché ne stimola le competenze cognitive, emotive e relazionali di base.
Oltre la dimensione tecnica e fisica specifica per la disciplina praticata, l’ambiente dello sport è un luogo privilegiato nel quale favorire lo sviluppo individuale e sociale degli atleti.
Molte ricerche mettono in luce gli effetti positivi di un impegno fisico condotto con regolarità; ad esempio, è noto che chi pratica sport in modo strutturato ha migliori risultati scolastici[1].
In una sala di scherma, tutte le attività proposte incoraggiano a vivere in modo partecipe l’impegno sportivo e accompagnano gli atleti in un percorso graduale di adattamento attivo e versatile ai diversi momenti della sessione di allenamento, sia di lezione individuale, sia collettiva, sia di assalto.
Per fare un esempio di carattere generale, la vita di una sala di scherma esalta il senso di autodisciplina e di responsabilità individuale: il saluto all’ingresso della palestra, la cura della propria divisa e della propria attrezzatura, l’attesa per la lezione individuale, l’ascolto attivo riguardo le indicazioni del proprio maestro, l’applicazione degli insegnamenti ricevuti, il rispetto per gli avversari, l’auto-mutuo-aiuto tra atleti, la condivisione degli strumenti di sala, l’uso comune degli spogliatoi, l’impegno personale nella cura del proprio dell’armadietto, ecc.
Questi comportamenti, monitorati in modo naturale dal maestro e dagli istruttori di sala, si riflettono positivamente sui livelli di attenzione, autocontrollo e concentrazione e, tali competenze, nei termini di opportunità, hanno un impatto positivo anche sulle capacità cognitive e attitudinali che sono una componente importante della pratica sportiva, come anche di ogni altra esperienza sociale.
Ancora, oltre gli aspetti atletici e tecnici, l’attività di sala incoraggia quelle competenze sociali e relazionali che permettono di affrontare in modo efficace le richieste e le sfide della vita quotidiana, in un rapporto di fiducia con sé stessi, gli altri e la comunità.
Attraverso lo sport, attraverso la scherma, è dunque possibile sostenere e rinforzare le cosiddette “life skills” ovvero “competenze / abilità per la vita” che sono alla base dello stato di salute e benessere degli atleti ed in generale degli individui, secondo le più recenti definizioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità[2].
Tali competenze possono essere raggruppate secondo tre aree:
- Area COGNITIVA: risolvere i problemi, prendere decisioni, pensiero critico, pensiero creativo.
- Area EMOTIVA: consapevolezza di sé, gestione delle emozioni, gestione dello stress.
- Area RELAZIONALE: empatia, comunicazione efficace, relazioni efficaci.
In questo articolo, ci chiediamo se e come praticare lo sport della scherma possa contribuire allo sviluppo di tali competenze.
Cominciamo da alcuni concetti chiave che costituiscono la base della pratica schermistica: gli elementi fondamentali, il tempo, la misura, la velocità, gli atteggiamenti nella scherma, la relazione tra bersagli, inviti e legamenti.
A nostro avviso, questi contenuti, che costituiscono la base per l’avvio del lavoro tecnico, creano anche le condizioni per consolidare in modo naturale, ciascuna di queste competenze.
Schematicamente per atteggiamenti schermistici si intendono le posizioni di invito, la linea ed i legamenti dell’arma. Per elementi fondamentali intendiamo il tempo schermistico nei termini delle azioni condotte in tempo, oppure delle azioni a propria scelta di tempo; la misura ovvero la distanza in pedana tra gli avversari in un assalto, che può essere stretta, giusta o misura d’affondo, misura camminando, ad esempio di passo avanti e affondo; la velocità con la quale si porta a termine un’azione schermistica. I bersagli, gli inviti ed i legamenti ricalcano le linee dell’arma rivolta all’avversario e sono fondamentalmente quattro: interna, esterna, alta e bassa.
Nella cornice della sala di scherma, questi semplici elementi guidano il dialogo maieutico[3] tra maestro e allievo, sollecitando tutti piani di funzionamento dell’individuo, il cognitivo, l’emotivo ed il posturale. Una relazione così fondata, favorisce l’uso e la piena espressione delle cosiddette life skills, alla base dello sviluppo degli atleti e del loro stato di benessere, sia sul piano individuale, sia sul piano sociale.
Di seguito sono evidenziate alcune esperienze, facilmente riscontrabili nel lavoro svolto in sala di scherma, che impegnano l’allievo in modo naturale e significativo sul piano di tutte le life skills. La scherma, infatti, è uno sport di combattimento ad alta intensità psicomotoria e, come tale, mette alla prova gli atleti sul piano fisico, mentale ed emotivo.
