Microscopio su aspetti tecnici


Cartoon smiling microscope mascot character pointing at specimen slide and showing sign OK for laboratory equipment or school concept design

 

 

cerchiamo di approfondire

alcuni aspetti della Tecnica Schermistica

 

 

 

 

          Microscopio su aspetti tecnici non è – e soprattutto non vuole essere – un trattato; il suo scopo è quello di attivare la curiosità dello schermitore nel senso di cercare di stimolare quanto più è possibile una serie di sue riflessioni su uno specifico tema tecnico

 

ordine cronologico

1 – la parata

2 – la precedenza di punta

3 – le uscite in tempo in generale -concetto spaziale

4 – le uscite in tempo in generale – concetto temporale

5 – bersagli ed iter delle stoccate

6 – la scelta del tempo

7 – studio dei vari aspetti del tempo

8 – lo spazio – tempo

9 – la misura

10 – la contraria

11 – la guardia

12 – la pedana come serie di luoghi tattici

13 – alternanza prospettica

14 – i legamenti

15 – le prese di ferro

16 – lo spazio come bersaglio

17 i bersagli

18 – i bersagli avanzati

19 – le azioni composte

20 – la finta

 

 

ordine alfabetico

 

alternanza prospettica n. 13

le azioni composte n. 19

i bersagli n. 17

i bersagli avanzati n.18

bersagli ed iter delle stoccate n. 5

la contraria n. 10

la finta n. 20

la guardia n. 11

i legamenti n. 14

la misura n. 9

la parata n. 1

la pedana come serie di luoghi tattici n. 12

la precedenza di punta n. 2

le prese di ferro n. 15

la scelta del tempo n. 6

lo spazio come bersaglio n. 16

lo spazio tempo n.8

studio dei vari aspetti del tempo n. 7

le uscite in tempo in generale – concetto spaziale n. 3

le uscite in tempo in generale – concetto temporale n. 4

 

 

1 – La parata

La parata, com’è noto, è la deviazione effettuata col proprio ferro del colpo avversario che sta giungendo su un nostro bersaglio.

In questo capitolo non vogliamo trattare dell’aspetto dinamico di questo gesto tecnico, bensì soffermarci solo su quello posturale.

L’uso della lama in difesa non è diverso da quello che se ne fa in attacco: il ferro, in quanto il braccio armato costituisce una leva di terzo genere, va gestito in ugual modo tenendo sempre conto dei suoi gradi.

Inoltre, soprattutto per i colpi di punta, dobbiamo ricordare che anche la coccia svolge una determinante funzione difensiva. Infatti una buona parata scaturisce dal coacervo di lama e coccia: la prima interviene in primis da sola per deviare la linea d’attacco dal bersaglio, poi, assieme alla seconda, per meglio imbrigliare la lama avversaria e bloccarla.

Questa tipo di difesa col ferro, che si risolve in un pur breve ma continuo contatto  tra i ferri, è denominata parata di tasto; in alternativa c’è la parata di picco, che, attuandosi solo in una rapidissima percussione sul ferro avversario sopraggiungente, necessita ovviamente solo dell’intervento della lama e non di quello della coccia.

Sotto il profilo posturale è importante sottolineare subito un fatto: la parata, oltre che avere quel primario scopo difensivo di cui abbiamo appena detto, costituisce anche il presupposto della risposta, ovvero di quell’azione che, approfittando della situazione di fatto e delle relative posizioni spaziali che si sono determinate, viene portata di rimando sull’avversario. In altre parole una difesa col ferro ha due finalità: una primaria e  necessaria costituita dall’annullare il colpo nemico e una secondaria ed eventuale (anche se sempre auspicabile) di generico contro – attacco.

Ne consegue che una parata non si giudica ben eseguita solo per il fatto di avere validamente annullato l’effetto dell’attacco avversario, ma si giudica anche dalla sua postura spaziale finale, da cui poter lanciare una comoda e veloce risposta.

A questo proposito risulta fondamentale rinvenire attorno al proprio corpo, in corrispondenza di quei quattro bersagli di cui abbiamo poco sopra fatto cenno, quattro posizioni ben individuate da specifiche coordinate spaziali. Esse devono costituire per ciascun schermitore il luogo ideale dove attendere al varco la stoccata nemica per poterla validamente intercettare e poter immediatamente impostare di rimando la vendicativa risposta.

Queste posizioni devono essere standardizzate, nel senso che, partendo dalla postura di guardia o comunque da un’altra zona limitrofa, la nostra arma deve  raggiungerle e fermarsi esattamente nella zona ritenuta sufficiente a garantire il relativo bersaglio. Posizionarsi oltre, esagerando le coordinate della parata all’infuori, produce l’effetto difensivo, ma compromette proporzionalmente quello della risposta.

Infatti più si para lontano dal nostro corpo più il braccio armato deve distendersi, diminuendo progressivamente la possibilità, una volta effettuata la parata, di vibrare la risposta. Al contrario, parando nelle zone opportune, la gittata della risposta è notevole e può addirittura raggiungere l’avversario che sta rientrando in guardia.

L’occasione dell’argomento parate è invitante per trattare brevemente il concetto di alternanza prospettica dello schermitore, concetto che s’incentra sulla facoltà di percepire ed elaborare concettualmente le nostre azioni dall’ottica dell’avversario.

Abbiamo appena precisato che ci sono quattro parate che presidiano quattro nostri bersagli; ognuno di questi bersagli, che sono in pratica porzioni di spazio del nostro corpo,

ha ovviamente un suo ideale punto centrale interno, grosso modo equidistante dai propri confini.

Le posture delle nostre parate sono naturalmente orientate verso questa sorta di epicentro: ogni stoccata indirizzata verso questo punto risulterà ideale per la nostra parata; al contrario quanto più la prima si discosterà da esso tanto più la nostra parata preposta a quella specifica zona dovrà adattarsi e registrarsi all’effettiva traiettoria nemica.

Ebbene, se abbandoniamo per un istante la prospettiva difensiva di cui stiamo trattando e ci trasferiamo esattamente dall’altra parte, cioè se indossiamo i panni dell’attaccante, ricaviamo da quanto appena detto importanti informazioni: più tiriamo i nostri colpi su bersagli standardizzati, tanto più facilitiamo la parata dell’avversario; più portiamo invece le stoccate nelle zone di confine tra i diversi bersagli, tanto più possiamo mettere in una certa difficoltà la sua capacità difensiva.

Come ad esempio nel tennis, dove certe palle si cerca di indirizzarle non tanto il più lontano possibile alla sinistra o alla destra del giocatore avversario, quanto piuttosto al centro, sulla  linea del suo corpo, rendendogli più problematico sia il diritto che il rovescio.

Portare i nostri attacchi con monotonia intorno all’epicentro delle parate avversarie, sarebbe come attaccare un castello solo e soltanto dal lato del ponte levatoio, dove, ovviamente, le difese sono più preparate e quindi più efficienti.

Nella parte dedicata allo sviluppo della spazio dinamico esamineremo più a fondo questo importante rapporto esistente tra zona del bersaglio e capacità di difendersi col ferro.

Ma concludiamo l’argomento parate con una breve riflessione ed una doverosa specificazione relativa alla spada.

Per la difesa col ferro si può fare lo stesso discorso dei legamenti: le posizioni spaziali delle linee di difesa e di attacco, come abbiamo già visto, coincidono.

L’unica differenza tra le due posture sta nella preparazione del colpo successivo al contatto del ferro: nel caso della parata c’è una tendenza ad avvicinarsi un po’ di più al proprio corpo per poter meglio lanciare la risposta successiva alla parata – nel caso dl legamento invece si tende a spostarsi leggermente in avanti per cominciare quella distensione del braccio armato che servirà a sferrare il nostro attacco diretto o di filo.

Ma già i trattati di spada smentiscono questa distinzione: essi infatti, interpretando alla lettera le esigenze di anticipo temporale che connotano maggiormente quest’arma, consigliano di andare a parare in avanti; ciò per anticipare i tempi dellla parata e, mantenendo la punta sul bersaglio avversario tramite un’opportuna opposizione di pugno, accorciare di conseguenza i tempi cronometrici della risposta.

 

 

 

2 – Precedenza di punta

Il tempo cronologico

Introduzione –  Movimenti  in successione  –  Movimenti sincronici –

Introduzione

In questa prima ottica l’accezione fondamentale del tempo è caratterizzata da un “prima” e da un “dopo”, ovvero da una successione differenziata di eventi.

In effetti due accadimenti in relazione ad un certo istante possono essere concomitanti oppure, nelle due alternative, uno precedere l’altro.

Il movimento corporeo, essendo una complicata risultante dell’applicazione di numerose forze contrapposte, sviluppa già nella vita quotidiana un delicato sistema di equilibri fisici.

Ciò che sta alla base di questi equilibri è la coordinazione motoria, ovvero  la capacità di far intervenire le varie parti del corpo in precise successioni temporali, mirate alla realizzazione di predeterminati spostamenti spaziali.

Anche i movimenti apparentemente più semplici in realtà sono abbastanza complessi: se a tavola, ad esempio, desideriamo bere, allunghiamo il braccio e afferriamo  il bicchiere. Niente di più facile!

Ma esaminiamo in dettaglio l’intero procedimento: innanzitutto c’è la valutazione della distanza dal bicchiere in relazione alla lunghezza del nostro braccio, che può quindi richiedere talvolta anche il concorso dello spostamento del nostro busto in avanti – il braccio viene spostato in direzione del bicchiere e deve essere fermato nelle sue  vicinanze – le dita della mano si aprono progressivamente in funzione della presa che devono effettuare sul bicchiere – poi si richiudono – l’arto nel serrare le dita  e  nel  trasporto del bicchiere deve applicare una forza proporzionale all’evento – il braccio viene riportato indietro, decelerando progressivamente, e indirizzato verso la bocca, cioè in una direzione diversa da quella originaria di partenza. Poi, finalmente, è possibile bere!

Pensiamo a cosa succede quando il bicchiere è vuoto e dobbiamo riempirlo da una bottiglia e magari dobbiamo offrire da bere anche ai commensali vicini! Decine di movimenti, traiettorie diverse, partenze, arresti, attese e ripartenze.

Tutto ciò è reso possibile da un vero e proprio orologio interiore di eventi: la coordinazione motoria, ovvero un’ordinata successione temporale di eventi meccanici.

Il movimento globale è il risultato di una serie di spostamenti armonici tra loro, spostamenti che riescono ad unire le singole componenti dinamiche in un divenire unico secondo traiettorie spaziali fluide e continue.

Se poi si passa da una tavola imbandita ad una pedana di scherma, ben s’intuisce quanta importanza rivesta nello scontro la capacità di gestire al meglio questa vera e propria armonia del movimento.

Calata in una situazione agonistica di confronto e di scontro quest’armonia deve anche coincidere con un risultato immediato: traiettorie, cambiamenti repentini di direzione, spostamenti in genere si devono ispirare ad un imperante pragmatismo, in competizione continua con le corrispondenti capacità dell’avversario.

Tutti questi movimenti, in genere, sono inquadrabili in due categorie esecutive:  quelli in successione e quelli sincronici.

I primi sono quelli che per le loro caratteristiche e per le loro finalità sono necessariamente da eseguire in un dato ordine progressivo, mentre i secondi al contrario sono da effettuarsi in assoluta contemporaneità.

Movimenti in successione

Introduzione – Precedenza di punta

Introduzione

Se ritorniamo all’esempio del bicchiere da afferrare sul tavolo, è facilmente verificabile che in un primo momento si effettua il movimento di avvicinamento, poi sull’ultimo si esegue quello che ha lo scopo di afferrare il manufatto.

Lo schema dinamico che abbiamo sviluppato in base alla nostra esperienza ci porta a selezionare l’intervento delle nostre leve in base ad un ordine di precedenze e successioni atte a garantire il miglior risultato. Più rispettiamo questi tempi d’ingresso, più  il gesto risulta ottimizzato in senso armonico: i singoli movimenti non appaiono spezzati nella loro singolarità, ma sono fusi in un unico divenire.

Tale fluidità, collegando in modo utile i vari passaggi d’equilibrio tra una postura e l’altra, consentono di economizzare il gesto, incidendo in modo diretto sulla sua velocizzazione.

Queste poche note fanno subito risaltare quanta importanza la coordinazione motoria rivesta nell’attività sportiva in genere; soprattutto poi in quelle discipline dove la presenza attiva di un avversario costringe a mutare di continuo sia il proprio assetto fisico, sia la propria posizione nello spazio, sia la natura della propria determinazione (attacco – difesa – controffesa).

Nella scherma i movimenti che possono comporre un’azione spaziano come  numero dai pochi ed essenziali (ad esempio della botta dritta) a quelli numerosi e complessi di un’azione composta (magari una doppia finta circolata e cavazione).

Anche sulla pedana il tasso di successo del colpo è affidato al rigoroso rispetto dell’ordine cronologico con il quale inseriamo nell’esecuzione i singoli movimenti che lo compongono.

Anzi, per assurdo che possa sembrare, più l’azione è composta  da  pochi movimenti, più c’è la necessità che l’esecuzione sia più corretta da un punto di vista motorio: per comprendere quest’affermazione basta ritornare all’esempio della botta dritta, dove i gesti sono limitatissimi e la componente tecnica è ridotta all’osso.

Precedenza di punta

Tra i movimenti in successione occupa un posto di primo piano la cosiddetta precedenza di punta.

Tranne il corpo a corpo, sappiamo che ogni azione schermistica presuppone l’avvicinamento all’avversario in quanto in partenza i due contendenti sono divisi dalla misura.

Questo avvicinamento per ciò che concerne l’attacco è assicurato, come abbiamo visto nella parte dedicata allo spazio, da due attività: quella del braccio armato che si distende in avanti e quella delle gambe che producono, a seconda dei casi, passi, affondi, loro derivati o frecciate.

Oltre a questo problema spaziale lo schermitore ha anche quello di eludere la sorveglianza dell’avversario, ovvero la sua difesa. Per cui il più delle volte, con la sola eccezione della botta dritta, c’è la necessità di produrre una molteplicità di movimenti per la realizzazione del colpo (battute, cavazioni, prese di ferro, finte).

In relazione a tutte queste attività il concetto di precedenza di punta stabilisce a questo  proposito  un  principio:  lo  schermitore  deve  andare  in  affondo  solo    quando,

eseguito tutto il suo lavoro prestabilito, il braccio armato è totalmente disteso sulla linea d’offesa.

Quindi due fasi distinte: una incentrata sul sorpassare la linea difensiva rappresentata dal ferro avversario e, solo in un secondo tempo, una per riuscire a raggiungere il suo corpo.

La prima fase, realizzata con il maneggio dell’arma, è prodromica rispetto alla seconda, che risulta affidata alle sole capacità di allungo finale: prima si spiana la strada, poi la si percorre.

Le due attività non si possono e non si devono sovrapporre o addirittura invertire: sarebbe come entrare in una stanza senza aver ben presente se la porta consente il nostro passaggio… potremmo andare a sbatterci contro!

Le ragioni della priorità del lavoro del braccio sono eminentemente di ordine di equilibrio fisico: l’esecuzione dell’affondo comporta lo spostamento dell’intera massa corporea in avanti e ogni attività eseguita in contemporanea non potrebbe non risentirne gli influssi negativi. Movimenti stretti e calibrati come cavazioni e circolate, ma in fin dei conti anche azioni potenti come la battuta, perderebbero quella precisione che è la miglior garanzia del loro successo.

Di conseguenza conviene senza dubbio dividere l’attività in due parti: ben saldi ed equilibrati sulle gambe per svolgere la parte più tecnica (quella del fraseggio schermistico), catapultati in avanti con l’affondo per portare a termine quella affidata alla forza muscolare.

Un’altra considerazione: botta dritta a parte, in tutte le altre azioni la punta si sposta nello spazio in una o più direzioni, obbligata a sfuggire o, per contro, ad inseguire quella avversaria. Iniziare il movimento di avvicinamento finale all’avversario con l’affondo prima di avere riallineato la punta sul suo bersaglio e quindi aver dato al nostro colpo una  precisa direzione ci espone indubbiamente al pericolo di sbagliare letteralmente mira e quindi di non riuscire a colpirlo.

Se questo è già vero per il bersaglio grosso, cioè per il tronco del corpo, immaginiamo la portata di quest’affermazione nel caso dei bersagli avanzati, che hanno superfici molto ridotte.

Precisate queste due distinte attività e stabilitane la loro reciproca precedenza esecutiva, è necessario inserirle in una successione temporale continua: infatti, una volta riusciti a sorpassare la linea difensiva dell’avversario, dobbiamo comunque temerne il subitaneo ritorno; per questo motivo non ci deve essere alcuna interruzione tra la fase di semplice passaggio o la fase elusiva e  la fase di raggiungimento del bersaglio.

Come abbiamo già precisato nella parte dedicata allo spazio, la stoccata nella sua parte conclusiva deve essere tirata in modo uniformemente accelerato, sfruttando al massimo la spinta propulsiva della gamba dietro.

Così facendo avremo sfruttato al massimo quella che i trattati chiamano forza di penetrazione.

 

 

3 – Le uscite in tempo in generale – concetto spaziale

Vorrei affrontare l’argomento proponendo inizialmente una riflessione sulla comune dicotomia attacco – difesa, considerandola in prospettiva di percorso spaziale.

Il primo, l’attacco, si propone innanzitutto di riuscire a sorpassare la barriera costituita dal potenziale lavoro di difesa che può svolgere il braccio armato nemico: la tecnica a questo proposito offre il noto ventaglio di azioni di offesa, semplici o composte.

In un secondo tempo, riusciti comunque a passare indenni la zona di azione del braccio armato avversario, il problema diventa squisitamente spaziale: spostarsi ulteriormente in avanti per annullare la residua distanza con l’avversario e per arrivare a toccare il bersaglio prestabilito. Questa, in genere, è l’accezione di attacco.

Il secondo termine della dicotomia, la difesa, per contro evoca istintivamente un’attesa, un arroccarsi sulla propria posizione per reggere l’urto dell’attacco avversario.

Ciò è perfettamente calzante nel caso della difesa col ferro, ovvero nel caso delle parate: l’avversario ha profuso tutte le sue energie nel far esplodere l’affondo, è uscito quindi dal suo rassicurante castello di difesa, mentre chi subisce l’attacco, stando in guardia, è idealmente sugli spalti della sua magione, pronto a respingere l’attacco colpendo poi con l’occasione di rimando l’aggressore.

In sintesi tale dinamica consiste in un’iniziativa che porta ad uno spostamento in avanti e in una reazione che si propone di colpire di rimessa.

Nelle parti precedenti di questo lavoro abbiamo visto che il difensore, in risposta all’avvicinamento dell’avversario, può optare, a seconda dei casi, tra diversi ambiti  spaziali: attenderlo sul posto, indietreggiare per sottrarsi alla traiettoria balistica dell’attacco, oppure applicare una forma mista di difesa, cioè di misura e col ferro, per smorzare l’impeto e la potenza del colpo.

Stare fermo, arretrare; spazialmente manca un’altra alternativa possibile: andare in avanti, cioè , in un certo senso, attaccare.

Senza dubbio siamo in presenza di un certo ribaltamento concettuale rispetto ad un normale pensare.

D’altra parte, mi viene in mente, che talvolta gli incendi vengono spenti col fuoco; nel senso che per fermarne il fronte di avanzamento, vengono tagliate alcune strisce di alberi e arbusti e poi viene dato artatamente fuoco a quelli che restano in direzione dell’incendio per creare ulteriore spazio vuoto  e bloccare quindi le fiamme.,

Ebbene questo concetto nella teoria schermistica sta alla base delle uscite  in tempo; lo stesso termine sottolinea che lo schermitore deve uscire dalla sua guardia nel momento opportuno per andare incontro all’avversario e interrompere la sua azione d’attacco.

Nient’altro che un gioco d’anticipo, come si può trovare in tante altre discipline sportive: il tennista va incontro alla palla per colpirla prima, il calciatore spostandosi in avanti intercetta il passaggio fatto al giocatore che marca e così via.

Nella scherma, come vedremo più appresso in dettaglio, ci si proietta in avanti: lo farà solo il braccio armato, lo farà tutto il corpo, saranno presi accorgimenti importanti come l’opposizione di pugno, ma il fondamento comune, l’elemento basilare del colpo,  sarà quello di sottrarre lo spazio vitale allo sviluppo totale dell’attacco avversario.

Ecco cosa può osservare un osservatore esterno alla pedana nel caso dell’applicazione di un’uscita in tempo: la misura iniziale tra i contendenti non si restringe solo per effetto dell’attacco, ma allo spostamento di quest’ultimo si somma anche quello di chi esce in tempo. All’attacco manca lo spazio per svilupparsi e, tranne i colpi  d’inquartata

e di passata sotto, se l’uscita in tempo è ben eseguita l’attacco non arriverà mai a conclusione completa.

La tecnica del braccio armato s’incentrerà di conseguenza sul mantenere la punta sull’avversario in questo procurato avvicinamento al corpo del nemico, mentre quest’ultimo, sarà impossibilitato a portare il colpo proprio in quanto il suo ferro sarà stato deviato al di fuori del bersaglio, che risulterà troppo vicino per essere colpito.

E’ anche opportuno sottolineare che in questo genere di stoccata difensiva c’è anche il risparmio di un tempo tecnico: mentre nella difesa col ferro prima si para e poi si risponde, scandendo quindi due battiti esecutivi, nell’uscita in tempo, invece, il colpo ha un solo ed unico ambito realizzativo.

La stessa dizione in tempo, sottolinea tutta l’importanza della scelta del momento opportuno per scatenare l’uscita in tempo: l’argomento sarà trattato nella seconda parte di questo lavoro, quella appunto dedicata in modo specifico alla dimensione temporale dell’assalto.

Qui è sufficiente evidenziare le ovvie negative conseguenze derivanti da una erronea scelta dell’istante per uscire in tempo: se il gesto viene troppo anticipato, l’avversario è ancora spazialmente in tempo per rendersi conto a cosa va incontro e può facilmente o modificare la sua azione oppure interromperla; al contrario se il gesto viene applicato in ritardo, progressivamente verrà meno la sua efficacia, sino a renderlo completamente inutile.

Quindi nello sviluppo dell’attacco avversario, sia in relazione al tempo che allo spazio, ci sarà solo un ristretto intervallo in cui poter proficuamente intervenire con l’uscita in tempo.

Tanto è temuto questo colpo, almeno nella versione del colpo d’arresto, che la Convenzione lo vincola alla precedenza di almeno un tempo schermistico nei confronti dell’attacco, prescindendo quindi in modo assoluto da un concetto di precedenza temporale del colpo. In altre parole su una botta dritta, in linea di principio, non esiste nel fioretto e nella sciabola la possibilità di tirare un colpo d’arresto. Solo, se l’attacco avversario è composto, ci sarà questa chance e i momenti d’intervento saranno dipendenti dal numero di finte: su una finta un solo colpo d’arresto, su due finte due colpi (arresto in primo tempo e arresto in secondo tempo ).

Questi sono i concetti spaziali che stanno alla base della categoria “uscite  in tempo”; ora, di seguito, passeremo in rassegna tutti i colpi teorizzati dai trattati e in quest’occasione avremo la possibilità di capire altre cose importanti dello scontro sulla pedana.

Innanzitutto che spesso sarà la stessa cattiva esecuzione dell’attacco avversario a suggerire direttamente un’uscita in tempo: la poca precisione, la poca determinazione e la poca velocità rendono vulnerabile qualsiasi tipo di attacco, che quindi può essere facilmente stoppato, ribaltando fulmineamente le dinamiche originarie dell’azione.

In secondo luogo che alcune tipologie di uscita in tempo sono vincolate da determinati atteggiamenti tecnici dell’avversario, confermando anche in questo settore il valore della contraria come risposta idonea ad un certo tipo di specifica proposizione dell’antagonista.

Infine, considerazione d’importantissima valenza tattica, che chi si difende lo può fare anche attaccando l’attaccante: lo schermitore che entra nella determinazione di sviluppare un’azione d’attacco si può aspettare dal proprio avversario come reazione, proprio di tutto.

Questo si riallaccia anche ad uno dei postulati fondamentali della scherma:  la miglior difesa è quella di non dare mai all’avversario un riferimento preciso e costante sulle proprie reazioni; il segreto (se poi è un segreto!) è quello di cercare di alternare il maggior numero possibile di modalità difensive offerte dalla tecnica schermistica.

 

4 – Le uscite in tempo in generale – concetto temporale

Laddove ne esistano i presupposti, una difesa si può concretizzare in un attacco sull’attacco: sfruttando particolari situazioni tecnico – spaziali, colui che subisce l’attacco può anticipare il colpo dell’avversario.

La prima considerazione temporale da fare sulle uscite in tempo è che esse, essendo una risposta ad un attacco nemico, ovviamente presuppongono sempre che l’inizio della determinazione sia dell’avversario.

Proprio per questo il fattore tempo, come del resto evocato dallo stesso nome dell’azione, riveste una fondamentale importanza in due ottiche.

La prima consistente nel fatto che, ideato un determinato tipo di uscita in tempo, è necessario attendere l’attacco: la premeditazione, tanto aborrita nelle aule di tribunale, qui invece è una dote positiva da saper coltivare. Del resto, se l’avversario non produce il suo attacco, la realizzazione dell’uscita in tempo resta nel mondo delle idee solo come pia intenzione.

La seconda, più tecnica, consistente nella capacità di saper intervenire nell’angusto lasso di tempo compreso tra l’inizio dell’attacco nemico (che del resto va anche percepito sensorialmente) ed un preciso istante dopo il quale il colpo, in quanto in ritardo, non si può più tirare vantaggiosamente.

Quel concetto di scelta di tempo, che nel corso del nostro lavoro abbiamo indicato come corroborante aggiuntivo delle azioni, qui viene quindi a costituire un significato diverso: diventa l’intima essenza della stoccata, l’architrave sul quale realizzare la propria contraria.

La tecnica potrà essere quella dell’intervento sul ferro avversario come nella contrazione, oppure, al contrario, sarà quella della totale elusione della lama nemica come nella cavazione in tempo, potrà basarsi sul fatto di schivare il colpo come nell’inquartata e nella passata sotto, o sullo sbarrare fisicamente la strada alle finte come nel colpo d’arresto, si potrà realizzare nell’opporsi ad un filo al fianco come nell’imbroccata, o infine nel bloccare la risposta con finta dell’avversario come nell’appuntata; ma non si sortirà alcun effetto se tali colpi non saranno vibrati in tempo, ovvero nel preciso momento opportuno, né prima, né dopo.

Lo ribadiamo perché questa è la caratteristica di fondo di tutte le uscite in tempo. Esse possono essere vibrate solo in un ristretto ambito temporale, al di fuori del quale perdono ogni significato tecnico; anzi in questo caso espongono maggiormente lo schermitore alla stoccata dell’avversario: ad esempio possono privare il proprio bersaglio dalla difesa col ferro come nell’inquartata oppure andare contro la Convenzione schermistica come nel colpo d’arresto e nella contrazione (se si è toccati, l’attacco nemico ha sempre la priorità).

In effetti, se il colpo viene troppo anticipato, perde completamente la sua efficacia; al contrario, se viene troppo ritardato, risulta del tutto inutile in quanto ineseguibile.

Non per nulla l’opportunità dell’applicazione di questa tipologia di azioni è affidata  ad un’attenta valutazione dei rapporti di velocità esecutiva esistenti tra gli schermitori: più essa si equivale, più difficoltosa (ma non per questo impossibile) risulterà l’uscita in tempo; più essa diverge, più opportunità esecutive avrà l’atleta più celere.

Sotto quest’ottica ritorna un tema trattato poco sopra: quello riguardante le azioni composte da un numero eccessivo di fine.

L’uscita in tempo, senza dubbio, trae vantaggio dalla maggior durata dell’azione sulla quale si vuole attivamente intervenire: quanto più essa si prolunga e dura nel tempo, tanto più c’è la possibilità di anticiparla.

In effetti il tempo necessario ad uno schermitore per portare a termine un’azione non è solo legato alla sua velocità di esecuzione, ma indubbiamente è anche direttamente connesso ai tempi tecnici che compongono tale azione: ogni finta comporta un allungamento della durata complessiva dell’azione.

Quindi, non finiremo mai di rilevarlo, attaccare con più finte rappresenta un grosso errore, compensato solo da un altro errore, quello dell’avversario di non ricorrere ad un’idonea uscita in tempo.

Dal punto di vista della tempistica dell’azione, andando spazialmente incontro all’avversario, le uscite in tempo tendono a contrarre l’istante d’impatto della stoccata: in effetti la fase dirompente di un attacco coincide con la sua fase finale, quando, a suggello dello spostamento in avanti, l’attaccante rilascia la massima energia andando in affondo.

Ebbene gran parte delle uscite in tempo tende ad annullare quest’ultima fase, giocando d’anticipo e stoppando l’azione d’attacco sul suo nascere: come avere un cannone puntato addosso e trovare il modo per andare a spengere la miccia, quando ormai chi ha armato il cannone pensa solo all’imminente colpo e alla sua traiettoria.

Andando in avanti, anche se solo parzialmente, si somma la propria velocità a quella dell’attaccante e la misura esistente al momento dell’inizio dell’azione viene quindi erosa più velocemente da entrambe le parti, permettendo quindi di colpire l’avversario con la sua stessa arma, la sorpresa.

Le uscite in tempo, peraltro teorizzate ed eseguibili in ogni arma, trovano la loro massima applicazione nella specialità della spada, dove, com’è noto, non esiste il problema di dover sottostare alla ricostruzione convenzionale dell’azione. In effetti uscire  in tempo nel fioretto e nella sciabola ha un presupposto irrinunciabile, una conditio sine qua non: non essere raggiunti da alcuna stoccata dell’attaccante, che altrimenti renderebbe comunque vana l’uscita in tempo ai fini dell’attribuzione della stoccata.

Per contro nell’arma triangolare, dove l’unica norma del combattimento è quella basata sull’anticipo temporale del proprio colpo rispetto a quello dell’avversario, lo  spadista ha la più ampia opportunità di ricorrere liberamente all’uscita in tempo, che anzi dovrebbe rappresentare la sua migliore opzione sia tecnica che tattica.

Apriamo a questo proposito, come ormai siamo abituati a fare, una parentesi a mio parere estremamente interessante.

Abbiamo già affermato in altra parte di questo lavoro che l’attacco comporta per colui che lo esegue due vantaggi (che simmetricamente diventano svantaggi per chi lo subisce): l’attaccato non conosce né l’istante del suo inizio, né il bersaglio a cui esso è indirizzato.

Tuttavia l’attaccante, pur con l’ausilio dello scandaglio e delle conoscenze pregresse, non è in grado di avere certezze assolute sul tipo di reazione che incontrerà: l’avversario potrà retrocedere, parare, retrocedere e parare, retrocedere ed arrestare, uscire in tempo.

In altre parole rispetto all’univocità dell’attacco, le misure difensive messe in campo dall’attaccato potranno essere plurime, soprattutto in un’arma come la spada, dove non esiste un bonus convenzionale da spendere quando si attacca.

Il colpo d’arresto, che come abbiamo visto in precedenza deve assolutamente bloccare nelle armi convenzionali la stoccata avversaria, nella spada non solo si può tirare andando in avanti, ma anche e soprattutto andando all’indietro, quando cioè, portandosi fuori misura, l’attacco ha esaurito spazialmente la sua spinta e soprattutto la sua gittata  per poter giungere a bersaglio.

L’attacco, in effetti, può idealmente essere scomposto in tre fasi: una prima, rappresentata dal suo inizio, una seconda coincidente con la sua massima potenzialità, una terza consistente nell’esaurimento dell’energia e della spazialità dell’allungo.

Quindi l’azione offensiva risulta vulnerabile e di conseguenza aggredibile in due ambiti temporali ben determinati: al suo esordio, tramite alcune uscite in tempo, ma anche al suo termine, quando sia la postura di affondo sia il susseguente ritorno in guardia offriranno grosse opportunità tecniche di rivalsa all’attaccato.

Per quel che concerne il primo caso, quello della postura di affondo dopo un attacco infruttuoso, abbiamo già detto: ripetiamo qui che l’attaccante è in una posizione muscolare estrema, mentre l’attaccato è, più o meno, comodamente seduto in guardia; inoltre, anche in caso di statura sfavorevole, l’attaccato, dopo che l’antagonista ha prodotto l’affondo, risulta in una posizione più elevata (dal castello della propria guardia si può colpire meglio chi sta in basso; ecco perché i manieri venivano costruiti sulle alture e non nelle depressioni del terreno!). D’altra parte l’avversario, pur ricorrendo ad un buon uso di copertura della propria coccia, non è in grado geometricamente di opporsi validamente  alla linea nemica più alta.

Per quel che concerne il secondo caso, cioè quello del ritorno in guardia, aggiungiamo qui: la fase di rientro rappresenta un notevole sforzo muscolare e soprattutto coinvolge la totalità degli arti di chi ha prodotto l’attacco; le varie parti del corpo  si muovono tutte (tranne il piede dietro che funge da base per il rientro), per cui appare di un certo impegno sommare a quest’attività anche altri movimenti tecnici particolari del braccio armato, ad esempio una controparata.

Al contrario chi ha subito l’attacco è ancora in guardia e può, se di caso, sferrare anche un attacco in contropiede, approfittando delle difficoltà della ritirata dell’avversario.

In avanti o all’indietro che siano, questo genere di stoccate è basato, realizzazioni tecniche specifiche a parte, su una marcata capacità di percepire il tempo, o meglio il tempo di realizzazione dell’attacco avversario.

Siamo quindi in presenza di un elemento relativo, cioè di un valore che è il risultato della piena percezione del rapporto di velocità che i due contendenti, entrando in relazione dinamica tra loro, possono mettere in campo.

Non vorrei che da tutto quanto sopra detto scaturisse un equivoco: è meglio non attaccare.

Dopo aver ricordato, se ce ne fosse bisogno, che stiamo argomentando sulla specialità della spada, specifico meglio il mio pensiero: reputo che dell’attacco, come del resto di tutte le altre applicazioni tecniche, non si debba abusare; diciamo quindi che sono per un suo uso discreto e parsimonioso.

L’effetto sorpresa, come abbiamo già commentato, è uno dei pilastri concettuali dell’attacco; ma che sorpresa ci può essere se attacco molto frequentemente (l’avversario registra questo atteggiamento e prende di sicuro i provvedimenti del caso); per contro, più diluisco nel tempo gli attacchi (che al limite posso anche a seconda dei casi non  sviluppare mai), più essi saranno inattesi e troveranno l’avversario teoricamente più impreparato all’evento.

Ecco perché nella scherma in genere, ma soprattutto nella spada è molto importante mettere a segno non dico il primo, ma i primi colpi e riuscire quindi a condurre l’assalto nel computo delle stoccate.

L’onere di rincorrere il punteggio, con il tempo che continua inesorabilmente a scorrere, configurare una chiara situazione in cui uno dei due contendenti ha prima o poi  la necessità assoluta di prendere l’iniziativa d’attacco.

La conoscenza di questo stato di cose non può non favorire chi ne è al corrente: essere in vantaggio è sicuramente un valore aggiunto dagli importantissimi risvolti tattici; il più è essere in grado di saperli sfruttare.

Lo ripeto, soprattutto nella spada, questa situazione deve essere utilizzata: si può uscire in tempo, cercare il colpo doppio o preparare oculatamente anche un proprio attacco (questa sì che è, se ben gestita, una sorpresa!).

Un vantaggio di punteggio, anche esiguo, non si tutela solo facendo scorrere il tempo, ma anche e soprattutto scegliendo le azioni tecniche più idonee alla situazione e, naturalmente, alle caratteristiche dell’avversario.

Siamo piacevolmente scivolati dalla tecnica alla tattica: in queste situazioni si deve essere capaci, da una parte e dall’altra del punteggio, di fruire di quei fondamentali meccanismi che sono l’uscita in tempo, il controtempo e la finta in tempo.

In conclusione vorrei sottolineare l’importanza dell’uso tattico dell’attacco: nel corso dell’assalto, naturalmente in funzione dello sviluppo del punteggio, è di fondamentale importanza gestire oculatamente il numero complessivo, la distribuzione nel tempo e l’alternanza delle proprie determinazioni d’attacco.

Ogni assalto ha poi la sua storia: si può mettere bene o male per uno dei due contendenti, ma lo schermitore esperto non può non tener conto di queste situazioni di punteggio, che, trascorrendo il tempo, contraggono sempre più le possibilità di chi è in svantaggio, limitandolo non tanto nelle sue scelte tecniche che restano sempre integre,  ma ingabbiandolo sempre più nella scelta delle sue determinazioni d’attacco.

Ancora una volta, anche se credo che non ce ne sia più bisogno, vorrei ribadire il fatto che queste elucubrazioni tecniche si avvicendano su un canovaccio puramente teorico: se è vero che ad ogni azione corrisponde sempre e comunque una reazione contraria dell’avversario di possibile successo, è altrettanto vero che ad un’azione ben impostata nei suoi presupposti (misura, tempo e tecnica) difficilmente sfugge il bersaglio.

Questo per richiamare l’attenzione sul fatto che in fin dei conti sulla pedana si vengono a contrapporre valori di carattere assolutamente pragmatico: il rapporto tra le potenziali velocità dei contendenti, il rapporto tra la loro caratura tecnica, la capacità di vedere la stoccata giusta, la determinazione con cui i colpi vengono eseguiti e, buon ultima, la fortuna.

Con ciò chiudo questa lunga chiosa.

Scrivere di scherma, lo devo confessare, è entusiasmante: sezionare un’azione, costruire un dialogo tra le lame, teorizzare un comportamento tecnico –  tattico,  individuarne gli estremi spaziali e temporali della migliore esecuzione è senz’altro utile;

…poi l’avversario ti colpisce con una botta dritta!

Qui, a mio parere, sta la bellezza della nostra disciplina: si può essere di poche parole e si tira la botta dritta di cui sopra, si può essere più ciarlieri e fare un’azione con finta oppure logorroici e farne una con più finte; si può essere incisivi e tirare un’uscita in tempo, oppure essere manzoniani e tirare una finta in tempo.

L’importante, comunque, è saper parlare, magari in diversi modi: la cosa più importante è non farsi capire dall’avversario.

Ecco forse perché i trattati parlano di fraseggio schermistico!

 

5 – Bersagli ed iter delle stoccate

In alcuni capitoli abbiamo contingentemente parlato del raggiungimento dei colpi sui bersagli; qui di seguito riassumiamo e specifichiamo più in profondità quest’argomento.

L’idea di bersaglio non può prescindere da quella di un’ideale traiettoria da seguire per raggiungerlo: se ciò già vale per un bersaglio fisso al quale poter tirare liberamente, come ad esempio nel tiro a segno, figuriamoci nella scherma dove la superficie da colpire è pressoché in costante movimento, oltre ad essere attivamente vigilata dal  braccio armato che si propone il compito di difenderla.

Quindi nell’iter che una stoccata deve compiere per poter raggiungere un bersaglio possiamo distinguere: una fase spaziale, una fase tecnica d’intervento sulla difesa avversaria e infine una fase d’impatto su una superficie corporea.

La prima, quella spaziale, consiste nel riuscire a coprire tutta la misura che separa i due contendenti, partendo da quella esistente all’inizio dell’azione e tenendo conto che l’avversario sull’incalzare dell’avanzata può decidere di arretrare.

A questo proposito lo schermitore può ricorrere allo sviluppo di un’azione camminando , ovvero facendo precedere l’affondo da un passo avanti.

Le configurazioni spaziali possibili potranno essere: misura d’allungo su un avversario che non retrocede, misura camminando su un avversario che retrocede, misura camminando da lunga misura su un avversario che non retrocede, misura camminando da lunga misura su un avversario che retrocede.

Comunque sia lo spazio sarà ripartito ulteriormente in zona d’eventuale avvicinamento, zona d’interlocuzione con l’avversario (la sua difesa) e, una volta sorpassata questa, zona di percorrenza dello spazio residuo per raggiungere il suo bersaglio

La fase tecnica è quella che consente di superare il potenziale sbarramento difensivo che il braccio armato dell’avversario può mettere in atto: può realizzarsi con la massima sorpresa tramite la botta dritta, può avvalersi di un intervento sul ferro antagonista con battute o legamento seguito da colpo, può risolversi in una  cavazione, può avvalersi di una o più finte o infine, approfittando di situazioni particolari, sviluppare le dinamiche delle cosiddette azioni ausiliarie.

Tali attività, come appena sopra ricordato, potranno precedere lo spostamento in avanti, se i contendenti si trovano a giusta misura, oppure essere realizzate con un  attacco camminando dopo un’iniziale fase di avvicinamento all’avversario.

In ultimo c’è la fase d’impatto del colpo sul bersaglio: a questo proposito è ovviamente necessario distinguere tra colpi di punta e colpi di lama.

Nel primo caso la superficie di contatto sul bersaglio è molto esigua, appunto la testina della punta elettrificata; mentre nel secondo è piuttosto estesa, tutto il segmento rappresentato dalla lunghezza della lama. Quindi per le stoccate portate con la lama ci sono molte più opportunità spaziali d’impatto rispetto a quelle portate con la punta.

Per di più queste ultime, contrariamente a quelle di lama, hanno anche il problema di esercitare una certa quantità minima di pressione sulla molla affinché il colpo venga segnalato secondo i parametri stabiliti dal Regolamento.

Ma poter schiacciare una molla implica anche il fatto che la superficie della testina deve essere in un certo rapporto rispetto al piano della superficie del bersaglio: se la punta non trova una resistenza di forza maggiore rispetto a quella della pressione esercitata, c’è il pericolo che essa scivoli via senza raggiungere il prescritto grado di pressione e quindi senza originare la segnalazione del colpo. Tale resistenza può essere assicurata o da una sufficiente  angolazione  tra  la  superficie  impattante  e  quella  d’impatto  oppure  da   un

ancoraggio procurato da un rilievo di questa superficie, tipo una piega della divisa o del guanto.

Se mettiamo in relazione queste osservazioni con il fatto che la maggior parte dei bersagli dello schermitore, soprattutto il suo tronco, non è perpendicolare alla linea d’attacco, bensì solo modestamente angolato, ne scaturisce la preoccupazione che, tirando il colpo con traiettoria rettilinea parallela alla linea direttrice, esso abbia poche probabilità di raggiungere in modo idoneo il bersaglio avversario.