Il maestro e gli istruttori utilizzano le proprie personali sensibilità per agire consapevolmente, seguendo lo sviluppo dell’atleta, sia sul piano della tecnica schermistica, sia sul piano della maturità sociale, che poi si esprime nella quotidianità.
Mentre la lezione individuale si svolge principalmente sul binario del dialogo costruttivo, finalizzato all’apprendimento, lo schermidore sa che, una volta salito in pedana e calata la maschera sul volto, non potrà rinunciare al confronto con l’avversario. Sotto il profilo atletico, sul piano tecnico, mentale, agonistico, ecc.
Al di là della vittoria o della sconfitta, l’esito del confronto svolto in pedana sarà colorato emotivamente dallo schermidore in base alle sue sensazioni ed alle aspettative proprie e del contesto ambientale di appartenenza.
Così ci potranno essere anche appaganti sconfitte, quando l’atleta avrà la certezza di aver dato il massimo e di aver superato il proprio limite mettendo in pratica quanto appreso in allenamento, così come, al contrario, vittorie insoddisfacenti.
Questa riflessione, frutto di un livello elevato di consapevolezza di sé dell’atleta e di una matura gestione delle emozioni, è uno degli esiti attesi del lavoro di sala nella lezione individuale con il maestro, che avrà avuto cura di incoraggiare il proprio allievo al pensiero critico e riflessivo, riguardo alle diverse situazioni schermistiche che si possono verificare nell’assalto.
Pertanto, indipendentemente dal livello agonistico che si intende raggiungere, durante la lezione individuale e nelle sessioni di allenamento di gruppo, il maestro avrà modo di lavorare sullo sviluppo dell’intera gamma delle life skills, cognitive, emotive e relazionali del suo allievo.
Competenze Cognitive
Anche agli occhi di chi osserva per la prima volta una lezione di scherma, questa potrebbe apparire come una sequenza di situazioni, “dilemmi schermistici”, ai quali l’allievo deve trovare una soluzione.
Ovvero, lo schermidore è chiamato continuamente ad affrontare e risolvere problemi in modo costruttivo e finalizzato a portare il colpo a bersaglio per mettere la stoccata.
Le combinazioni potrebbero essere pressoché infinite, seppure quelle efficaci seguano alcune precise regole schermistiche che il maestro dovrà ben rappresentare al suo allievo.
Per fare un semplice esempio.
Quando l’avversario assumerà un atteggiamento propositivo, di preparazione di attacco, con l’arma in linea, minacciando il bersaglio dell’avversario, lo schermidore dovrà trovare una soluzione schermistica per evitare di subire passivamente tale minaccia. Dovrà ad esempio tenere conto della misura e fare un’ipotesi sulle reali intenzioni dell’avversario.
Potrà mettere in atto un’azione semplice di battuta e botta dritta, oppure attendere il momento più propizio per un’azione diversa ed efficace, dopo aver dedicato un po’ di tempo a provocare l’avversario studiando le sue reazioni abituali (attività di scandaglio) al fine di preparare (attività di traccheggio) un’azione composta.
Sul piano cognitivo si è già innescato un processo che valuta la situazione, elabora le informazioni acquisite ed intende affrontare e risolvere una questione molto sensibile per lo schermidore, ovvero come portare a segno la stoccata, senza subirla.
Tale processo si sviluppa in modo costruttivo con l’aiuto del maestro prima ed anche dell’avversario in una fase evoluta, quando l’esperienza diventa il mezzo per riflettere su quanto è accaduto in un assalto: quali azioni hanno avuto gli effetti immaginati? come si è comportato l’avversario? quali sono stati i nostri ed i suoi errori? quando l’avversario è stato più bravo di noi? ecc.
Il dialogo interno, come anche il confronto sul piano della relazione con gli altri, nel tempo influisce positivamente sul processo decisionale, aiuta a concentrarsi ed a riconoscere le proprie mete, aiuta ad accettare e ad apprendere dai propri errori, sviluppa la creatività necessaria a trovare soluzioni schermistiche efficaci, anche originali.
Competenze Emotive
Ancora un semplice esempio.
All’inizio di una lezione individuale o collettiva con il maestro, cosi come prima di un assalto in pedana, lo schermidore sa di dover compiere il saluto. È un rituale molto semplice ma di grande significato. È un segno di riconoscimento dell’avversario, di rispetto che si compie di fronte al presidente di giuria, ovvero a colui che sarà arbitro dell’incontro, in altre parole il garante delle regole determinate per l’arma.