Spezzando al polso la linea del braccio armato, sarà quindi utile ricorrere ad opportune angolazioni, che garantiscano migliori probabilità d’impatto utile sulle diverse superfici corporee nemiche.

Per ultimo ci resta da fare alcune considerazioni sulla traiettoria dei colpi, ovvero sul tipo di spostamento spaziale che l’arma dell’attaccante deve compiere per raggiungere il bersaglio dell’avversario.

Anche a questo proposito si ripresenta la bipartizione che abbiamo citato poco sopra: la traiettoria di un colpo vibrato con la lama rispetto a quello portato di punta.

Con la lama si può colpire di sciabolata cioè portando direttamente il ferro sul bersaglio, di fendente svincolandosi prima da un legamento dell’avversario, di molinello  e/o di traversone cioè tramite una torsione del pugno armato.

Con la sciabolata, tramite l’allineamento del braccio armato, la traiettoria del ferro sarà inizialmente rettilinea, per poi culminare con un movimento di oscillazione in avanti della lama grazie ad un movimento repentino del polso nella stessa direzione.

Con il fendente la strada percorsa dalla lama sarà del tutto diversa in quanto per liberarsi dal legamento messo in opera dall’avversario essa prima dovrà oscillare all’indietro per poi andare sul finire a bersaglio con le stesse modalità della sciabolata.

Con il molinello, che serve a disimpegnarsi da particolari posture spaziali (tipo la parata di prima), la traiettoria prima segue un movimento semicircolare per poi risolversi nella solita sciabolata finale.

Con il traversone, che è una singolare modalità di risposta dalla parata di quinta, lo spostamento avviene in senso rotatorio secondo le lancette dell’orologio dall’alto verso il basso per poi riposizionarsi nella postura di guardia.

Anche per quello che riguarda i colpi portati di punta esistono varie possibili traiettorie.

Innanzitutto quelle lineari, dove la punta, grazie al raddrizzamento completo del braccio armato, percorre il minore segmento spaziale che congiunge idealmente il punto iniziale di partenza con quello di arrivo sul bersaglio avversario.

In secondo luogo quelle semilineari, dove l’angolo al polso impostato per entrare sotto le parate dell’avversario spezza il braccio armato in due parti distinte, costituite appunto dal braccio e dall’arma.

A seguire quelle di coupé, dove l’esigenza di svincolarsi dal legamento avversario in modo alternativo alla cavazione porta il ferro prima ad oscillare all’indietro (come il fendente nella sciabola) per poi raggiungere il bersaglio descrivendo nello spazio un arco di circonferenza.

Infine quelle di fuetto, dove la traiettoria è sempre rappresentata da un arco di circonferenza, ma il movimento del braccio armato, a differenza del coupé, è subito in avanti accompagnato da un modesto arretramento solo della punta necessario per vibrare il colpo di frusta con il polso.

A conclusione dell’argomento vorrei mettere a confronto le due modalità principali di tirare il colpo: quella lineare e quella di fuetto.

Come spesso accade in entrambi i casi lo schermitore si trova di fronte simultaneamente a vantaggi e svantaggi, per cui saranno solo le diverse contingenze e la sua libera scelta a farlo propendere per una o per l’altra soluzione; ricordando e ribadendo

ancora una volta che la vera ricchezza tecnica di un tiratore è quella di saper sempre alternare all’occasione azioni e colpi diversi.

Così è indubbio che una stoccata lineare risulterà più sicura per quello che riguarda l’impatto sul bersaglio, ma giacendo sulla sua traiettoria per un periodo maggiore rispetto al fuetto sarà più facile e prevedibile preda della difesa avversaria.

Per contro il colpo lanciato di fuetto svilupperà una velocità maggiore e descriverà traiettorie più inconsuete (aggirando e rendendo anche vane alcuni tipi di parata), tuttavia pagherà pedaggio sulla precisione del colpo, anche nell’ottica del rispetto del  tempo minimo di contatto necessario per la registrazione della stoccata, soprattutto nel fioretto.

In conclusione l’iter di ogni stoccata diviene nella sua applicazione il  complicatissimo risultato di una lunga serie di rapporti spaziali e temporali.

A questo proposito non aveva torto Pitagora che vedeva tutta la realtà ridotta a numero: coordinate spaziali della misura, coordinate spaziali dei movimenti del braccio armato dell’attaccante, di quello che difende, del bersaglio sul quale è indirizzato il colpo d’attacco o quello di risposta oppure di uscita in tempo, scansione cronometrica dei tempi della determinazione d’attacco, di difesa, di controffesa.

Insomma una specie d’insieme intricato di valori da tenere costantemente sotto controllo come fa un pilota d’aereo sul suo quadro di comando durante la conduzione del velivolo.

Gran parte dell’esito finale di ogni stoccata dipende appunto dalla capacità dello schermitore d’impostare, di sorvegliare, correggere ed adeguare questi valori in relazione agli istanti topici di un’azione d’attacco o di difesa, ovviamente sia propri che dell’antagonista.

Nel corso della propria crescita tecnica, l’evoluzione di un tiratore consiste nel demandare tali funzioni di controllo progressivamente alla sfera del suo subcosciente, al fine di poter incentrare tutte le proprie energie mentali sulla tattica d’assalto, ovvero sulla scelta, la programmazione, la realizzazione esecutiva e soprattutto la verifica finale del colpo ritenuto più idoneo per prevaricare l’avversario.

Una specie di bipartizione dei compiti di comuni sistemi informatici: una RAM (Random Acces Memory) che ha il compito di “far girare” i programmi (allocazione   spazio

– temporale delle azioni) e una parte che contiene appunto i programmi da utilizzare (le azioni schermistiche vere e proprie).

 

 

6 – La scelta di tempo

Come suggerisce lo stesso termine, la scelta del tempo consiste nel saper individuare prima ed attuare poi al momento più opportuno una propria determinazione.

Non è un concetto tecnico – tattico vigente solo nella scherma o in un’altra disciplina sportiva, quanto piuttosto una metodologia comportamentale rinvenibile nella  vita di tutti giorni: ne siano una prova le espressioni “si è inserito bene nella discussione”, “ha preso la palla al balzo”.

Il nucleo del concetto sta nel trovare un rapporto diretto, una sintonia tra l’inizio di un certo tipo di attività e il fine che tale attività si prefigge.

Un esempio calzante e concreto può essere quello di un automobilista che, incrociando una strada più importante, deve dare la precedenza agli altri autoveicoli: quando si avvicina all’innesto, se vede che non sta sopraggiungendo nessuno, non essendoci lo stop, può anche non arrestare la macchina ed immettersi immediatamente; diversamente, se si sta avvicinando qualcuno, dovrà valutare la sua distanza, la sua velocità di accostamento e metterle in relazione alla propria capacità di riuscire ad anticipare il suo arrivo nel rispetto del codice.

In questa similitudine credo che siano molti punti di contatto con la situazione di pedana circa la scelta di tempo di cui stiamo parlando: due distanze da mettere in relazione tra loro, due valutazioni della velocità anche queste da comparare tra loro in riferimento diretto anche alla spazialità complessiva, un tipo di attività contrapposta ad un’altra, la necessità di stare doverosamente entro precisi limiti di sicurezza. E alla luce di tutto questo, la necessità quindi di differenziare nel tempo l’istante del proprio intervento, vincolandolo alla presenza di certi presupposti necessari: ho la facoltà di fare subito cosa ho in mente, devo invece attendere solo qualche istante, devo prolungare la mia attesa.

I trattati di scherma non è che si dilunghino sull’argomento, riuscendo in fin dei conti a dare poche e scarne istruzioni in merito.

Comunque è indubbio che tutto ruota attorno alla seguente indicazione: la scelta di tempo consiste nel saper approfittare di quell’attimo nel quale viene ad essere ridotta l’attività e la concentrazione dell’avversario.

Quindi valorizzazione al massimo di quell’effetto sorpresa di cui abbiamo già parlato in altra parte di questo lavoro; e sorpresa significa tendere a ridurre quanto più è possibile la capacità dell’avversario di attuare una propria valida difesa.

In altre parole si deve lavorare sui suoi tempi di percezione, affinché essi nel lanciare il segnale d’allarme risultino in netto ritardo rispetto all’inizio effettivo dell’attacco, ottenendo in tal guisa non solo un prezioso guadagno temporale, ma producendo nell’avversario impreparato una reazione più istintiva che guidata dalla logica tecnico – tattica.

Le situazioni in cui uno schermitore può valorizzare la propria scelta di tempo possono essere oggettive, o meglio riprodotte da un comportamento dell’avversario, oppure indotte dallo stesso tiratore.

Tra le prime ricordiamo innanzitutto quelle connesse ad un uguale cambiamento di posizione del braccio armato che l’avversario reitera con una certa costanza nel tempo.

Il movimento di traslazione da una postura all’altra, soprattutto preso nel suo nascere, limita notevolmente i tempi di reazione dello stesso: dopo la percezione del pericolo, esso deve fermare la sua corsa, e, dopo l’arresto, deve ripartire di sana pianta verso la zona dove è richiamata la sua presenza. Sono queste le cosiddette azioni in tempo, delle quali abbiamo ampiamente parlato in precedenza.

Un’altra opportunità tecnica che esalta la scelta di tempo dello schermitore è costituita dal tipo di attacco subito dall’avversario.

Già su un attacco cosiddetto semplice lo spadista ha l’opportunità, sfruttando il principio della precedenza temporale della stoccata, di rubare il tempo all’avversario: il colpo d’arresto richiama, anche se l’immagine non è tra le  più piacevoli, l’attività del cecchino.

Su ogni attacco, anche il più lineare e anche se condotto su un bersaglio avanzato, grava sempre, in un certo istante X, il pericolo del colpo d’arresto. Abbiamo già dato ampio spazio altrove a queste considerazioni; qui sarà sufficiente ricordare che la linea d’attacco durante la produzione dell’allungo si abbassa clamorosamente rispetto a quella dell’avversario, che, anche se di minore altezza, si troverà, appunto nell’istante X , a dominare dall’alto l’attaccante.

La scelta di tempo, per aver successo, s’incentra appunto nello sfruttare questo brevissimo lasso di tempo.

Nel fioretto e nella sciabola la presenza della Convenzione esclude la validità di questo tipo di colpo, almeno da un punto di vista  teorico.

Ma è nell’attacco composto che salgono notevolmente le quotazioni della scelta di tempo: la presenza di più movimenti dell’avversario, intervallati dal tempo necessario per eludere le parate provocate dalla o dalle finte, concede l’opportunità all’attaccato di interrompere tale attacco, producendo la cosiddetta uscita in tempo.

Come nel precedente caso del colpo d’arresto dello spadista, così anche in questi casi di uscita in tempo, ogni errore sulla valutazione dell’istante opportuno per produrre la contraria, verrà pagato molto caro, nel senso di favorire addirittura l’azione d’attacco dell’avversario. Sia sufficiente l’immagine di una passata sotto anticipata rispetto all’esecuzione della determinazione nemica: lo schermitore si ritroverebbe praticamente in ginocchio (o peggio) nei confronti dell’avversario.

Ma è lo stesso tiratore che può cercare di riprodurre una situazione in cui valorizzare la propria scelta di tempo: è il caso del cosiddetto controtempo.

In questo caso viene finto un attacco al fine di sollecitare l’uscita in tempo dell’avversario. Il vero attacco verrà scatenato dal controtempista, che per avere successo dovrà riuscire ad azzeccare il giusto istante in cui intervenire sull’iniziativa indotta dell’avversario.

Il filo logico ci conduce, infine, alla finta in tempo: qui ritorniamo ad un’azione che viene iniziata dall’avversario, il quale vuole mettere in atto un controtempo; per sfuggire a questo suo colpo è necessario non eseguire l’attesa uscita in tempo, ma solo fintarla, evitando successivamente il ferro dell’avversario e, finalmente, portare il nostro colpo.

Che lotta! E ciò che affascina in tale sequenza di accadimenti non è tanto la successione tecnica di movimenti più o meno complessi, quanto lo sfondo che domina la scena, ovvero la capacità di cadenzare e armonizzare tali movimenti nel tempo; in una parola ritmica e musicalità del fraseggio schermistico.

Vorrei concludere l’argomento ritornando sul tema dell’istante più idoneo in cui far partire le proprie azioni d’attacco.

Sappiamo che la misura tra gli schermitori non è fissa, ma che spesso riproduce un movimento simile a quello del mantice della fisarmonica: le cause si devono ricercare nella contrapposizione tra chi, volendo attaccare, tende a stringere misura e chi, per contro, è animato dall’interesse opposto, cioè a sciogliere misura.

Ebbene, saper attendere l’istante più propizio per scatenare il proprio attacco, quello tanto per intendersi che ci vede più vicini all’avversario, si risolve praticamente nel possedere una buona scelta di tempo.

E non mi riferisco solo alle azioni di attacco semplice, quelle tanto per intendersi che, tramite la sorpresa,  hanno la presunzione di anticipare qualsiasi reazione difensiva dell’avversario; ma anche a quelle composte, che riuscendo a dare alla finta un’ ulteriore forza espressiva inaspettata, hanno più probabilità di perpetrare l’inganno che si ripropongono.

C’è un’altra azione caratteristica che presuppone nell’esecutore una discreta capacità d’intervenire in tempo: la presa di ferro e colpo.

La dinamica si basa sulla capacità dell’attaccato di impossessarsi del ferro avversario che sta ancora percorrendo la linea di offesa, lontano da quella zona d’intercettazione finale nei pressi del bersaglio che caratterizzerebbe una parata.

Interessante è anche, infine, il rapporto tra velocità e scelta di tempo: il primo si risolve in un diretto confronto con le pari qualità dell’avversario, naturalmente a parti invertite (azione – reazione contro reazione – azione). Il secondo, pur basandosi su un mirato intervento temporale sull’avversario, resta solo un accessorio del primo.

In ultima analisi, quindi, la scelta di tempo non è altro che un potenziamento della velocità.

 

 

 7 – Studio dei vari aspetti del tempo

 

Il tempo come attesa
Attendere, aspettare sono verbi che indicano un atteggiamento volto a collegare due accadimenti legati tra loro da una successione temporale: uno costituisce nel tempo il prodromo dell’altro. In altre parole si crea nel divenire della realtà un nesso di casualità tra due eventi, subordinando la realizzazione del secondo al manifestarsi del primo.

A questo proposito il termine premeditare è definito dal vocabolario come “maturare un proposito, in genere non buono” e, com’è noto, la premeditazione costituisce per il reo un’aggravante dei delitti che vengono giudicati nelle aule di tribunale.

Ebbene una delle maggiori qualità che deve avere uno schermitore è appunto quella di saper premeditare il colpo, cioè di costruirlo attraverso l’osservazione dell’avversario e soprattutto di saper attendere pazientemente che si verifichino le condizioni ottimali per tirarlo, cioè per renderlo effettivo.

Etimologicamente pre – meditare (pensare prima) sta in effetti ad indicare tutto un insieme di attività volte ad analizzare una certa situazione alla quale poter rispondere a suo tempo in modo adeguato e vincente.

In relazione a tutto ciò il tempo assume quindi anche per lo schermitore una sua sfaccettatura particolare: l’attesa.

Lo schermitore in pedana applica il concetto di attesa in svariati modi e situazioni, sia tecnici che tattici.

Dopo l’a – voi, entrambi i contendenti, soprattutto se non si sono mai incontrati prima, si scrutano, si osservano, si studiano: ognuno attende che questa fase partorisca innanzitutto la decisione se attaccare o se difendersi e nel caso dell’attacco, quale azione poter sviluppare con maggiori probabilità di successo.

In un altro capitolo di questo lavoro abbiamo visto l’importanza fondamentale delle fasi di esordio dell’assalto: impostare bene il match sin dall’inizio non solo dà il vantaggio psicologico di condurre nel punteggio, ma consente anche di poter gestire meglio tecnicamente l’incontro. Chi parte in svantaggio ha invece l’onere d’inseguire l’avversario e col trascorrere del tempo può avere a che fare con un altro nemico, la fine del tempo regolamentare di combattimento.

Ogni frettoloso errore di valutazione nella scelta di come portare l’attacco si può pagare ben caro, esponendoci incautamente alla reazione difensiva dell’avversario.

Per attaccare è necessario abbandonare la propria guardia, quindi l’attacco implica uscire dal proprio castello difensivo e andare in campo aperto, percorrere la distanza che ci separa dall’avversario ed infine attaccare le mura del suo maniero, mentre lui è sugli spalti ad attenderci per colpirci di rimessa.

In altre parole ogni attacco implica una propria esposizione all’avversario: il più delle volte, incentrando la nostra attenzione soprattutto su ciò che di positivo esso ci può dare (la stoccata), tendiamo a sottovalutarne i risvolti negativi ed i rischi ad esso connessi.

Quindi attacco sì, ma premeditato, coscienzioso e centellinato: insomma un’applicazione pratica di quel celebre detto “cum iudicio” di manzoniana memoria.

Per le armi convenzionali, ovviamente, va fatto un discorso particolare: l’attacco è premiato dalla priorità che la Convenzione schermistica gli attribuisce; i presidenti di giuria, soprattutto nei circuiti minori, sorvolano spesso sulla conformità qualitativa degli attacchi al Regolamento (punta che minaccia un bersaglio valido, distensione del braccio armato…); il materiale consente fuetti nel fioretto ed il Regolamento ammette piattonate nella sciabola, gesti che di fatto mortificano, aggirandola, la difesa col ferro.

Tutte situazioni che di fatto sulla pedana attribuiscono all’attacco una valenza maggiore di quanto non sia nelle vere intenzioni del legislatore sportivo.

Conclusione ovvia, in quanto utile: uso sproporzionato dell’attacco, anzi vero e proprio suo abuso. E in tali condizioni sarebbe invero da ingenui non approfittarne!

Un altro tipo di attesa è quello collegato ad una precisa scelta tattica: uno schermitore decide di lasciare l’iniziativa all’avversario e restare in agguato contando sulla propria difesa, che sia una parata col ferro seguita dalla risposta oppure un’uscita in tempo.

Vari possono essere i motivi alla base di una decisione del genere: una difficoltà riscontrata nel portare il proprio attacco sul tipo particolare di avversario che ci si trova di fronte, una riscontrata carente qualità dei suoi attacchi con la conseguente possibilità di poterne approfittare… la libera scelta dello schermitore.

Sempre nell’ambito della tattica si evidenzia un altro tipo di attesa: quella che viene applicata da colui che è in vantaggio di una o più stoccate e cede la mano, lascia l’iniziativa all’avversario, contando sul fatto che il tempo che scorre gioca a suo vantaggio.

L’argomento di cui stiamo trattando ci permette di ritornare su una delle più importanti bipartizioni delle azioni d’attacco: quelle a propria scelta di tempo e quelle in tempo.

Nel primo caso, dove l’atteggiamento dell’avversario permane inalterato per un apprezzabile periodo di tempo, la decisione di quando dare inizio all’azione d’attacco dipende esclusivamente dalla volontà dell’attaccante. Se, ad esempio, premedito di eseguire una battuta e botta sull’arma in linea dell’avversario, non sono legato da alcun vincolo temporale di attesa, almeno sino a quando l’avversario mantiene quell’atteggiamento sul quale ho costruito la mia determinazione d’attacco.

Nel secondo caso la situazione è completamente ribaltata: l’atteggiamento è variabile nel tempo e di conseguenza l’istante in cui sviluppare l’attacco è vincolato invece al preciso istante in cui l’avversario assume quella particolare configurazione, che costituisce il prodromo spaziale della determinazione d’attacco. Se, ad esempio, il braccio armato nemico si sposta con una certa frequenza X da un invito alla posizione di arma in linea, le due opportunità di attacco che ho, la botta dritta o la battuta e colpo, sono ovviamente collegati alla particolare postura assunta nei due diversi istanti, T1 e T2.

In buona sostanza, dopo avere premeditato un certo tipo di colpo, dovrò attendere l’istante idoneo per poter sviluppare tecnicamente l’azione ed essa, di conseguenza, diventerà in tempo.

A questo proposito è doveroso fare una considerazione: l’attesa, oltre che prolungarsi per un periodo più o meno breve, può anche in teoria protrarsi infruttuosamente per tutta la durata dell’incontro. In effetti l’atteggiamento osservato nell’avversario e sul quale abbiamo costruito la nostra contraria può non verificarsi più (ad esempio l’antagonista non rimettere mai la sua lama in linea).

Col trascorrere del tempo è quindi necessario ricercare altre configurazioni tecniche per crearsi altri sbocchi esecutivi per la conduzione dell’assalto. Tuttavia è bene non resettare completamente lo schema dell’originaria congettura per essere sempre pronti (non si sa mai) ad attuarla: rischieremmo di fare la fine del sottotenente Giovanni Drogo, che nel “Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati aspetta per tutta la vita i nemici e poi, quando finalmente arrivano, ormai non è più pronto ad affrontarli.

Possiamo rinvenire un’altra applicazione tecnica del concetto temporale di attesa nello sviluppo delle azioni composte, che, come abbiamo già visto, sono tali in quanto si prefiggono l’elusione di almeno una parata dell’avversario.

Qui l’attesa consiste nell’aspettare la reazione avversaria sollecitata dall’iniziale finta.

L’iter è: esecuzione della finta, intervento di svincolo sulla parata provocata, raggiungimento del bersaglio avversario.

La prima fase, quella della finta, (che a sua volta può essere eseguita a propria scelta di tempo o in tempo), è seguita dalla parata indotta dell’avversario, che, ovviamente, la esegue con i propri tempi di reazione.

Abbiamo già evidenziato che la seconda fase, quella dello svincolo, è necessariamente vincolata a questi tempi di reazione: in pratica l’attaccante deve quindi armonizzare i tempi di elusione della parata con quelli della sua realizzazione a cura dell’attaccato; in altre parole deve attendere la reazione dell’avversario.

Un’attesa tecnica, la cui valutazione di durata risulta fondamentale: infatti, se la realizzazione dello svincolo è anticipata rispetto alla parata il movimento risulta completamente inutile e non evita la successiva intercettazione del ferro; se invece la realizzazione è ritardata non riesce ad evitare la parata stessa con la conseguenza di inficiare tutta l’azione e prendersi la stoccata di risposta (sic!).

Ricordiamo infine le attese tecniche che caratterizzano la realizzazione delle uscite in tempo, del controtempo e della finta in tempo.

Quasi un crescendo rossiniano: nelle uscite in tempo si deve aspettare l’inizio dell’attacco dell’avversario – nel controtempo la sua reazione alla nostra provocazione d’attacco – nella finta in tempo in prima battuta il suo iniziale attacco e in seconda battuta l’esecuzione della sua contraria alla nostra uscita in tempo.

Lo schermitore evoluto deve avere la capacità di tenere sempre sotto controllo il rapporto tra queste variabili e dalla loro analisi trarre indicazioni di come condurre le successive fasi dell’assalto, mantenendo o, all’occasione, cambiando repentinamente tattica. Sarà poi l’atteggiamento prescelto che lo porterà a tirar fuori dal suo bagaglio tecnico le azioni più idonee per attuare i suoi intendimenti.

A conclusione dell’argomento vorrei brevemente richiamare l’attenzione del lettore su una dote comportamentale che è connessa in modo diretto al concetto di attesa, la pazienza.

Lo schermitore ideale deve essere paziente, anzi pazientissimo: deve essere abituato al controllo delle proprie azioni e reazioni.

Il match sulla pedana si conduce al meglio se si percorrono determinate tappe: si studia l’avversario, si rinviene l’azione più idonea per prevaricarlo, si attendono le condizioni spazio – temporali idonee per la realizzazione del colpo e, solo dopo tutte queste attività, si vibra il colpo.

Può capitare, come abbiamo appena visto, che si debba anche attendere che l’avversario stesso assuma un determinato atteggiamento oppure inizi la sua determinazione d’attacco.

Insomma tutte attività e situazioni che per verificarsi necessitano di un significativo lasso di tempo.

Per di più talune devono essere anche concomitanti, come ad esempio nel caso della battuta e colpo, dove non solo l’avversario deve avere l’arma in linea, ma anche essere alla misura giusta.

In altre parole, per poter sviluppare un’azione tutti i relativi parametri spazio – temporali devono collimare; lo schermitore deve assolutamente avere la pazienza di attendere il loro completo allineamento.

Se si agisce diversamente, ovvero se ci si fa prendere dalla frenesia della stoccata e si agisce d’impulso, il colpo rischia di essere sviluppato non in condizioni ideali di realizzazione e quindi sicuramente perde molto della potenziale efficacia.

Al limite, come abbiamo già detto in precedenza, può anche capitare d’ideare una certo tipo di azione, alla quale dover in seguito rinunciare perché certi presupposti necessari al suo sviluppo non si presentano più nel prosieguo dell’assalto.

Se l’avversario adotta più moduli posizionali, dobbiamo essere pronti a più soluzioni, attuando quella più consona alle nostre prerogative.

Anche in questo caso il concetto di attesa sarà fondamentale: l’azione sarà, come abbiamo già visto, in tempo in quanto presupporrà che lo schermitore aspetti che l’avversario passi da un certo tipo di atteggiamento ad un altro differente.

Lo schermitore ha tutto il tempo (e lo spazio) per la stoccata.

Quest’affermazione, essendoci per Regolamento precisi limite temporali e spaziali allo svolgimento del match, naturalmente va interpretata in senso relativo: avere tempo e spazio significa non precipitare l’azione, ma cogitarla ed eseguirla nell’istante più favorevole.

Ideare un colpo, cioè trovare un’idonea contraria all’avversario, in alcuni casi può presentare già delle difficoltà; ma per ogni schermitore un discreto ostacolo è costituito anche dal riuscire a trasportarlo nella realtà esecutiva, cioè a modularlo alle numerose variabili di pedana, a cucirlo addosso all’antagonista che si trova di fronte: misura e cambiamenti di misura, posizioni del braccio armato più o meno statiche, reazioni prefigurate o sue variazioni nel tempo, rapporti di velocità esecutiva e così via.

Per finire il capitoletto una piccola nota di ordine comportamentale, quasi da appendice “delle Operette morali” del Leopardi.

Imparare a gestire in modo proficuo l’attesa di un qualsiasi evento non è solo un’utile dote dello schermitore, ma diventa poi un patrimonio della persona intesa nella sua globalità.

Se attendere significa organizzare una propria risposta da dare ad una determinata situazione da risolvere al meglio, essa presuppone:  innanzitutto padronanza dei propri impulsi emotivi, valutazione della situazione, verifica delle proprie risorse in rapporto alle necessità evidenziate, organizzazione ottimale delle proprie congetture, eventuale paziente attesa dei presupposti necessari per la loro esecuzione e infine ambito temporale necessario per la migliore esecuzione tecnica della propria risposta all’evento.

Se tutto questo non vuol dire essere paziente!

 

Il tempo come istante

Il tempo nel suo divenire talvolta può costituire lo spartiacque tra due situazioni differenti, se non proprio addirittura alternative: in questo caso segna il passaggio tra due habitat situazionali diversi, che, presentando una mutazione di caratteristiche, presuppongono in chi li vive una capacità di adattamento e di scelta di modalità comportamentali alternative.

L’assalto di scherma sotto questo aspetto costituisce appunto una realtà in continua evoluzione: gli spostamenti ininterrotti, le reciproche variazioni di misura, l’esecuzione delle varie fasi delle azioni tecniche, l’altalena delle prese d’iniziativa, si alternano talvolta con ritmo incalzante.

Tutto questo continuo divenire risulta, pur in modo impercettibile, frazionato e suddiviso in singole parti: lo spostamento di uno dei due contendenti può iniziare per poi arrestarsi, uno dei due ferri può cercare un legamento e trovarlo o meno, un’azione d’attacco può cominciare a svolgere i suoi singoli movimenti tecnici per poi interrompersi e così via.

Ebbene questo capitolo vuol portare l’attenzione sul preciso istante, su quell’attimo brevissimo, che rappresenta la fine di un qualcosa e l’inizio di un qualcos’altro.

Quando in precedenza abbiamo sviluppato il tema della scelta di tempo, in quell’occasione abbiamo sottolineato l’importanza di far coincidere subitaneamente la partenza dell’attacco con l’inizio del mutamento dell’atteggiamento del braccio armato dell’avversario.

Qui vogliamo affrontare il problema da un’ottica più grandangolare, incentrando l’attenzione sulla definizione delle varie scansioni temporali che separano le diverse tipologie di attività sulla pedana.

Riuscire ad individuare con precisione questi esigui momenti di passaggio tra le diverse situazioni dà la possibilità allo schermitore di elaborare la migliore contraria prima, durante e dopo un certo tipo di attività dell’avversario.

Ad esempio è di fondamentale importanza riuscire a percepire l’istante in cui quest’ultimo sta per scatenare il suo attacco: osservando e studiando la sua attività preparatoria, si può infatti ridurre nei nostri confronti il suo effetto sorpresa, sino quasi a giungere ad annullarlo.

In tal modo ne trarrà beneficio la nostra difesa, di misura e/o col ferro che, messa in stato di preallarme, riuscirà senz’altro ad opporsi all’attacco in modo più valido.

Ma è soprattutto nell’applicazione di un’uscita in tempo che sarà di fondamentale importanza percepire il preciso istante in cui parte l’attacco dell’avversario: questa tipologia di colpo, con le varie soluzioni tecniche che conosciamo, viene appunto costruito fondamentalmente su questa situazione temporale.

L’attacco, dopo un brevissimo periodo di esordio, giunge molto presto alla sua massima espressione: una delle più vantaggiose opportunità è quella di riuscire a fermarlo sul nascere, per non fargli assumere la sua naturale e potenziale virulenza.

Quindi l’individuazione dell’istante in cui la determinazione comincia ad evidenziarsi è di fondamentale importanza per la difesa, che può optare tra due soluzioni: arretrare per smorzarne gli effetti o, al contrario, andargli incontro per soffocarla.

L’importanza di questo istante sta anche nella valutazione che gli viene data dallo schermitore in rapporto al proprio tempo di reazione e alla velocità di realizzazione della contraria. Tornando all’esempio appena fatto: se siamo in ritardo, non facciamo più in tempo ad uscire in tempo ed è consigliabile quindi rifugiarsi in parata per poi rispondere.

Quindi l’istante temporale di esordio di una determinazione, o meglio il suo fulmineo trascorrere, viene quindi a costituire un vero e proprio spartiacque rispetto all’applicazione della contraria migliore da poter opporre all’avversario.

Ma continuiamo con qualche altro esempio.

Uno spadista vede il suo avversario partire in attacco e indirizzare il colpo sul suo bersaglio grosso.

Presupponendo che all’inizio dell’azione ci sia tra i due contendenti una giusta misura al polso, lo spadista ha in partenza due possibilità tecniche per reagire: tirare il colpo d’arresto al braccio armato, il cosiddetto bersaglio avanzato, oppure attendere lo sviluppo del colpo, appostandosi nel sito opportuno per intercettare il ferro avversario, per poi effettuare una parata e risposta.

Questa opzione tecnica tuttavia verrà meno nel preciso istante in cui la misura, accorciandosi oltre un determinato limite, renderà impossibile per mancanza di spazio l’uscita in tempo.

Conclusione: dopo questo istante lo spadista non ha più la doppia opzione iniziale, ma resta vincolato a un’unica risoluzione tecnica, ovvero la parata e risposta sul colpo che sta per giungere a bersaglio.

Ancora un esempio: chi vuole attuare una difesa col ferro, cioè parare, deve ovviamente spostare nella dovuta direzione il proprio braccio armato.

Il colpo avversario si sviluppa entro due limiti temporali ben precisi: quello del suo inizio, o meglio quello dell’istante a partire dal quale è chiaramente percepito come minaccia da chi lo subisce, e quello che lo vede raggiungere il bersaglio.

I trattati a questo proposito indicano che l’istante migliore per intercettare e deviare il colpo dalla sua linea d’attacco è quello in cui esso sta per giungere a bersaglio.

In effetti una parata cosiddetta anticipata facilita al massimo un attacco composto ovvero solo fintato dall’avversario, mentre una parata ritardata, per definizione, non riesce ad annullare gli effetti che si ripropone, sortendo tutt’al più quello di una parata scarsa e quindi insufficiente.

Quindi quel “sta per giungere a bersaglio” significa in pratica in quel preciso istante in cui è più conveniente eseguirla, proprio in quell’esiguo spazio temporale.

In effetti più la lama si approssima al bersaglio più dovrebbe avere esaurito le sue eventuali intenzioni ingannatrici e soprattutto, essendosi prodotto quasi totalmente l’allungo, il braccio armato non è più in possesso di una piena capacità di ulteriori movimenti di svincolo, cavazioni o circolate che siano.

Ritornando al generale, risulta quindi evidente che ogni distonia temporale rispetto all’istante d’inizio della determinazione dell’avversario, pregressa o successiva che sia, tenderà tanto più ad inficiare l’azione contraria quanto più sarà consistente l’anticipo o il ritardo, sino, al limite, a renderla completamente inutile.

Lo schermitore quindi deve tendere a sviluppare una specie di appercezione in relazione alle intenzioni dell’avversario: in altre parole deve saper cogliere nell’atteggiamento di quest’ultimo quel segnale, quel preavviso che anticipano la sua determinazione d’attacco, in una parola l’istante in cui si sta per scatenare l’attacco dell’avversario.

Invero un buon osservatore riesce a cogliere nei movimenti di chi ha di fronte in pedana quei gesti preparatori (il cosiddetto traccheggio) compiuti con il braccio armato, con il corpo o con lo spostamento sulla pedana: solitamente sono gesti ripetitivi, quasi rituali e possono consistere in ricerche del ferro, maggiore caricamento degli arti inferiori e rapidi passi in avanti e all’indietro,

Quindi, dall’ottica dell’attaccante, niente di più sbagliato: tanto più l’attacco è nell’aria, tanto più la difesa sarà pronta e schierata a riceverlo e non solo per neutralizzarlo, ma anche per costruirci sopra la controffesa. La necessità è quindi quella di nascondere la propria determinazione sino a quando è possibile, per poter fruire, come abbiamo detto tante volte, dell’effetto sorpresa.

Sulla pedana in pratica avviene una specie di guerra degl’istanti: siano essi in attacco o in difesa, chi saprà meglio percepirli e coglierli al volo più avrà la probabilità di concludere vittorioso l’assalto.

Vorrei concludere il capitolo in oggetto, si fa così per dire, musicalmente con una similitudine.

L’importanza fondamentale dell’istante (inteso come momento ideale di attuazione di una qualche attività) e di conseguenza la valenza della sua attesa e della sua pronta realizzazione è rappresentata al meglio dal suonatore di timpani in un’orchestra sinfonica: per lungo tempo segue attentamente, inattivo, quello che fanno i suoi colleghi e vigila sullo spartito in attesa della precisa frazione temporale in cui, dovendo intervenire sull’armonia generale, dovrà percuotere il suo strumento (magari una sola volta!).

 

Il tempo come durata

In questa particolare ottica il tempo è da considerare come successione di singoli momenti, che, partendo da un determinato istante e giungendo alla fine ad un altro, ne rappresentano una certa quantità, appunto la durata.

Essa può avere un valore assoluto, legato quindi al trascorrere convenzionale del tempo (minuti e secondi), oppure un valore relativo, connesso ad esempio al tempo necessario ad uno schermitore per portare a termine una determinata azione o un singolo gesto tecnico.

Iniziamo concentrando la nostra attenzione sull’aspetto oggettivo della durata, ovvero sullo scorrere dei minuti e dei secondi che avviene su un cronometro.

Come sappiamo, quando due schermitori si affrontano in pedana hanno una quantità massima di tempo a disposizione per poter portare sull’avversario quel numero di stoccate utile per aggiudicarsi la vittoria; se allo scadere del tempo a disposizione ancora non è stato raggiunto il punteggio previsto, il Regolamento stabilisce una serie di norme per dirimere la questione relativa al risultato.

Il tempo limite, ovviamente, varia in funzione del tipo di match: tre minuti nei gironi eliminatori all’italiana, nove minuti in quelli di eliminazione diretta.

Un dato importante è che il tempo a disposizione per l’incontro è effettivo, cioè coincide solo con quegl’istanti in cui gli schermitori combattono effettivamente, quindi tra l’a – voi e l’alt del presidente di giuria.

Ricordato e precisato tutto questo è possibile cominciare a fare alcune considerazioni.

La prima è di ordine storico e l’abbiamo accennata in altra parte di questo lavoro: anni addietro per chi si affrontava in pedana il tempo a disposizione per concludere il match era molto più ampio. Basti pensare che per un incontro a cinque stoccate erano concessi cinque minuti effettivi, al termine dei quali era comunque concesso, dopo uno specifico avvertimento, un altro minuto, parimenti effettivo. Gli schermitori tiravano il loro assalto in una certa  relativa tranquillità e comunque erano consapevoli di avere a disposizione un significativo tempo di recupero.

Oggi la durata del match è stata dimezzata: sia in relazione agli assalti a cinque stoccate del girone all’italiana (tre minuti), sia, per ovvia sommatoria, a quelli di eliminazione diretta a quindici stoccate (nove minuti).

Esula dagli intendimenti di questo lavoro fare delle considerazioni su questo tipo di contrazione temporale del combattimento: evidentemente motivi di carattere economico, maggiore visibilità della nostra disciplina, esplosione del professionismo o altro.

Quello che a mio parere è invece da valutare con attenzione è l’importanza che il fattore tempo oggi riveste nella conduzione dell’assalto sulla pedana, soprattutto in specialità tattiche come la spada.

Come ricordavo poco sopra, nel vecchio Regolamento erano concessi cinque minuti, cioè uno per ogni stoccata di un teorico cinque a zero, più addirittura un minuto supplementare di cortesia cavalleresca; quindi, in media, 72 secondi per ogni stoccata valida.

Attualmente, in relazione ai tre minuti di combattimento, gli schermitori hanno invece solo 36 secondi a stoccata. Se poi (colpi doppi della spada a parte) concediamo in media un paio di stoccate al perdente (stando quindi abbastanza bassi come punteggio finale), il tempo per stoccata scende a 25,7 secondi.

Pur da pignoli dobbiamo computare anche i lassi di tempo che trascorrono da l’a – voi del presidente di giuria all’inizio effettivo dell’incontro, i secondi persi in caso di corpo a corpo senza esito di stoccata, nelle armi convenzionali i casi di tempo comune e nel fioretto i casi di stoccata in bersaglio non valido.

In base a tutto questo credo che si possa affermare con sufficiente cognizione di causa che lo schermitore non ha in buona sostanza più di venti secondi in media per cogitare, preparare e realizzare ogni sua stoccata; naturalmente ammettendo che la regola sia arrivare al punteggio prefissato per la fine regolamentare dell’incontro, cinque o quindici stoccate che siano.

Intendiamoci, un assalto, in teoria, può essere portato a termine anche in pochi secondi; anche due assalti o tre; ma quando la brevità dell’incontro diventa la regola, significa che il fenomeno è importante.

Per l’economia di questo lavoro è quindi interessante osservare il fatto che, mentre prima il tempo era considerato un contenitore (passatemi il termine) extralarge, oggi invece è parecchio small. In altre parole, per il vecchio Regolamento il senso compiuto della durata temporale dell’assalto era quello di un ragionevole tempo per lo scambio schermistico, oggi invece il tempo è solo un contenitore oggettivo è basta, per di più anche piuttosto angusto.

Una prova indiretta di questo diverso valore che veniva dato prima e che viene dato adesso al tempo è data dal fatto che oggi esso, per Regolamento, deve essere ben visibile ai contendenti; invece nella precedente concezione era addirittura segreto, ovvero noto solo al presidente di giuria che lo teneva personalmente o, nelle gare più importanti, ai cronometristi ufficiali.

La conseguenza oggettiva di tutto ciò è che oggi il tempo, inteso come tempo massimo a disposizione dei contendenti, prevarica il suo puro senso oggettivo e va ad assumere una rilevanza non indifferente sulla conduzione tattica dello scontro tra gli schermitori.

In quest’ottica il nostro pensiero va subito alla capacità di amministrare il punteggio: una o più stoccate di vantaggio, alla luce di quanto appena detto circa le ristrettezze temporali in cui si è costretti a competere, creano indubbiamente una situazione particolare.

E’ indubbio che psicologicamente il tempo, pur di natura oggettiva, tende ad essere vissuto in modo diametralmente opposto dai due contendenti: si dilata per chi ha interesse a farlo scorrere senza conseguenze in attesa della sua fine, si contrae invece per chi teme di non averne sufficientemente a disposizione per rimediare ad una situazione di svantaggio.

Nelle tre specialità il fattore tempo inteso come durata massima dello scontro viene percepito in modo difforme: esso indubbiamente è funzione della maggiore o minore dinamicità con la quale viene concepita tecnicamente e tatticamente ciascun’arma.

Nella sciabola tutto converge ad eleggere l’attacco come tattica vincente: la priorità convenzionale, il grande numero di bersagli sui quali poter indirizzare i colpi, la stessa velocità della sciabolata e del fendente rispetto al colpo portato con la punta, quindi l’indubbia difficoltà di organizzare validamente una difesa.

Gli attacchi si succedono a raffica ed il tempo viene letteralmente bruciato da azioni portate in rapida successione alla massima velocità.

Da ricordare a questo proposito che il legislatore sportivo ha ideato come parziale rallentatore il divieto di effettuare la frecciata (o comunque qualsiasi tipo di spostamento) portando la gamba dietro oltre quella davanti.

Nella spada tutto il contrario: il bonus convenzionale dell’attacco non c’è e la conseguente prudenza non è propriamente quella dei duelli veri, ma poco ci manca (o almeno così dovrebbe essere in teoria). Inoltre in questa specialità c’è la possibilità dell’attribuzione del colpo doppio, concetto che concede un’importante alternativa alla normale e ricorrente dicotomia convenzionale attacco – difesa. Tutto ciò dovrebbe indurre gli spadisti, per pura necessità ed opportunismo tattico, ad essere più attendisti dei cugini fiorettisti e sciabolatori: in effetti i triangolari devono rendere conto solo e soltanto a Cronos, dio del tempo.

Il fioretto, infine, si colloca in genere tra queste due precedenti realtà: in questa specialità c’è il vantaggio convenzionale da sfruttare, ma la superficie da toccare è minore; inoltre, potendo colpire di sola punta e dovendo esercitare tra l’altro una pressione minima, c’è una maggiore difficoltà nel portare la stoccata; per la presenza di bersagli non validi (questo è diventato un unicum per il fioretto) c’è poi l’eventualità di toccare un bersaglio non valido, c’è di conseguenza il nulla di fatto e ci si deve rimettere in guardia.

Passiamo ora ad esaminare il tempo, inteso come durata, nell’espletamento delle azioni tecniche.

In quest’ambito lo schermitore ha due potenziali dimensioni ben distinte: una assoluta e una relativa.

La prima, essendo soggetta esclusivamente alla sua capacità e al suo libero arbitrio, si concretizza nella tendenza ad eseguire il gesto nel più breve tempo possibile. In pratica è il problema della velocizzazione del colpo, argomento che affronteremo più in profondità nella parte dedicata allo spazio – tempo.

La seconda, quella relativa, essendo invece vincolata nel suo espletamento totale da un certo tipo risposta dell’avversario, risulta condizionata, almeno nella sua prima parte, dai tempi di reazione di quest’ultimo.

In questo caso cade quindi la diffusa credenza che lo schermitore debba essere sempre e comunque veloce; questa dote costituisce senz’altro un importante elemento del suo valore complessivo, ma del resto non tutte le azioni si basano esclusivamente sulla velocità.

Se lo schermitore opta per un attacco semplice, qui sì che avremo l’esaltazione del tempo come durata minima dell’esecuzione del colpo: infatti, come abbiamo già messo ben in chiaro, il concetto che sta alla base di questa tipologia di determinazione è che l’avversario non deve quasi nemmeno fare in tempo a rendersi conto di ciò che di spiacevole gli sta accadendo.

Ma invece, se egli opterà per un attacco composto, le cose dall’ottica della durata dell’azione cambieranno e non di poco.

Come sappiamo, questo tipo di determinazioni si basa sul collegamento tra tre fasi: la finta, l’elusione della difesa avversaria, il colpo sull’avversario.

Già nell’istante della finta la velocità di esecuzione ha un valore relativo ed entra in gioco solo come componente di una più generale qualità, quella dell’espressività del colpo; in altre parole la velocità della finta deve sintonizzarsi con la comprovata capacità di reazione dell’avversario e tutto deve concorrere a fargli percepire il falso movimento come un pericolo reale.

Nella successiva fase di elusione della difesa avversaria il rapporto tra le velocità di esecuzione s’inverte e il tempo è dettato da colui che subisce l’attacco. Ad esempio, si evita la parata indotta dell’avversario solo quando questa è effettivamente eseguita, altrimenti il movimento elusorio non produrrebbe alcun effetto e quindi non servirebbe a nulla.

Solo e soltanto nella terza fase dell’azione composta, quella che prevede l’esecuzione del colpo sull’avversario, entra in gioco l’effettiva capacità di velocità dell’attaccante e quindi solo in questa fase conclusiva del colpo si può affermare la concezione del tempo inteso come durata minima del movimento tecnico.

Passando oltre, sempre intendendo il tempo come perdurare, incontriamo un’importantissima bipartizione di tutte le azioni d’attacco esistenti: azioni a propria scelta di tempo e azioni in tempo.

Se l’azione (di qualsiasi tipo) viene sviluppata in presenza di un certo tipo di posizionamento tecnico dell’avversario che viene mantenuto inalterato per un apprezzabile lasso di tempo, si configura la categoria delle azioni a propria scelta di tempo.

Se invece l’azione viene innescata su un cambiamento che l’avversario attua da un suo atteggiamento ad un altro diverso, si configura la categoria delle azioni in tempo.

Di primo acchito può sembrare molto più conveniente eseguire un proprio attacco quando l’avversario sta movendo il suo braccio armato e/o il suo corpo: parte delle sue energie e parte della sua attenzione saranno distolte dalla difesa. Per tornare all’esempio dello schermitore inteso come un castello, sarebbe come scatenare l’attacco quando si sa che il nemico sta spostando le sue truppe.

Ciò è vero, ma solo in correlazione a certi tipi di azione, tanto per intenderci quelle semplici.

Pensiamo ad esempio alla botta dritta: tirata a propria scelta di tempo in condizioni di reciproca staticità dei contendenti per aver successo si deve basare su tempi di sollecitazione – risposta molto divergenti: in pratica chi attacca deve essere molto, ma molto più veloce di chi difende. Se invece chi attacca riesce a tirare il colpo sul movimento del difensore, questi sarà meno preparato a riceverlo, lo testimonia proprio il fatto che, in relativa tranquillità, sta cambiando assetto tattico.

Spazialmente poi, se sarà scelto il giusto bersaglio (quello dal quale il ferro si sta allontanando), il difensore dovrà addirittura tornare indietro per andare ad intercettare la stoccata; e, siccome sappiamo che lo spazio si traduce in valori temporali, l’attaccante avrà più tempo per toccare liberamente l’avversario.

Ne consegue che ai fini del successo del colpo la differenza di velocità tra i due contendenti poco sopra ricordata potrà essere minore; in pratica l’azione in tempo potenzia la velocità di chi la esegue.

Ma quali sono invece gli altri tipi di azione in cui conviene non partire in tempo? Semplice, tutti quelli che si basano su una contraria da impostare dopo la reazione dell’avversario, ovvero le azioni composte.

Ragioniamo: nell’azione composta, proprio per definizione, il problema è quello di evitare l’intervento difensivo indotto dell’avversario; anzi tutta l’azione si fonda sull’assioma che l’avversario risponda in un determinato e preciso modo alla provocazione. Se la risposta non c’è o, per sfortuna, è diversa, crolla tutta l‘impalcatura tecnica del colpo.

Ne consegue che, affinché l’avversario esegua quanto preventivato, deve essere nelle migliori condizioni di poterlo fare: appunto in una situazione di una certa staticità. Ad esempio, se voglio sviluppare un’azione di finta dritta e cavazione, tutto ruota attorno alla parata dell’avversario, che quindi deve avere tutto il tempo e la convenienza spaziale per eseguirla.

Abbiamo citato sia le azioni semplici che quelle composte; cerchiamo di analizzarne la diversa natura anche sotto l’aspetto durata.

Quelle semplici sono come delle vampate, delle scariche di energia pura: meno durano, più riescono ad esprimersi meglio. Le componenti tecniche sono appositamente ridotte al minimo: meno cose da fare ci sono, prima si finisce.

Quelle composte, al contrario, si dilungano, talvolta sembrano non finire mai (penso ad una doppia finta, magari di circolata con successiva cavazione o viceversa). D’altra parte l’esigenza di trovare strade alternative per toccare l’avversario comporta un fraseggio più complesso con la sua lama, implicando anche, come abbiamo appena visto, l’intervento dei suoi tempi di reazione.

Ricordo ancora che la durata di un’azione d’attacco è in stretta relazione con la possibilità che l’avversario usi contro di essa come mezzo difensivo un’uscita in tempo: infatti più sono i movimenti tecnici che compongono tale attacco, più l’azione necessita ovviamente di un ambito temporale e spaziale lungo per svilupparsi e di conseguenza più sono le occasioni per poterlo stoppare.

Ecco perché, tra l’altro, i trattati si fermano alla teorizzazione di due finte; in pratica la successione finta – elusione della parata potrebbe andare all’infinito.

 

Il tempo come intervallo

Il tempo può anche svolgere la funzione di separare due accadimenti, frapponendosi appunto tra di essi come cesura temporale.

Quest’intervallo può avere vari ruoli: quello di pausa intesa come tregua programmata, quello di sospensione occasionale, quello legato ad una turnazione, quello connesso ad esigenze di carattere tecnico, quello collegato ad elementi di carattere tattico.

Quindi un lungo elenco di risvolti situazionali e contingenze che possiamo comunemente e ricorrentemente rinvenire durante un qualsiasi assalto sulla pedana.

Lo schermitore, come sappiamo, è chiamato ad una serie discontinua di prestazioni, nel senso che la sua attività di pedana si alterna a periodi più o meno lunghi di inattività: ciò si verifica tra assalto e assalto nel corso degl’incontri nei gironi preliminari all’italiana, tra turno e turno della gara, tra le frazioni dell’eliminazione diretta e addirittura, pur in modo stringato, tra stoccata e stoccata.

Questi intervalli temporali, a seconda dei casi, possono avere delle valenze positive o negative e addirittura una stessa valenza può avere segno diverso da schermitore a schermitore: sia sufficiente pensare a chi ha bisogno di un periodo di recupero fisico più o meno lungo, oppure ai diversi tempi di carburazione iniziale di ciascun atleta.

Esaminiamo le varie tipologie d’intervallo, specificandone mano a mano il segno delle rispettive valenze.

Gli intervalli di tempo tra assalto e assalto dei gironi all’italiana hanno sicuramente un risvolto positivo in quanto, tra l’altro, consentono di visionare in una specie di anteprima gli avversari (eventualmente non conosciuti) che poi si dovranno affrontare successivamente in pedana, naturalmente tutti tranne il primo che si affronta in esordio di gara. C’è quindi la possibilità di anticipare, almeno in parte, quello studio sulle azioni da eseguire o da scartare per cercare d’impostare sin dalle prime battute l’assalto in modo logico, coerente ed utile..

Gli intervalli di tempo tra turno e turno, se si prolungano oltre un certo lasso di tempo, rischiano di scaricare psicofisicamente l’atleta; per contro tempi molto serrati possono affaticarlo oltremodo e renderlo meno competitivo. La valenza di queste situazioni è che lo schermitore ha la possibilità nel primo caso di verificare l’importanza e l’utilità del preriscaldamento, nel secondo invece di testare il proprio stato di preparazione atletica. In effetti questi validi supporti alla componente fisica della prestazione sportiva non possono più essere superficialmente sottovalutati e ciò ad ogni livello, in prima battuta per lo schermitore che aspira ad essere completo e competitivo.

Gli intervalli di tempo che (quasi sempre) separano le fasi di un incontro ad eliminazione diretta, sono così esigui, appena un minuto effettivo, che svolgono in pratica la funzione di mera fugace pausa: in un lasso di tempo così corto si recuperano più le energie nervose che quelle fisiche. La maggiore opportunità, comunque, è sicuramente quella di avere la possibilità di poter fare il punto tecnico della situazione: si considera lo stato del punteggio, come esso è maturato, qual è l’atteggiamento tattico che è conveniente seguire nella seguente frazione dell’assalto, sino a valutare, magari con l’ausilio del maestro o dell’accompagnatore, quali possono essere le azioni in concreto più opportune da svolgere nel prosieguo del match.

Esaminiamo infine gli intervalli di tempo che si verificano durante la disputa della stoccata.

Parliamo innanzitutto della frazione di tempo che dall’esordio dell’incontro porta alla prima stoccata messa a segno.

Quest’ultima rivesta grande importanza non tanto dal punto di vista psicologico, quanto piuttosto dal punto di vista tattico: e il valore non risiede solo e soltanto nell’aver messo a segno la stoccata di esordio, ma quello di avere la possibilità, se si va ancora a segno, di doppiare l’avversario.

Ovviamente tutte le volte che uno schermitore è in vantaggio di una stoccata può, toccando ancora l’avversario, allontanarsi sempre più nel punteggio; ma una cosa è che tale situazione si verifichi nel corso dello sviluppo inoltrato dell’assalto, una cosa è che accada al suo esordio quando ancora i contendenti stanno prendendo le misure.

Da tutto ciò deriva l’esigenza di cominciare l’assalto sempre con la massima prudenza: magari esagerare inizialmente nell’impostare la misura, andando registrandola mano a mano – prolungare lo studio sull’avversario, se non conosciuto – attendere, in sicurezza, che sia lui a scoprirsi – non precipitare un’azione d’attacco senza cogitarla quanto merita.

Consideriamo l’ottica di chi è in svantaggio: si dice (e non solo nella scherma) “che è partito col piede falso, che ha la strada in salita, che deve reagire, che deve cambiare gioco”. Insomma che è in una situazione in cui deve assolutamente recuperare: ogni eventuale successivo  errore viene pagato sempre a maggior prezzo. Le cose si complicano terribilmente e può subentrare un pericoloso affanno psicologico.

Diversamente chi è in vantaggio deve “solo cercare di controllare la situazione, gestirla al meglio, dare corda all’avversario”.

Da un punto di vista tecnico, maggiore è lo svantaggio, più l’azione deve essere ragionata e messa in relazione col precedente vissuto.

In queste situazioni indubbiamente s’innesta anche una certa battaglia con il tempo che scorre: ma l’errore più grave in cui si può incorrere è proprio quello di precipitare l’assalto, affidandosi alla foga di recuperare subito, buttandosi in avanti allo sbaraglio.

Se queste considerazioni valgono per un incontro ad eliminazione diretta che per estensione di punteggio e di tempo a disposizione è un vero e proprio scontro campale, vieppiù sono calzanti per un match alle cinque stoccate. Due stoccate da recuperare nella frazione residua dei tre minuti effettivi possono diventare un ostacolo molto difficile da sormontare, soprattutto se dall’altra parte c’è un avversario che sappia gestite la situazione (fa scorrere il tempo senza colpo ferire, se spadista ricorre al colpo doppio…)

Per tutto quanto detto le prime stoccate che ci si scambiano in pedana, rivestendo una così grande importanza tattica per il prosieguo dell’assalto, sono da gestire in modo attento e particolare, perché possono dare un tipo di piega od un altro a tutto il match; in altre parole non hanno solo il normale valore unitario di punteggio, ma comportano qualcosa di molto di più.

Concludiamo l’argomento con qualche cenno su come poter sfruttare a proprio vantaggio l’intervallo che separa stoccata da stoccata.

Una prima distinzione da fare è se il colpo a nostro favore è stato messo in attacco o in difesa            .

In quest’ultimo caso siamo ovviamente vincolati dall’attività dell’avversario che può scegliere o meno di ripetere il suo attacco, optando poi o per la stessa azione o un’azione diversa da quella precedente.

Comunque è buona norma, a meno che l’avversario non sia chiaramente di bassa levatura, variare la difesa, per impedirgli di costruire sul nostro precedente colpo la sua contraria: si può variare il tipo di parata, passando magari per tutelare uno stesso bersaglio da una parata semplice ad una di contro, oppure si può optare per un totale cambiamento di linea difensiva, alternando la difesa col ferro ad un’uscita in tempo. Lo scopo, come al solito, è quello di non fornire all’avversario un tipo di riferimento fisso sul quale poter costruire la sua azione.

In questo caso, chiaramente, il ritmo delle stoccate non dipende da chi ha subito l’attacco, ma è completamente nelle mani di chi lo ha portato: l’intervallo di tempo tra colpo e colpo sfugge quindi alla gestione del primo.

Poniamoci ora dall’ottica di colui che ha appena messo a segno una stoccata d’attacco; è consequenziale che tutte le volte che uno schermitore mette un colpo premediti se e quando sia il caso di replicarlo.

Ora alcune considerazioni per quanto ovvie: tutte le volte che uno dei due contendenti tocca l’altro sopravanza nel punteggio, ma, per poter conseguire questo risultato, è costretto a far vedere e quindi a svelare la meccanica del proprio colpo. Di conseguenza l’avversario, almeno se la sua maturità glielo consente, dovrebbe trarre vantaggio da questa conoscenza ed essere pronto a mettere in campo nel prosieguo dell’assalto un’idonea contraria.

In teoria quindi un incontro di esordio tra due schermitori sufficientemente evoluti dovrebbe risolversi in una logica concatenazione di colpi e di contrarie, o almeno l’assalto dovrebbe seguire questa falsariga.

Questo in teoria, perché nella pratica troppe sono le variabili da tenere sotto controllo: è già abbastanza, ad esempio, se non commettiamo l’errore di cadere più volte sotto la stessa parata dell’avversario o se riusciamo a tenere la giusta misura dopo essere stati raggiunti da una sua botta dritta.

Nel susseguirsi delle stoccate il tempo può comunque giocare a favore dell’attaccante con un suo duplice meccanismo.

Il primo si  basa sul concetto che un idoneo intervallo di tempo tra due identiche azioni d’attacco può trovare l’avversario impreparato alla ripetizione dello stesso colpo.

Tale intervallo ha due limiti temporali: uno, immediatamente sull’ a – voi della successiva rimessa in guardia, l’altro dopo un lasso di tempo di un certo respiro. Nel primo caso sarà sfruttato al massimo l’effetto sorpresa (logicamente da ripetere solo una volta nel corso dell’assalto), nel secondo si conterà invece su un certo tipo di decadimento della memoria dello scontro.

Un secondo meccanismo per sfruttare al meglio la successione delle proprie stoccate può risiedere, al contrario, nella brevità dell’intervallo che le separa.

In effetti, se l’avversario è appena rimasto vittima di un certo tipo di azione, il suo sistema difensivo avrà subito dopo attivato l’elaborazione della relativa contraria; ripetendo quindi in tempi stretti su di lui il nostro stesso tipo di azione, dovremmo trovarci quasi automaticamente davanti questa sua reazione, sulla quale poter costruire la nostra contromossa.

Un esempio mutuato dalla spada: dopo aver subito (o almeno visto tentare) un colpo al piede, chi è stato vittima dell’attacco elabora e programma quasi con certezza (anche se non è un vero spadista) una prossima reazione mediante colpo d’arresto di fronte allo stesso tipo di colpo. A questo punto, simulando il colpo al piede, possiamo scommettere con buone probabilità sulla questa sua uscita in tempo e controbatterla con l’applicazione di un controtempo.

Quindi, lavorando sull’intervallo di tempo tra le proprie stoccate in attacco, si può giungere a costruire dei veri e propri schemi, dove l’avversario viene progressivamente indotto ad un certo tipo di reazione dal precedente storico.

L’importanza di questa tipologia metodologica di portare l’attacco risiede soprattutto nel fatto di tendere ad ingabbiare le reazioni dell’avversario in un preconosciuto range di reazione;  in altre parole nel tentativo di limitare la sua operatività difensiva, passando quanto più è possibile da una situazione d’indeterminatezza di risposta ad una situazione di maggiore prevedibilità della stessa.

Meccanismo concettuale che abbiamo già visto stare alla base del controtempo se si provoca e si reagisce ad un’uscita in tempo dell’avversario; oppure che sta alla base della cosiddetta seconda intenzione se si provoca e si reagisce ad una sua parata e risposta.

Il concetto di schema che abbiamo poco sopra richiamato c’induce a fare una doverosa, quanto fugace, divagazione.

Esso ha il significato letterale di “modello convenzionale di una realtà, di un fenomeno, di un problema”..

Questi termini sono facilmente adattabili alle esigenze della nostra disciplina: realtà = quella di pedana, fenomeno = scontro con l’avversario, problema = prevaricare e quindi toccare l’antagonista.

Già ogni azione, anche la più semplice, possiede un proprio schema, appunto quello relativo al suo svolgimento      tecnico.

Ma desidero attirare l’attenzione su un qualcosa di diverso, di concettualmente più ampio e soprattutto di più omnicomprensivo.

Parlo di ciò che induce gli allenatori di pallavolo, di calcio e soprattutto quelli di pallacanestro ad elaborare schemi tecnici – tattici da applicare poi sul campo.

Questi schemi sono spesso impersonali e aprioristici nel senso che si ricollegano non direttamente ai reali avversari da affrontare, bensì si rifanno a schemi logici precostituiti. Così, se ad esempio un coack ordina una difesa a zona, i giocatori si dispongono in campo in un certo modo, prescindendo dalla singola relazione fisica con quello che sino ad un istante prima era il proprio uomo da marcare. Così facendo applicano in poche parole  uno schema.

Lo schermitore può fare altrettanto ed elaborare uno o più schemi personali, scegliendo tra la moltitudine di azioni quelle che ritiene più idonee alla sua fisicità, alla sua personalità, alle sue capacità tecniche e al suo personale gusto.

Sotto quest’ottica un avversario non sarà più visto nella sua singolarità e nella sua specificità, ma sarà direttamente ricollegato ad una determinata e impersonale categoria di antagonista, per la quale aprioristicamente saranno già stati elaborati uno o più schemi tecno – tattici  comportamentali preconfezionati.

Un esempio di schema, di modulo l’abbiamo già fatto poco sopra : scandaglio l’avversario = non risponde con l’arresto     allora tiro un colpo ai bersagli bassi (coscia – piede)       tocco o non tocco        applico un controtempo sul presunto colpo d’arresto che l’avversario mi tirerà dopo aver visto la mia azione precedente             tocco o non tocco

imposto nuovamente un controtempo variando la linea rispetto a quella che avevo usato precedentemente.

In questo caso si è trattato semplicemente di concatenare una serie di colpi (andati più o meno a segno) con le rispetto contrarie.

 

 

Il tempo come anticipo
             L’anticipo si può in genere definire come un’antecedenza temporale nel corso di una successione di eventi concatenati.

Da un punto di vista applicativo esso si concretizza nello sfalsare una reazione  rispetto ad un previsto procedimento tecnico: in altre parole si tende ad annullare l’azione dell’avversario, intervenendo  ancor prima che quest’ultimo possa portarla a pieno compimento.

In effetti ogni azione d’attacco prevede per la sua realizzazione l’utilizzo di un certo periodo di tempo; in questo spazio temporale l’azione stessa è solo in fieri, cioè in divenire; in altre parole non ha ancora sviluppato la sua potenzialità e proprio per questo è esposta ad un vulnus.

Prendiamo ad esempio la finta dritta e cavazione: si parte magari da velocità zero, s’imposta la finta che è solo una falsa minaccia, si deve impegnare la lama nell’elusione del movimento di parata di quella avversaria e solo a questo punto si può far partire la vera stoccata.

Lo schermitore ha quindi una certa opportunità temporale, più o meno estesa, entro la quale poter intervenire sull’attacco dell’avversario.

Sarà proprio quest’ultimo a suggerire quando poter essere anticipato: lo farà tramite sia la qualità esecutiva con cui esegue le azioni, sia tramite le sue stesse scelte tecniche.

In riferimento ad esempio al primo caso: se la sua sciabolata sarà vibrata non con il solo polso, ma anche con un qualche concorso dell’avambraccio, si potrà indirizzare il tempo al suo bersaglio avanzato che risulterà scoperto in base a questo errore esecutivo. Ciò nel preciso istante in cui il braccio armato si alza erroneamente ed eccessivamente.

Per la seconda eventualità invece ricordiamo tutti gli attacchi composti, nel corso dei quali i vari movimenti che strutturano l’azione si susseguono con una certa cadenza e creano dei varchi spazio – temporali : l’attacco può validamente essere fermato tirando un colpo d’arresto nei precisi istanti in cui la punta, abbandonando la linea d’attacco sulla quale ha eseguito la o le finte, è occupata ad eludere le presunte parate che presume e spera di aver provocato.

Come abbiamo già ricordato più volte di questo lavoro, un’azione d’attacco meno si prolunga nel tempo, meno si espone ad un’uscita in tempo dell’avversario.

Più un’azione è semplice e veloce, meno opportunità di anticipo concede alla controparte, sia nell’applicazione reale, sia, di caso, nelle stesse armi convenzionali.

Concludiamo il capitolo ritornando doverosamente ancora una volta sulla specificità della spada: in questa specialità il tempo deve essere percepito e vissuto come unico referente di tecnica e tattica, come componente essenziale di ogni stoccata.

Il concetto di anticipo temporale del colpo (come sappiamo con una tolleranza di 40/50 millesimi di secondo) è la sola legge che il Regolamento impone allo scontro, la sola regola a cui devono sottostare i due contendenti per l’assegnazione della stoccata.

Quindi l’accezione di anticipo, inteso come precedenza temporale, assume per i triangolari un significato del tutto particolare, che non può non informare necessariamente sia in generale che in particolare tutto il loro modo d’interpretare la teoria schermistica.

Se nel fioretto e nella sciabola la Convenzione stimola e premia la costruzione dell’azione secondo i dettami della precedenza di un attacco eseguito correttamente e, a seguire, il susseguenti in alternanza di fasi di risposta e controrisposta, nella spada invece domina (o dovrebbe almeno dominare statisticamente) il principio della decostruzione delle azioni.

Intendiamoci bene, le uscite in tempo sono teorizzate anche nelle armi convenzionali, quindi il principio di colpire vantaggiosamente un attacco in fieri non è un’esclusiva della specialità della spada, ma appartiene alla logica schermistica.

Si tratta solo di maggiori o minori opportunità: sappiamo tutti che uscire in tempo nel fioretto e nella sciabola deve assolutamente preservare dalla stoccata dell’avversario (nel fioretto addirittura non solo il bersaglio valido, ma anche quello non valido).

Quel concetto di anticipo temporale di cui stiamo trattando è infatti regolamentato in modo diverso: rispetto al colpo dell’avversario deve espletarsi in modo relativo nella spada (cioè solo precedere  la sua stoccata), invece in modo assoluto nelle altre due armi (cioè non si deve essere raggiunti dalla sua stoccata).

Il termine tecnico di uscita in tempo richiama in modo diretto il concetto di anticipo temporale, addirittura il colpo d’arresto lo indica lessicalmente.

Arrestare significa interrompere lo svolgimento di un movimento o addirittura impedirne l’inizio; ciò evidenzia il rapporto di totale dipendenza che tale tipo  di colpo ha nei confronti dell’avversario, di cui si deve attendere pazientemente l’inizio della determinazione d’attacco.

Come accennavo poco sopra chi esce in tempo si prefigge di decostruire l’attività dell’antagonista, intervenendo su di essa proprio in funzione delle sue caratteristiche; da qui  le varie tipologie di uscita in tempo.

Quasi come un soldato del genio guastatori che studia e saggia la struttura di un ponte per piazzare le cariche di esplosivo nei punti più idonei per farlo saltare.

 

Il tempo come ritmo

Un primo significato del termine ritmo è quello di ordine di successione o di frequenza di una qualsiasi forma di movimento.

Gli schermitori che si affrontano in pedana raramente stanno fermi durante il periodo di scontro, anzi credo proprio di poter escludere qualsiasi forma di staticità anche per brevi istanti. L’inerzia di uno non può non andare ad alimentare l’aggressività dell’altro, che, vista la situazione, cerca di guadagnare almeno qualche centimetro in avanti.

Ma il movimento degli schermitori non si limita alla deambulazione sulla pedana: anche il braccio armato, più o meno a seconda delle specialità dove si trova ad operare, si sposta abbastanza frequentemente per non dare all’avversario la possibilità di avere un punto di riferimento spaziale troppo fisso per i suoi attacchi.

Inoltre tutte le parti del corpo dello schermitore possono entrare in movimento all’istante opportuno: il braccio non armato con le sue importanti funzioni sussidiarie, la gamba dietro su cui poggia la dinamica dell’allungo e anche lo stesso tronco del corpo che, al momento opportuno, abbandona la sua necessaria staticità di base per inclinarsi o contorcersi durante le fasi del corpo a corpo.

Quindi i due sistemi – schermitori sulla pedana sono in continuo movimento e i loro sottosistemi, ovvero le singole parti del loro corpo, lo sono altrettanto.

Il movimento, se non è disordinato e se si pone in rapporto diretto con specifici intervalli temporali, può realizzare una situazione governata da un particolare ritmo.

Tale ritmo può avere caratteristiche di continuità o si può ispirare ad una variazione di tempo crescente o anche decrescente.

Pensiamo ad esempio ad uno schermitore che abbia deciso di effettuare una battuta e colpo in una certa direzione per poi colpire il relativo bersaglio scoperto. Per meglio mascherare la propria determinazione, può ricorrere al traccheggio che, come sappiamo, non è altro che un insieme di attività aventi una funzione distrattiva nei confronti dell’avversario: infatti, se l’intenzione è quella di eseguire una battuta di quarta e colpo dritto all’interno, si cerca di dissimulare il futuro colpo con una serie di battute di terza, ovvero nel senso opposto, sperando così di sorprendere maggiormente l’avversario.

Ebbene nell’espletare queste ripetute battute del traccheggio in pratica si rispetta un certo ritmo, magari al di sotto della nostra velocità massima, per poi farla esplodere in occasione della vera stoccata sulla linea opposta.

Attenzione però, perché questa nostra pre – azione ritmata, che ha lo scopo di nascondere la nostra determinazione d’attacco, può anche ritorcersi contro di noi: infatti nell’eseguirla, ripetendo varie volte con la stessa tempistica gli stessi movimenti, potremmo invitare il nostro avversario a colpirci con  una sua azione in tempo; in pratica saremmo noi stessi a dargli il tempo, come viene detto in gergo.

Ma prendiamo in esame un colpo elementare della teoria schermistica, la botta dritta che, basandosi sulla velocità e sulla scelta di tempo, non richiede al braccio armato alcuna attività che non sia quella pura e semplice di distendersi in avanti verso l’avversario.

Per il buon esito del colpo il ritmo dell’esecuzione deve essere crescente, cioè il moto descritto dalla punta nello spazio deve essere uniformemente accelerato. In altre parole la velocità, sino al raggiungimento del bersaglio, deve crescere in proporzione alla distanza percorsa: tutte le parti del corpo, come abbiamo già visto parlando dell’affondo, devono concorrere a questo scansione spazio – temporale.

Pensiamo ora ad uno schermitore che vuole eseguire un’azione di doppia finta dritta e colpo: i tre movimenti, che costituiscono la struttura tecnica del colpo dovranno, dovranno svilupparsi in modo cadenzato nel tempo, assecondando la velocità delle due parate eseguite dall’avversario. Le singole parti di un’attività globale devono accordarsi e svilupparsi armonicamente in un unico continuum, quindi senza interruzioni o strappi nell’esecuzione.

In tutti questi casi, dalla botta dritta all’azione composta più complessa, si può parlare di un vero e proprio ritmo tecnico dell’esecuzione del colpo. Esso viene a costituire il filo conduttore della stoccata, una specie di irrinunciabile regia temporale.

Per lo schermitore esiste, infine un altro concetto di ritmo, meno tecnico e più tattico: il ritmo globale dato all’intero match, visto strategicamente nel suo insieme o almeno per una certa significativa successione di stoccate.

La cosa è visibile soprattutto nelle armi convenzionali, dove la presenza di regole precostituite va ad alterare i valori eminentemente pragmatici dello scontro di pedana.

La valenza attribuita all’attacco, lo vediamo soprattutto nella sciabola dove è anche più difficile difendersi, spinge ineluttabilmente lo schermitore in avanti; ma per conquistarsi i diritti riconosciuti dalla convenzione, l’attacco (oltre che essere corretto) deve avere anche la priorità; in questa ricerca parossistica della precedenza, condotta con impeto e determinazione, gioca un ruolo fondamentale la capacità d’imporre con costanza nel tempo la propria  iniziativa e la possibilità di aggredire reiteratamente l’avversario.

In una certa tipologia di assalti, occorre talvolta ricorrere a questa specie di fisicità, a questa ripetuta serie di azioni, magari semplici dal punto di vista tecnico, basate soprattutto sulla veemenza e sul loro ritmo incalzante.

Ne risulta un modo come un altro per cercare di dirigere l’assalto e dominare conseguentemente l’avversario.

 

Il tempo come esordio

“Chi comincia è a metà dell’opera”, recita un vecchio proverbio ed i proverbi, essendo la saggezza dei popoli, non possono non valere anche per gli schermitori impegnati in un match sulla pedana.

In altre parti di questo lavoro abbiamo indirettamente già affrontato alcuni aspetti della tematica di questo capitolo: l’importanza del vantaggio psicologico di guidare nel punteggio, la possibilità di gestirlo tecnicamente, l’utilità di non precipitare l’azione e  di avere, al contrario, la capacità di temporeggiare per poterla attuare nel momento più opportuno e così via.

Ora si tratta di esaminare la specifica situazione dei primi istanti del combattimento, successivi alla messa in guardia iniziale operata dal presidente di giuria.

Cerchiamo di entrare nella parte: abbiamo appena effettuato il saluto, ci siamo calati sul viso la maschera ed abbiamo sentito il canonico “pronti, a voi”.

Di fronte abbiamo un avversario sul quale dobbiamo letteralmente costruire le nostre stoccate, siano esse d’attacco o di difesa.

Giusto prodromo di ogni nostra decisione in merito è la conoscenza, la migliore possibile, sui suoi pregi e sui suoi difetti al fine ovviamente di aggirare i primi ed approfittare dei secondi.

Al più presto dobbiamo entrare in possesso di un certo numero minimo d’informazioni: l’entità della sua velocità di spostamento, la sua capacità di allungo, le sue tendenze difensive cioè se propende per la difesa col ferro o per l’uscita in tempo, se para quale parata predilige e così via.

A questo proposito l’avversario che ci ritroviamo di fronte possiamo o meno già averlo incontrato in una precedente occasione, quindi i casi di esordio di assalto non sono sempre dello stesso tipo: egli può essere per noi un vero e proprio sconosciuto, al contrario può essere addirittura una “vecchia conoscenza” o un caso intermedio tra questi due estremi.

Ricordiamo a questo proposito, come già detto in precedenza, l’importanza di visionare i futuri avversari durante le pause di svolgimento del girone all’italiana: visto da fuori, in un’altra ottica ed in condizioni senza stress competitivo, le caratteristiche dell’avversario possono  essere messo meglio a nudo che sulla stessa pedana.

Preconosciuto, spiato da fuori pedana o meno, resta comunque un fatto: lo schermitore deve avere buoni doti d’archivista. Infatti per ogni avversario deve idealmente produrre una scheda mentale, su cui appuntare diligentemente tutti quei dati indispensabili per la conduzione ottimale dello scontro.

E’ indubbio, chi prima è in possesso di buone ed attendibili informazioni sull’altro, prima riesce ad elaborare la contraria più idonea al caso, costruendo e conducendo l’assalto secondo la necessaria logica.

A questo proposito una fonte primaria d’informazioni è comunque l’inizio stesso del match e lo scambio delle prime stoccate, sia che esse abbiamo raggiunto validamente il bersaglio oppure che siano state semplicemente abbozzate senza successo.

Al di là poi delle specifiche conoscenze di natura personale di questo o di quello schermitore esiste per ogni avversario una più generale, immediata e visibile categoria di appartenenza: è veloce, è lento, para solamente, arresta solamente, arresta e para (sic!), parte in frecciata spesso, non attacca mai e così via.

Premesso tutto questo, ora ce lo troviamo di fronte.

La prima cosa da fare è quella di essere prudenti, anzi prudentissimi: per lo schermitore questo significa allungare la propria misura, cioè dilatarla anche al di là del limite che ci può sembrare sufficiente.

Da questa posizione comincia appunto l’osservazione di cui sopra e mano a mano tramite il cosiddetto scandaglio è necessario saggiare il campo tecnico e le potenzialità fisiche dell’avversario.

Ciò dovrebbe metterci in condizione di registrare progressivamente la misura iniziale e portarci alla distanza che riteniamo a noi più congeniale per cominciare a sviluppare i nostri colpi (almeno tentare di farlo).

Comunque circa lo scandaglio un avvertimento: come sappiamo esso consiste in una serie d’iniziative (battute, finte, spostamenti sulla pedana…) tendenti a rivelare le tendenze difensive dell’avversario.

Il pericolo, mai superfluo ricordarlo ancora una volta, è che quest’ultimo, percepito il senso e lo scopo di quest’attività, adulteri artatamente le sue risposte  per poi sovvertirle completamente in occasione dello sviluppo della vera determinazione d’attacco.

Quindi, a meno che i valori tecnici in campo non siano molto divergenti, il traccheggio ha solo un valore relativo, un po’ come la prova del nove per il risultato delle moltiplicazioni come c’insegnavano alle elementari (è un controllo, ma non assoluto).

Sotto questo profilo la scherma rivela un suo anche non troppo velato aspetto: il più delle volte è una specie di gioco (sport!) d’azzardo, cioè una vera e propria scommessa su come l’avversario reagirà a certe sollecitazioni nel momento verità dello sviluppo dell’azione.

Ad esempio: parerà sulla mia finta come gli ho visto fare in precedenza o, mutando la sua reazione, cambierà tipo di parata? Oppure sulla stessa finta mi uscirà in tempo invece di difendersi col ferro?

Nessuno lo saprà mai in anticipo, come nel gioco del poker è necessario esporsi ed andare a “vedere”.

Ovviamente una sola tipologia di azioni sfugge a quest’alea: le azioni semplici. In questo caso non coinvolgendo l’avversario nella costruzione della stoccata, ma considerandolo come mero bersaglio, il successo del colpo dipende solo dalla qualità esecutiva del gesto che lo schermitore riesce a produrre. Se mi è concesso, in questo caso in pedana il fraseggio schermistico si risolve in un monologo e non in un dialogo.

Per tutte le altre azioni, a partire da quelle composte, l’importante è crederci e cercare di mettere in campo del nostro meglio… a cominciare da la o le finte sull’avversario!

A conclusione dell’argomento vorrei fare un’altra considerazione circa il prosieguo dell’assalto dopo quella prima fase di esordio della quale abbiamo appena trattato.

Conoscenze pregresse, spirito di osservazione, traccheggio e quant’altro portano lo schermitore ad iniziare lo scontro, come abbiamo appena visto, impostando l’assalto con certe modalità: “attacco appena posso, lo aspetto in difesa, appena parte lo stoppo e così via”.

Dopo l’assegnazione delle prime stoccate è di vitale importanza fare il punto della situazione e valutare i risultati del proprio tipo di approccio tecnico all’avversario.

Se essi saranno confortanti, ovviamente sarà bene insistere negli stessi colpi, a meno che non si voglia innestare una tattica basata sull’amministrazione del vantaggio tramite un atteggiamento dilatorio del tempo o la realizzazione, nella spada, del colpo doppio.

Se al contrario l’esito iniziale avrà dato risultati non troppo esaltanti o addirittura negativi, sarà necessario avere la capacità, come si dice,  di cambiare gioco, rivedendo tutta la struttura dei nostri ragionamenti tecnici e tattici.

L’errore più grave che uno schermitore possa compiere (o il più grosso limite che possa avere) è quello di non rendersi conto del motivo per cui sta perdendo, in altre parole del modo in cui sta prendendo le stoccate dall’avversario.

Questo, ovviamente, non significa che egli non possa poi anche perdere l’incontro, ci mancherebbe altro! Ma ciò che denota la vera maturità di un tiratore, risultato a parte, è che conduca il match cercando di realizzare la giusta contraria.

Un esempio? Contro un avversario più veloce di me che mi ha già toccato varie volte con una o più finte non devo continuare (inutilmente!) a cercare il suo ferro in parata, ma devo assolutamente uscire in tempo. Se poi la mia punta esce o, nelle armi convenzionali, tocca anche lui e per questo mi negano il colpo… amen!

Quindi, per tutto quello che è stato detto, nel corso di un assalto, magari più in quello a quindici botte dell’eliminazione diretta che in quello a cinque del girone all’italiana, non c’è un solo potenziale esordio tecnico, ma possono essercene tanti quanto le esigenze di pedana ne impongano durante lo svolgimento globale dell’incontro.

E qui mi fermo per non andare l’ennesima volta fuori tema, per non divagare come più volte mi è capitato.

Però vorrei approfittare dell’occasione per sottolineare a questo proposito quanto vasta, intricata ed elaborata sia la nostra disciplina: quanti rivoli si dipartono dal tema centrale che mi sono posto, lo spazio ed il tempo! Impossibile seguirli tutti!

Ciò, indubbiamente, aggiunge fascino al fascino: una vera gioia per gli esploratori.

 

Il tempo come preparazione

Prepararsi, ha il significato di attrezzarsi debitamente in vista di un probabile evento futuro.

Sembra che quest’affermazione sia superflua per un soggetto come lo schermitore che quando affronta l’avversario sulla pedana è in costante allarme rosso: l’attacco nemico si può scatenare improvvisamente da un istante all’altro.

Il problema, indubbiamente reciproco, è anche quello di dover dividere le proprie risorse complessive in due attività antitetiche: premeditare l’attacco da una parte, organizzare la difesa dall’altra. Come bipartire il proprio disco rigido mentale – fisico – tecnico ed avere la necessità di accedere alternativamente alle due parti in tempi rapidissimi.

Ma al di là di questo assetto attentivo generale, sotto l’ottica della preparazione, esistono specifiche situazioni sia in fase d’attacco, sia in fase di difesa.

Nel primo caso, data per scontata l’avvenuta ideazione di un idoneo colpo, si tratta di mettere in campo una serie di atteggiamenti ritenuti idonei a nascondere la vera natura della determinazione che si sta per realizzare. Si tratta, come nelle migliori battaglie, di compiere una serie di azioni diversive, non potendo nella scherma alzare barriere fumogene come nelle battaglie navali o  i deflettori in quelle spaziali (sic!).

Sulla pedana essi si concretizzano innanzitutto con una serie di movimenti del braccio armato, di solito supportati anche da spostamenti in avanti e all’indietro dell’intero corpo.

In gergo schermistico l’insieme di quest’attività tendente a celare o quantomeno a camuffare le vere intenzioni in fieri dello schermitore è denominata traccheggio.

Un esempio tra i più classici? Due o tre battute di quarta a velocità ridotta con lenti passi in avanti, come prodromo ad un veloce colpo di terza e filo in allungo. Un altro? Un paio di legamenti di terza sempre a velocità ridotta andando lentamente in avanti, poi una folgorante fianconata di seconda, partendo ovviamente, come nel caso precedente, dalla linea opposta.

Ma la preparazione di un colpo, oltre che in attacco, si può effettuare anche in difesa: in gergo si dice aspettare l’avversario.

In questi casi lo scopo è quello di eliminare o quantomeno d’attenuare l’effetto sorpresa dell’antagonista, in quanto si idea di costruire la propria stoccata appunto sul suo attacco.

Quindi lo schermitore si deve porre in paziente attesa dell’iniziativa nemica, di cui deve già avere naturalmente intuito le coordinate.

A questo punto la sua percezione, tramite la vista, il tatto e l’udito deve svolgere la funzione di una vera e propria attenta sentinella, che deve essere in grado di dare l’allarme al momento opportuno.

Come sappiamo la difesa può realizzarsi in due modi: tramite l’uso della parata o la realizzazione di un’uscita in tempo.

Nel primo caso si tratterà di deviare il colpo tramite l’uso della propria lama, magari essendo pronti, se di caso, anche ad arretrare per smorzare l’effetto dirompente dell’attacco avversario.

Nel secondo caso si tratterà di attuare tutte quelle tecniche idonee a bloccare l’azione nemica in funzione delle sue diverse modalità esecutive: quindi anticipi, svincoli in tempo, schivate o interventi diretti sul ferro.

Quanto più lo schermitore sarà preparato ad “accogliere” l’attacco dell’avversario, tanto maggiori probabilità di successo avrà.

Per rendere maggiormente l’idea di questa situazione tattica è il caso di mutuare un’espressione dal linguaggio comune: “aspettare (l’avversario) al varco”.

 

 

Il tempo come stasi

Il vocabolario definisce la stasi come “un arresto temporaneo di un’attività o di un fenomeno”.

Sulla pedana ovviamente senza l’alt del presidente di giuria non c’è mai una stasi nel senso pieno del termine; tuttavia, tranne nella specialità della sciabola dove per i motivi che abbiamo già esposto altrove tutto si brucia nell’attimo che fugge,  nello svolgimento dell’assalto talvolta il livello della tensione dello scontro si abbassa notevolmente, creando spazi temporali di relativo rilassamento.

Naturalmente ci deve essere una comune intesa tra i due contendenti, altrimenti il rilassamento dell’uno potrebbe essere sfruttato dall’altro con una maggiore spinta in avanti per guadagnare terreno.

I motivi che possono indurre i due contendenti a questa tacita interruzione sono di varia natura: un tentativo di parziale recupero di energie psico – fisiche dopo una fase particolarmente accesa dello scontro, una pausa di riflessione proposta da uno dei due contendenti che si trova in svantaggio soprattutto in seguito a suoi attacchi errati, l’approssimarsi della fine del tempo regolamentare a disposizione mentre si è in condizioni di parità di punteggio, l’avvicinarsi della scadenza temporale di una delle due prime frazioni dell’assalto ad eliminazione diretta, l’accettazione bilaterale della situazione di punteggio esistente in una qualche frazione a staffetta di un incontro a squadre e così via.

Per attivare tecnicamente questa stasi del combattimento è necessario solo allungare un po’ la misura, affinché si possa “abbassare la guardia” con un certo margine di sicurezza onde evitare sorprese da parte dell’avversario.

La durata di questo intervallo di non belligeranza è varia e si riallaccia in modo diretto alle situazioni di pedana che ho ricordato poco sopra.

In seguito ad esse la ripresa delle ostilità sarà probabilmente e ovviamente effettuata in prima battuta da colui che non avrà interesse per questioni di punteggio a prolungare la stasi; in seconda battuta, a seconda dei punti di vista, o da colui che si sente più determinato a mettere la stoccata o da colui, al contrario, al quale non “reggono i nervi”.

Queste ripartenze offrono la possibilità, nonostante la maggiore misura alla quale sono condotte, di cercare di sorprendere l’avversario: ciò mediante le meccaniche di spostamento in avanti e all’indietro di cui abbiamo già fatto cenno in altra parte di questo lavoro e soprattutto mediante la tecnica del raddoppio.

Naturalmente più perdura sulla pedana il periodo di relativa quiete, più è nell’aria la ripartenza, che, oltre un certo lasso di tempo, diventa naturalmente sempre più probabile e quindi prevedibile.

E’ da ricordare che il Regolamento prevede questi momenti di relativa caduta di tensione agonistica: infatti, se essi si protraggono nel tempo e si reiterano, esso li disciplina e li sanziona come “non combattività”.

Onestamente ci sfugge la ratio di questa norma: è plausibile che il mancato impegno di una sola delle due parti in gara possa configurare un comportamento antisportivo, ma non quello di  entrambe.

A questo proposito in passato, quando ancora le gare si svolgevano per intero con gironi all’italiana, si era più volte manifestata la piaga dei passaggi di vittoria: a me la vittoria ora non serve, ti faccio vincere e tu me la restituisci nella stessa gara oppure alla prossima occasione quando te la richiedo. Oppure, peggio ancora, si staccavano assegni, quasi ai bordi della pedana!

Il legislatore cercò allora di rimediare a queste incresciose situazioni inserendo una norma circa la scarsa combattività, la cui interpretazione era comunque demandata alla prudente valutazione del presidente di giuria.

Ma la questione era e rimaneva unilaterale, cioè riguardava l’atteggiamento di uno solo dei due contendenti.

Averla oggi estesa ad un comportamento bilaterale lascia piuttosto perplessi, soprattutto per il fatto che un passaggio di vittoria (incasso del compenso pattuito a parte) produce come necessario effetto l’eliminazione di chi lo effettua, ciò in virtù dell’attuale formula di gara in vigore. Escluso, naturalmente, il primo turno a gironi all’italiana, dove del resto lo schermitore lotta per la conquista della migliore posizione sul cartellone ad eliminazione diretta, condizionando quindi in modo diretto la sua prosecuzionedi gara.

L’unico aggancio logico è quello della spettacolarizzazione del match, nel senso di un suo migliore dimensionamento per il pubblico, magari per la grande platea televisiva. In effetti un più nutrito scambio di stoccate appassiona maggiormente il grosso pubblico, in specie quello che segue la scherma solo ogni quattro anni in occasione delle Olimpiadi.

Se questo fosse il vero ed unico motivo dell’inserimento della sanzione di non combattività, a mio parere, si sarebbe commesso un grosso torto alla tattica schermistica, inserendo  un elemento coercitivo para – tecnico con sicuri risvolti distorsivi  dello scontro.

Togliere allo schermitore (in questo caso agli schermitori in simultanea) la possibilità di disporre della gestione del tempo, naturalmente al di là del limite regolamentare di durata, significa influenzare pesantemente uno dei due pilastri portanti della disputa sportiva (come stiamo cercando di dimostrare con questo lavoro).

Tra l’altro s’interviene con mano pesante sul diritto che ogni schermitore ha di condurre un combattimento secondo i propri convincimenti ed opportunità. In pratica si limita e non di poco una sua libertà d’interpretare i tempi tattici dello scontro.

Magari, fruendo di un appropriato clima creato dal commentatore, sarebbe bastato sottolineare e valorizzare al contrario gli istanti elettrizzanti, anche se dilatati, che precedono la registrazione delle stoccate.

La scherma attuale ha già pagato dazio rispetto a prima: come abbiamo già ricordato meno tempo (la metà) e meno spazio (non c’è più il metro o i due metri di avvertimento per il limite posteriore).

Queste restrizioni e coartazioni non possono andare oltremodo ad influire il modo di condurre un match: in prima battuta viene interessata ovviamente la tattica, poi, attraverso una fase selettiva delle azioni più idonee ai nuovi contenitori spazio – temporali operata da essa, viene anche interessata in seconda battuta anche la tecnica, nel senso di rendere praticamente obsolete numerose tipologie di colpi.

Conclusione: progressiva erosione delle teoria schermistica, ridotta ad una manciata di varietà di azioni e, per il grande pubblico, solo attesa dell’accensione della “lucina” della macchina registratrice dei colpi.

 

 

Il tempo come recupero
Nel gergo sportivo il recupero è notoriamente l’annullamento di uno svantaggio accumulato in precedenza.

Anche nel match di scherma necessariamente si configura il caso per cui uno dei due contendenti si trova a dover inseguire il punteggio dell’altro.

Siccome la situazione ovviamente è indipendente dalla volontà di chi è in svantaggio, facciamo alcune riflessioni a questo proposito senza avere la pretesa che esse siano la panacea di tutti i suoi mali schermistici.

Innanzitutto è importante rendersi conto di come si possa essere giunti a tal punto: l’analisi e la piena comprensione di ciò che di bene o di male accade in pedana è un valore primario per ogni schermitore che si voglia definire tale.

A questo proposito, lo abbiamo detto poche pagine addietro, capire perché si perde o meglio perché si è presa una certa stoccata si dovrebbe quanto prima concretizzare,  in un cambio di tattica, in un cambio di gioco.

Ciò naturalmente non è garanzia di nulla e può portare tranquillamente a continuare ad incassare stoccate, ma almeno avremo costretto l’avversario a rimodulare le sue azioni e avremo fatto in queste contingenze tutto il possibile.

Comunque una riflessione tecnica possiamo anche farla a questo proposito e del resto l’abbiamo già accennata altrove in questo lavoro.

Nella teoria schermistica ci sono dei colpi che hanno la caratteristica di essere più garantiti di altri; garantiti vuol dire in gergo che nel loro espletamento innestano un qualcosa che tenda a controllare la lama dell’avversario, impedendogli così di nuocere.

Richiamiamo due esempi chiarificatori a noi già ben noti: l’opposizione di pugno ed il filo.

In entrambi i casi, il primo tramite l’angolo al polso in corrispondenza della lama avversaria, il secondo tramite il fatto di non abbandonare mai il contatto con il ferro nemico, si cerca di attuare uno dei più sani principi della scherma: toccare senza essere toccati.

Ed il recupero del punteggio non può che passare da questa strada, cercando di non concedere alcuna possibilità all’avversario.

Per il vero non è che questa tipologia di colpi non si possa applicare sempre e comunque nel corso dell’assalto, ma qui, nella situazione di svantaggio, essa diventa una vera esigenza situazionale tecnica.

Esiste anche un procedimento schermistico che per le sue caratteristiche si adatta non poco al fatto di dover recuperare il punteggio in una certa sicurezza: il controtempo.

In questo caso la maggiore garanzia è fornita dal concetto che tale azione si basa su un’induzione dell’avversario a fare un qualcosa di già preventivato su cui poter intervenire con maggiori probabilità di successo.

Il dover recuperare il punteggio esige anche una saggia amministrazione del tempo residuale del match: saggia in quanto non si può né precipitare oltre il necessario la stoccata, né d’altra parte far trascorrere inutilmente il tempo.

Anche la gestione dello spazio dovrà essere molto oculata, in quanto essa si traduce in pratica in scorrere del tempo.

L’avversario, che è in vantaggio,  sotto la spinta in avanti di colui che deve recuperare può tenere a questo proposito due comportamenti completamente divergenti.

Il primo, dilazionatorio, consistente nell’arretrare quanto più lentamente gli è concesso al fine di far trascorrere più tempo possibile sino almeno al reddere actionem della linea di uscita di fondo.

Il secondo, basato sulla sorpresa, consistente nel realizzare un attacco o, a seconda dei casi, un’uscita in tempo sull’avanzamento pressante del contendente.

Quanto detto vale tecnicamente per tutte e tre le specialità, ma ovviamente la spada con la sua deregulation e la possibilità del colpo doppio meno si presta ai recuperi. E se ciò capita è sicuramente più demerito di chi era in testa, che merito di chi era in svantaggio. Come nel calcio: non è tanto bravo il portiere a parare, quanto il rigorista che sbaglia il tiro.

Comunque, sapendo gestire bene la situazione, a volte si possono compiere veri e propri miracoli: tutto naturalmente dipende dalla differenza di stoccate messa in relazione al tempo regolamentare residuo.

A questo proposito non è da trascurare anche la pressione psicologica a cui è sottoposto colui che si vede mano a mano raggiungere nel punteggio.

E’ la solita vecchia storia: nella scherma ha più probabilità di successo chi riesce a mantenere i nervi più saldi e a controllare la situazione.

 

 

Il tempo oggettivo ed il tempo soggettivo
Nel nostro sistema di riferimento (è questa la condizione, direbbe Einstein), il tempo costituisce una grandezza fissa e misurabile; ed è talmente importante la precisione del suo scandire che l’uomo a questo scopo ricorre addirittura all’orologio atomico, cioè alla costanza del periplo di un elettrone attorno al suo nucleo.

I secondi, i minuti, le ore e anche le quantità non percettibili dall’uomo (microtempo e macrotempo) scandiscono gli eventi del mondo, inquadrando tutto il divenire della nostra realtà.

A questa natura del tempo percepita dall’uomo come sostanzialmente oggettiva, se ne può opporre un’altra di natura squisitamente soggettiva.

Scusandoci ancora con Einstein per l’incomodo, ne citeremo a questo proposito una famosa frase: “cinque minuti passati con una persona piacevole non sembrano più gli stessi se passati invece con il sedere su una stufa accesa”.

L’esempio, veramente esplicativo, non lascia alcuna ombra di dubbio: in certe situazioni l’uomo può percepire il tempo, o meglio la sua durata, in modo diverso. Aspettative, desideri, necessità, obblighi, paure, imperativi categorici e quant’altro possono intaccare il suo battito sincronico e conseguentemente tali stati d’animo possono farlo percepire in effetti come più ampio o più corto.

E’ il caso di due schermitori in pedana giunti a qualche decina di secondi dalla fine dell’assalto con un’esigua differenza di punteggio.

Chi di noi si è trovato in queste condizioni non può che confermare quanto segue: se sei in testa e cerchi di far trascorrere senza colpo ferire il tempo, questo non passa mai, anzi si dilata a dismisura e ogni secondo sembra un secolo. Differentemente, se sei in svantaggio e devi recuperare una o due stoccate, lo stesso lasso di tempo ti fugge via veloce e ti sembra di non poter concludere nulla.

In effetti, come abbiamo accennato poco sopra, uno stato d’animo di segno opposto fa percepire una quantità di tempo in modo diametralmente opposto.

Il rimedio, si fa presto a dirlo con le parole, è quello di cercare di non perdere mai il contatto con la realtà di pedana e gestire al meglio la situazione.

Nei capitoli dedicati allo spazio e al tempo tattico abbiamo cercato di dimostrare quanta valenza abbiano questi due ambiti di natura non tecnica nello svolgimento dell’assalto.

La situazione di cui stiamo trattando esige ovviamente un’applicazione in un certo modo parossistica, ma sempre sotto assoluto controllo, di quei colpi e di quegli atteggiamenti che abbiamo indicato come fondamentali per la gestione di situazioni estreme.

Innanzitutto lo schermitore, anche se non è in grado di visionare direttamente per l’ottica in cui si trova lo scorrere del tempo sull’apposito cronometro, deve elaborare una personale capacità di valutare oggettivamente il tempo residuo, andando in controtendenza a quelle pulsioni istintuali di cui abbiamo appena parlato. Ciò evidentemente vale soprattutto per colui che deve recuperare il punteggio, perché il pericolo maggiore è quello di precipitare l’azione quando invece si ha ancora tempo per costringere meglio alle corde l’avversario; diversamente chi è in vantaggio non può altro che subire.

Parallelamente la personale capacità di concentrazione deve andare a sottrarre energia allo stato emozionale: incentrando tutte le risorse possibili sulla migliore conduzione della situazione, dovremmo anestetizzare progressivamente tutte le altre pulsioni che possono comportare nocumento.

Infine,  trovandosi lo schermitore in queste situazioni estremamente delineate, deve essere già preventivamente in possesso di tutto un appropriato corredo di nozioni tecnico -tattiche da poter applicare quasi meccanicamente. Al momento opportuno, nelle due diverse situazioni che lo vedono costretto a difendersi o ad attaccare ad oltranza, non deve fare altro che ricorrere a schemi precostituiti che sono stati oggetto di allenamento specifico.

Riassumendo quanto abbiamo già detto in altra parte di questo lavoro: spingere il più velocemente possibile l’avversario verso il limite posteriore della pedana – per contro dall’altra ottica, resistere a tale spinta; marciare in controtempo – per contro, se di caso, reagire con la finta in tempo; innestare qualche atteggiamento innovativo rispetto alla tecnica utilizzata nelle precedenti fasi del combattimento (uscire in tempo, se sino a quel punto si è sempre parato o viceversa); privilegiare con il ferro la linea difensiva trasversale rispetto a quella orizzontale che è senza dubbio la più usata; utilizzare la tecnica del colpo doppio nella spada.

Ovviamente è colui che attacca che deve cercare di dare una sterzata all’assalto e deve quindi prendersi il rischio di attuare qualche stoccata diversa da quelle che è riuscito a mettere in campo sino a quell’istante dello scontro; attacchi su linee inconsuete, prese di ferro avvolgenti su linee altrettanto inusitate e così via.

Comunque resto dell’idea che perno centrale della capacità di gestire al meglio queste situazioni di confine sia la capacità di tenere sotto controllo la propria emotività: uno schermitore annebbiato nell’impostazione dell’azione cede una parte significativa del suo rendimento, perché fa diminuire il tasso di logicità della propria azione tecnico – tattica.

 

Il tempo tattico
Lo spazio e il tempo, come abbiamo visto, permeano attraverso tutte le loro diverse accezioni la teoria schermistica.

La dignità di queste due entità e tale da poter influire in modo determinante sul risultato finale di un assalto; e non mi riferisco ad una giusta misura ottenuta prima di un attacco o ad un’azzeccata scelta di tempo. Mi riferisco al fatto che lavorando specificatamente sullo spazio e sul tempo si può fare punteggio o addirittura vincere il match.

In entrambi i casi si tratta di riuscire a sfruttare in termini tattici alcuni elementi assolutamente estranei alla tecnica schermistica: se spingo l’avversario oltre la linea finale posteriore, attraverso la penalità che gli viene inflitta, ottengo una stoccata a mio favore; se sono in vantaggio e riesco a far trascorrere il tempo senza ulteriori danni, addirittura vinco l’assalto.

D’accordo che sono situazioni che a qualcuno possono sembrare estreme, ma, statistiche alla mano, non sono poi così rare nelle competizioni; ed il saperle creare e soprattutto saperle gestire non costituisce certamente un difetto per lo schermitore.

Dello spazio tattico abbiamo già detto a suo tempo, si tratta ora di dire alcune cose sul tempo tattico.

Una disparità di punteggio per uno schermitore avveduto non può non aver significato.

Preciso subito che non mi riferisco a insorgenti difficoltà di ordine psicologico che possono naturalmente insorgere in colui che, magari poco dopo l’inizio dell’incontro, è costretto ad inseguire il punteggio dell’avversario. Non è questa la sede opportuna per sviluppare questi temi; comunque mi è caro ricordare anche i non rari casi in cui un significativo vantaggio viene ad un certo punto a costituire una specie di freno a mano tirato. Qualcuno ha sentito parlare di paura di vincere?!

Tutte pericolose pieghe della mente, che potrebbero senz’altro essere rimosse in prima battuta da un tasso di buona concentrazione.

Entriamo ora nello specifico, anticipando il titolo dei  due temi che affronteremo qui di seguito: l’entità del vantaggio e la specialità in cui ci si trova a competere.

Ovviamente tanto più il nostro punteggio ci separa dall’avversario, tanto più crescono le nostre probabilità di vittoria.

Tuttavia una prima osservazione è che la differenza di punteggio va messa in relazione al tempo che ancora manca per la conclusione dello scontro: meglio due stoccate di vantaggio a cinque secondi dalla fine che sei dopo appena un minuto dall’inizio.

Ma facciamo qualche considerazione un po’ più tecnica: anche il vantaggio di una sola stoccata può, al di là del suo valore intrinseco, alterare il corso dell’assalto.

Facciamo un esempio: A e B si trovano in pedana e A sta conducendo per una stoccata – B presenta, rispetto ad A, minore propensione per l’attacco.

In questa situazione il trascorrere del tempo va a tutto svantaggio di B, che prima o poi, dovrà determinarsi a sviluppare un proprio attacco. A invece può optare tra due soluzioni entrambe per lui vantaggiose: sviluppare nuovamente l’attacco in cui ha maggiore propensione di B, oppure far trascorrere il tempo: in questo caso o affronterà B sul suo campo preferito (la difesa) o vincerà al limite per lo scadere del tempo.

Se, a parità di propensioni tecniche, invece a condurre di una stoccata è B, chiaramente quest’ultimo non avrà alcun interesse a forzare l’assalto e a sviluppare un attacco che lo vede svantaggiato in partenza.

Questa, per onestà intellettuale, devo dire che è la teoria; ma chi ha avuto la fortuna di calcare per anni certi tipi di pedane, sa che lo schermitore decide poi spesso lì per lì: cerca di sorprendere l’avversario facendo tutto il contrario di ciò che la situazione può suggerire, fa una valutazione errata di certe condizioni ambientali e… magari sbaglia.

Un secondo tema da svolgere, sempre sotto l’ottica di una differenza di punteggio, è quello di discernere la situazione tra specialità e specialità.

Una cosa è competere in un’arma convenzionale, una cosa è competere nella spada.

La prima cosa che salta all’occhio è che mentre nelle prime due il punteggio aumenta di una sola stoccata, invece nel secondo, grazie alla possibilità del colpo doppio, il punteggio cresce simultaneamente di un’unità per entrambi i contendenti.

Colpo doppio (magico termine), grazie al quale molti maestri (quelli specializzati nella spada) sono pronti a giurare che per vincere un assalto basta mettere la prima stoccata.

Ovviamente le cose non vanno sempre così, tutt’altro!

Comunque la possibilità tecnica per poter approfittare di certe situazioni c’è e talvolta è anche ben chiara e delineata; in verità spesso è lo spadista, o presunto tale, che non è in grado di sfruttare in pieno la potenzialità dell’occasione.

In effetti non ci si può accontentare solo dell’eventuale situazione di fatto che si genera talvolta al di là delle intenzioni dei due contendenti: si accendono tutte e due le luci, una stoccata per uno. Che bello sono in vantaggio di punteggio e con il colpo doppio ho vinto!

Ovviamente c’è una specifica modalità di approccio tecnico a tale tipologia di stoccata: i è chi si trova in svantaggio che deve stare attento alle azioni che mette in campo, è lui che paga le conseguenze negative dell’eventuale registrazione del colpo doppio.

Chi invece è in vantaggio di punteggio deve essere consapevole di avere più opportunità di natura tecnica, cosa che già di per sé dovrebbe generare ulteriori problemi all’avversario.

Se invece lo spadista continua a tirare normalmente stoccata su stoccata senza tenerne conto, concede un vantaggio all’avversario, che non è detto che gli venga da lui restituito in caso d’inversione di punteggio.

Il colpo doppio non è un’arma segreta, è solo una stoccata che si conosce o non si conosce, una stoccata che si sa tirare o non si sa tirare.

Ma caliamoci nella realtà di pedana, vediamo un po’: sono in vantaggio e voglio cercare di gestire l’assalto con una serie di colpi doppi.

Il presupposto tecnico – logico è quello di essere consapevoli che al fine di riuscire a toccare l’avversario non si deve necessariamente precedere il suo colpo, ma è possibile lavorare anche sul possibile ritardo di accensione stabilito dalle regole di combattimento, ovvero di un 40 / 50 millesimo di secondo. Una possibilità temporale per chi è in svantaggio, due possibilità temporali per chi persegue il colpo doppio.

E’ appunto su questa allonge temporale che lo spadista deve costruire tecnicamente la sua stoccata: essa può e deve costituire un vero e proprio equalizzatore delle lunghezze e dei tempi altrimenti percepiti ed applicati in condizione di colpo singolo.

Ma cerchiamo di enunciare qualche principio di ordine pratico che possa permettere allo spadista di approfittare della situazione in discussione.

Prima considerazione: è meglio eseguire azioni a ferro libero, perché il contatto anche accidentale tra i ferri può occasionalmente favorire l’avversario.

Seconda considerazione: se devo affidarmi ad azioni a ferro libero, è necessario comparare preventivamente che rapporto di spazialità esiste tra il mio braccio armato e quello dell’avversario. Naturalmente, se impugno una spada con manico francese, devo spostare la mano verso il pomolo per avere la massima lunghezza possibile.

Terza considerazione: se l’espressione del mio braccio armato è superiore o pressoché uguale a quella dell’avversario posso tirare l’azione a ferro libero sia in attacco che in uscita in tempo col colpo d’arresto tirato d’anticipo, in pratica tirare sul tirare. Al contrario, se è inferiore, mi devo limitare all’attacco, però solo dopo che ho constatato con lo scandaglio che il mio avversario non para, ma preferisce arrestare. L’eventuale differenza in minus del braccio armato è compensata dal ritardo di accensione consentito dal Regolamento e in caso d’attacco anche dall’effetto sorpresa.

Quarta: il colpo a ferro libero, sia di attacco che di uscita in tempo, non va indirizzato sui bersagli avanzati, ma sul bersaglio grosso nella zona della spalla del braccio armato: essa non è esigua come il braccio armato e risulta la più vicina di tutto il restante corpo. La veemenza del tipo di azione del resto sconsiglia, anzi esclude per sua stessa natura, la necessità di puntare ad anticipare il colpo geometricamente, scegliendo i bersagli più prossimi.

Quinta: la stoccata si tira in zone amorfe della pedana, quindi preferibilmente non nelle vicinanze del suo limite posteriore, zona in cui l’avversario può mettere maggiormente in preventivo una nostra reazione, sia di attacco che di uscita in tempo. In atri termini deve, almeno nei limiti del possibile, cercare di sorprendere l’avversario sulla sua avanzata quando ancora non è precluso un ulteriore arretramento.

Sesta: se decido di cercare il colpo doppio in attacco non  devo mai fintarne uno, ma solo eseguire quello vero; se decido di tirare sul tirare, prima devo cercare di dissimulare il mio atteggiamento, reagendo sempre con una parata alle eventuali provocazioni di scandaglio o di pressione in avanzata dell’avversario.

Settima: Devo tirare a toccare; frase un po’ sibillina che vuol dire tutto e nulla: in pratica devo stare attento ad esprimere tutta la lunghezza del mio braccio armato, devo prestare attenzione all’angolazione per garantirmi un buon angolo d’impatto sul bersaglio, devo effettuare una certa stretta in tempo sul manico, devo profilarmi (soprattutto in caso di uscita in tempo) per offrire meno bersaglio possibile all’avversario, devo concentrarmi sul bersaglio, devo garantire alla stoccata, sia d’attacco che di difesa, una sicura energia d’impatto.

Ottava: devo essere consapevole che l’elemento portante di tutto il colpo è la scelta dell’istante per partire. Il rinoceronte che carica devo colpirlo in mezzo agli occhi, ma né troppo lontano da me (sarebbe più difficile), né troppo vicino (sarebbe troppo pericoloso).

Nona: se tento il colpo doppio di uscita in tempo devo essere sicuro che l’avversario non marci in controtempo, altrimenti non farei altro che assecondare i suoi disegni tecnici. Quindi massima attenzione alle reazioni che ha facendogli uno scandaglio sulla sua prima avanzata.

Chi è in vantaggio di punteggio, poi, è in possesso di un’importantissima informazione: sa dell’esigenza del suo avversario di dover attaccare e, più passa il tempo, più se lo deve aspettare. In pratica l’attacco che verrà prima o poi sferrato perde in partenza uno dei suoi elementi portanti, la sorpresa; anzi le parti si invertono e avviene un vero e proprio ribaltamento tattico: è la difesa, che da pronta risposta all’imprevisto, assume  i contorni ambientali dell’agguato.

Un’ulteriore alterazione dei normali rapporti di pedana in funzione del punteggio deriva anche dalla possibile risposta tecnica da dare di fronte alla pressante esigenza di recupero dell’avversario: quest’ultimo, nel suo incalzare, tenderà progressivamente ad accorciare la misura per poter sferrare al meglio il suo attacco e, ovviamente, sarà tutto preso e concentrato sull’ideazione e sullo sviluppo di quest’ultimo. Condizioni ideali queste per rispondere all’attacco con un’uscita in tempo.

Poi, come ben sappiamo e come abbiamo accennato poco sopra, la cosa si può complicare sempre di più: allora chi attacca è meglio che marci in controtempo e chi si difende deve rispondere con la finta in tempo…e così via.

Tutte queste argomentazioni, è bene ricordarlo, sono squisitamente speculative, in quanto ogni schermitore, trovata la giusta breccia nella difesa dell’avversario, può ovviamente decidere di cercare di concludere al più presto l’assalto, senza cercare di sfruttare a suo vantaggio lo scorrere del tempo.

Questo in fin dei conti è un’aspetto decisamente affascinante della nostra disciplina: ogni schermitore è libero di scegliere la propria condotta, salvo poi la verifica del risultato.

Comunque, a mio parere, si può vincere in tanti modi: siamo d’accordo che quello che conta è il risultato finale, ma si può vincere bene o vincere male, si può rischiare di più o rischiare di meno.

L’assalto di scherma è un vero e proprio scontro senza quartiere: nell’ambito del Regolamento e della correttezza sportiva lo schermitore deve cercare di sfruttare tutto ciò che può aumentare le sue possibilità di affermazione, quindi anche la tattica sul tempo.

Chi si atterrà più scrupolosamente a questo principio non per questo avrà garantita la vittoria, ma sicuramente sarà riuscito a dare la massima espressione alle sue potenzialità.

Ma passiamo ora dall’altra parte, la parte cioè dello schermitore che è indietro nel punteggio e si rende conto di dover stringere i tempi. Ripetiamo alcuni concetti già espressi in precedenza.

La prima considerazione da fare è quella di cercare di avere e mantenere sempre una buona valutazione del tempo ancora a disposizione, naturalmente in funzione anche del numero di stoccate da recuperare. Se ciò è possibile tramite le segnalazioni esterne bene, altrimenti è necessario valutare il tempo con un nostro orologio mentale.

Come facilmente s’intuisce, l’errore da evitare in modo assoluto è quello di precipitarsi all’arrembaggio dell’avversario.

Piuttosto è il momento di richiamare tutte le informazioni che abbiamo su di lui, tenerne maggiormente di conto, spingerlo con decisione il più velocemente possibile verso il limite posteriore della pedana per fargli spendere subito questa sua possibilità, vigilare su una sua eventuale uscita in tempo, andando eventualmente a neutralizzarla con una presa di ferro su una linea inconsueta almeno sino a quel momento dell’assalto.

…e a questo punto, vinca il migliore!

Sinora abbiamo considerato l’argomento tempo tattico sotto l’ottica della diversità di punteggio tra gli schermitori, che, d’altra parte, rappresenta il caso più ricorrente e visibile.

Tuttavia esistono altre situazioni in cui si può cercare di trarre un qualche vantaggio dal fattore tempo.

Penso al caso di uno schermitore chiaramente inferiore sulla carta al suo avversario: sicuramente non gli conviene affrontare il nemico sul campo aperto di battaglia, quanto piuttosto organizzare una guerriglia, insomma un specie di quello che contro Annibale fece Quinto Fabio Massimo, detto appunto il Cunctator, il temporeggiatore.

Tradotto in termini schermistici: più tempo passa e più ci si avvicina allo scadere del tempo in condizioni di parità tanto più la possibilità di vittoria, magari anche di una sola stoccata, cresce statisticamente per il più debole. Quest’ultimo deve cercare quindi di trascinare tatticamente l’assalto senza colpo ferire e sperare di colpire l’avversario in zona Cesarini. Come una squadra di calcio nettamente inferiore all’altra, che, non potendo battere sul campo l’avversario (magari perché ha anche un paio di giocatori espulsi), mira a giungere almeno ai calci di rigore finali.

A proposito di tattica militare è strabiliante verificare quanti punti di contatto ci siano fra la teoria di uno scontro tra truppe, ovvero di un insieme di elementi, e quella di un combattimento singolo:  la fase di studio del dispiegamento delle forze nemiche sul campo di battaglia eseguita dal generale corrisponde in tutto e per tutto con il necessario studio dell’avversario sulla pedana, un attacco diretto dei contingenti presenti al centro corrisponde alla botta dritta dello schermitore, un diversivo per ingannare il nemico si propone lo stesso fine di una finta fatta con l’arma e così via.

Ma torniamo, per poi concludere, al tempo tattico.

Un altro esempio può essere quello di un girone all’italiana, in cui tra i due schermitori che si affrontano, uno dei due è costretto a vincere per questioni di classifica. In questo caso la situazione di vantaggio tattico ricalca un po’ quella poco sopra esaminata: pur in presenza di una parità di punteggio, appunto quella dello zero a zero di  partenza dell’assalto, la situazione tattica deve portare uno dei due prima o poi ad attaccare, mentre l’altro, conoscendo tale esigenza, può aspettare al varco l’antagonista, facendo scorrere il tempo.

In uno scontro totale e globale, come appunto è l’assalto di scherma, la forza e soprattutto l’intelligenza di chi compete risiede nel saper sfruttare ogni minimo vantaggio che l’occasione può presentare: soprattutto quando i valori tecnici sulla pedana si equivalgono un piccolo margine può rappresentare l’elemento decisivo e costituire la differenza del risultato finale.

 

Il tempo falso

I trattati di scherma, solitamente molto pragmatici, raramente presentano delle zone diafane: è il caso del concetto di tempo falso.

La concezione dell’elemento temporale che sinora abbiamo analizzato si è incentrata essenzialmente in due aspetti, uno assoluto ed uno relativo.

Il primo aveva per oggetto, attraverso l’economia degli altri elementi, la velocizzazione esecutiva in termini assoluti del gesto tecnico: così, ad esempio, tutte le azioni cosiddette semplici, una parata e risposta o un’uscita in tempo.

Il secondo, invece, metteva in relazione l’esecuzione del colpo con i tempi di reazione dell’avversario: così tutte le azioni composte, il controtempo, la seconda intenzione, la finta in tempo.

Il tempo falso s’inserisce tra questi due estremi concettuali: falso perché non basa la sua esecuzione né sul concetto di espressione di massima velocità, né del resto lo subordina  in modo diretto all’esecuzione di un proprio gesto tecnico tendente ad eludere la difesa o la contro-difesa dell’avversario.

Il meccanismo di questo metodo di tirare il colpo si basa sulla ricerca di una dimensione temporale sfalsata, in termini di ritardo, rispetto alla capacità reattiva dell’avversario: in genere le stoccate si vibrano per superare quest’ultimo in velocità, altre addirittura si fondano sull’anticipo di una sua azione; ebbene, il tempo falso va nella direzione completamente opposta, rallentando cioè la propria potenziale velocità di esecuzione del gesto tecnico.

Quindi  l’elemento centrale consiste nel mandare fuori tempo l’avversario, ovvero andare ad alterare volontariamente quelli che, almeno sino a quel momento, erano stati i normali ritmi temporali alla base delle varie azioni.

Facciamone qualche esempio.

Ogni schermitore evoluto, dopo lo scambio di alcune stoccate, deve essere in grado di valutare la capacità di spostamento dell’avversario e, come abbiamo già visto in precedenza, deve registrare in relazione a questa la sua misura. Come ormai ben sappiamo quest’ultima è un grande equalizzatore spazio – temporale.

Inoltrandosi mano a mano nello svolgimento dell’assalto ci si assuefà sempre più alla velocità utilizzata dall’avversario, adattando e registrando quasi incosciamente su di essa i nostri tempi di reazione.

La presunzione, anche molto ovvia, è quella di vigilare solo su un possibile aumento di questa velocità, che potrebbe, ovviamente, rendere vana la nostra difesa; sembrerebbe non logico attendersi un suo decremento, che, a prima vista, andrebbe ad inficiare la qualità dell’attacco portato su di noi.

Questo atteggiamento tende però a farci perdere il contatto con una parte della vicenda reale e ci espone all’avversario che sa ben sfruttare la dimensione temporale e le sue opportunità.

Quindi, dopo aver reiterato alcuni attacchi semplici al massimo della velocità consentita (comunque ne sia stato l’esito), lo schermitore può cominciare ad intervallarli con attacchi portati ad una velocità iniziale leggermente inferiore: soprattutto la partenza di questi attacchi dovrà essere nascosta dietro un movimento blando che dovrà ingannare e far attivare in ritardo il sistema difensivo dell’avversario.

Passiamo ora ad un altro esempio, forse il più caratteristico: dopo avere neutralizzato con una parata un attacco dell’avversario, c’è, come sappiamo, l’opportunità di colpirlo di rimando con una nostra risposta.

Soprattutto nelle armi convenzionali c’è la preoccupazione della sua contro – reazione difensiva, tanto che la teoria schermistica ha elaborato la risposta di finta.

La controparata, effettuata quasi sempre ritornando in guardia, è quasi una reazione istintiva che lo schermitore mette in atto per proteggere la sua ritirata; è naturale che in questo tipo di azione tenda ad applicare la sua capacità di velocità massima non avendo né tempo, né modo per armonizzarla con l’effettiva velocità della risposta.

In queste condizioni appare evidente il margine d’intervento temporale di chi ha effettuato la parata e deve lanciare la sua risposta: riesce a precedere la controparata e quindi tocca in base al rapporto tra le due velocità in campo, ricorre alla finta per ingannare spazialmente l’avversario, ritarda il colpo quel tanto per far sfilare la lama dell’avversario che si sposta quasi automaticamente in parata e successivamente tocca il bersaglio lasciato conseguentemente scoperto.

Con la teorizzazione del tempo falso la dottrina schermistica ha coperto l’intera gamma temporale che può intercorrere tra due eventi (prima, durante e dopo), nel nostro caso l’attacco di un contendente e la parata dell’altro.

In genere lo schermitore, nel primo caso, tramite una sua determinazione tecnica, tende a sopravanzare temporalmente l’avversario ed il suo insuccesso, o dall’altra ottica il successo di chi subisce l’azione, è legato alla capacità di quest’ultimo di annullare questo anticipo. Ciò sia nelle classiche azioni semplici che in quelle composte.

Nel secondo caso con le uscite in tempo e azioni affini si può intervenire durante un evento, basando proprio su di esso il presupposto del proprio colpo.

Infine nel terzo caso, ricorrendo al tempo falso, si riesce anche a sfruttare le occasioni create da un dopo evento. Pur non ricorrendo ad una finta, si tira il colpo in un istante successivo ad una sua determinazione difensiva.

In effetti, se mettiamo in relazione l’esito positivo di una parata al rispetto dell’orario di appuntamento che essa idealmente si era dato in un preciso istante con la lama nemica, capiamo subito che tale appuntamento non ha buon esito, oltre che a causa di un ritardo (la parata è troppo lenta), anche nel caso di un anticipo (la parata è troppo veloce).

E’ ovvio che il ricorso al tempo falso nella risposta dopo una parata è assolutamente sconsigliabile in caso di avversari tendenti non alla controparata bensì alla rimessa o al secondo colpo: in queste situazioni manca proprio il presupposto applicativo temporale, che anzi si ritorce su colui che spontaneamente o erroneamente cerca di realizzarlo.

Soprattutto nella specialità della spada, dove il tempo è sovrano, appare un imperdonabile errore tecnico che si può pagare a carissimo prezzo.

L’occasione, per similitudine, evoca una caratteristica stoccata che lo spadista ha l’opportunità di tirare se il suo avversario è solito parare e rispondere non tutelandosi con il filo.

In effetti, al termine della stoccata d’attacco, la punta dell’attaccante è spazialmente molto prossima al bersaglio dell’attaccato; se poi quest’ultimo non si sarò difeso col ferro mantenendo la punta in direzione del colpo sopravveniente, quest’ultima sarà in posizione alquanto divaricata rispetto al bersaglio da colpire con la risposta.

Al previsto distacco dopo la parata, il tragitto della punta di chi attacca sarà molto più breve per colpire rispetto a quello di chi dovrà rispondere: a questo punto il colpo più opportuno spazialmente da vibrare sarà senz’altro un secondo colpo dopo quello iniziale e non una controparata, che obbligherebbe il ferro a retrocedere velocemente nell’improba impresa di precedere il colpo di risposta per poi finalmente avere la possibilità di controbattere con una controrisposta.

Questo cadere intenzionalmente sotto una parata dell’avversario per poi attuare quanto sopra descritto viene definito dai trattati seconda intenzione.

Tale terminologia evidenzia il fatto che la prima stoccata non si prefigge di toccare subito l’avversario ,  ma ha il solo scopo di produrre una sua reazione difensiva col ferro per poi poter controbattere nei termini sopraindicati.

 

8 – Lo Spazio-Tempo

Nei precedenti capitoli abbiamo passato al vaglio lo scibile schermistico prima nell’ottica dello spazio, poi in quella del tempo.

Si tratta ora di focalizzare la nostra attenzione, entrando nello specifico più di quanto non sia stato fatto sinora, sul rapporto tra questi due maxi contenitori della realtà che sono appunto il tempo e lo spazio. Sinora infatti solo indirettamente e saltuariamente abbiamo avuto la possibilità di verificare i sinergismi tra queste componenti dello scontro sulla pedana.

In effetti ogni tipo di movimento che effettuiamo anche nella semplice realtà quotidiana mette in stretta relazione queste due entità: la fisica esprime appunto questo rapporto con la nota formula V = S / T, dove V è la velocità, S lo spazio e T il tempo.

Attraverso le cosiddette formule inverse si ottiene di conseguenza che S = V x T e che T = S / V.

Riportiamo intanto alla memoria il concetto di proporzionalità inversa che recita: “nel prodotto di due fattori, al crescere di un valore deve corrispondere, affinché il risultato non cambi, il decrescere dell’altro”.

A questo punto osserviamo la formula S = V x T: se diamo a S, lo spazio, un valore costante, si evince che se aumenta V (la velocità) allora T (il tempo) diminuisce; al contrario, se diminuisce V, allora T aumenta.

Quindi un primo concetto, anche se dei più ovvi: se tiro sull’avversario una botta dritta ad una certa velocità X , partendo dalla stessa misura, arrivo sul bersaglio prima se tiro la stessa stoccata con velocità X+Y e arrivo dopo se tiro con velocità X – Y, dove Y è appunto la differenza di velocità prodotta.

Questa formula conferma l’importanza della velocità quando si sviluppa un movimento in ottica competitiva, in specie quando si gareggia in ambito sportivo.

Per quel che ci riguarda il pensiero va a tutte quelle azioni che tendono a sorprendere l’avversario tramite l’anticipo della sua difesa: quindi a tutte le azioni d’attacco e di risposta semplice, dove il successo è connesso a rendere inutile, in quanto tardiva, la sua azione difensiva.

Ma attribuiamo ora il valore costante a V, cioè alla velocità ed esaminiamo la formula V = S / T : ne consegue che più aumenta S più aumenta T e, al contrario, più diminuisce S più diminuisce T.

Quindi un secondo concetto: se, alla stessa velocità, eseguo una cavazione stretta intorno al ferro dell’avversario, arrivo a toccare il bersaglio in un certo tempo X ; se invece eseguo una cavazione più larga, quindi dalla traiettoria più lunga, arrivo in un tempo maggiore.

Questa versione della formula evidenzia l’importanza della strada ottimale percorsa dal movimento ai fini del risparmio di tempo.

Ne consegue che nell’applicazione di tutte le azioni tecniche della scherma assurgono a grande importanza due elementi: la traiettoria fatta percorrere alla propria punta (o alla lama) e il punto di stazionamento dal quale si fa partire il ferro per arrivare sul bersaglio. Come evidenziato, strade più lunghe comporteranno, a parità di velocità, tempi di percorrenza più lunghi.

Quanto detto non riguarda solo le azioni, le risposte semplici o le uscite in tempo dove notoriamente i tempi di esecuzione sono basilari per sorprendere direttamente la difesa avversaria. Infatti anche nelle azioni composte, una volta superato tramite la o le finte la barriera