Questo gesto, che spesso si compie in modo anche troppo frettoloso, contiene molti elementi collegati al senso di consapevolezza di sé. Ci si presenta di fronte all’altro, si incrocia lo sguardo, è un atto comunicativo ricco di significati: so chi sei, ti ho già battuto uno volta, oppure so che sei più forte di me, ma non vincerai facilmente, ecc.
In ogni caso, quel momento ci mette in contatto con le nostre emozioni ed ogni volta permette di conoscere qualcosa di noi stessi. È sufficiente mettersi in ascolto.
La scherma è uno sport di combattimento e come tale ci pone in una condizione di tensione e di messa alla prova. Inutile dire quanto ciò sia fonte di ansie e sensazioni anche spiacevoli, se non siamo in grado di dare loro il giusto significato.
Quali pensieri si agganciano a quelle sensazioni? Quali sono le voci ricorrenti che affollano la nostra mente durante un assalto? Quale ruolo hanno le aspettative, sia quelle personali, sia quelle del contesto? Queste facilitano il compito che dobbiamo portare a termine, ovvero fare del nostro meglio; oppure sono di ostacolo? Contribuiscono al piacere per il nostro sport oppure sono fonte di stress negativo?
In sala durante gli allenamenti, come in ogni gara, l’atleta sperimenta e conosce la propria dimensione emotiva, sviluppa la resilienza[4], si mette alla prova, incontra i propri limiti, cerca di superarli, riconosce le proprie potenzialità e prova a svilupparle, costruisce un personale senso di fiducia, impara a regolare il proprio livello di stress, a conoscere e controllare le fonti di tensione.
L’occasione di condivisione e di confronto con il maestro diventa un mezzo formidabile per lavorare sul senso di fiducia verso se stessi e verso gli altri, così come sui livelli di autostima, autoefficacia e di empowerment individuale[5].
Di fronte ai propri limiti, si è anche in grado di apprendere dai propri errori e, di fatto, non si è mai del tutto sconfitti.
Competenze Relazionali
La scherma è comunicazione. È dialogo. È osservazione. È ascolto. È relazione.
Gli atleti sono in relazione con il maestro e tra loro allo stesso tempo. La lezione individuale è basata principalmente su un dialogo, nel quale si giunge ad esprimersi efficacemente a parole ed a gesti nell’azione schermistica. È impossibile non osservare i movimenti del maestro o dell’avversario, è impossibile non mettersi in relazione con il maestro o con l’avversario di turno. In assalto sarà un dialogo basato sulle provocazioni, sulle finte, sulla volontà di esercitare il proprio dominio, di vincere.
La scherma ci allena ad essere empatici[6], a comprendere l’altro di fronte a noi stessi.
Potremmo dire che la scherma è una grande opportunità, perché ci insegna a vivere, favorisce l’acquisizione di tante competenze che costituiscono il presupposto indispensabile del benessere personale e sociale di ognuno di noi.
Mentre svolgiamo una seduta di allenamento in sala ed in pedana, allo stesso tempo stiamo esercitando in maniera efficace le life skills, le nostre capacità per la vita.
Ciò può influenzare il modo in cui ci sentiamo rispetto a noi stessi e agli altri e, di conseguenza, come gli altri ci percepiscono.
Le life skills contribuiscono al senso di autoefficacia, di autostima e di fiducia in noi stessi.
Per questo giocano un ruolo importante nella promozione del nostro benessere.
Dott. Nicola Paulesu
Psicologo Clinico e di Comunità – Psicoterapeuta Funzionale
Istruttore presso Accademia Schermistica Fiorentina
[1] Montreal University, Annals Journal of Health Promotion, 2015
[2] Marmocchi, Dall’Aglio, Zannini, Educare le life skills: come promuovere le abilità psicosociali e affettive secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, 2004; Vecchio, Lo sviluppo delle Life Skills negli adolescenti: Autoefficacia e Competenza, 2005; Braibanti, Benaglio, Servidati, Percorsi di Life Skills Education nella formazione professionale. Una frontiera per la promozione della salute: Una frontiera per la promozione della salute, 2008.
[3] Maieutico: è il metodo d’insegnamento basato sul dialogo e sulla discussione. Ha origine con Socrate, filosofo di Atene vissuto tra il 470 a.c. ed il 399 a.c., come dialogo utilizzato per portare alla luce le idee, che esistono già dentro l’individuo.
[4] In psicologia, la resilienza è un concetto che indica, semplificando, la capacità di far fronte in maniera positiva a alle difficoltà, trovando soluzioni adattive e vantaggiose.
[5] Si intende il processo che porta ad accrescere la consapevolezza riguardo alle proprie potenzialità e risorse interne, per utilizzarle al meglio.
[6] In psicologia, empatia è la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona.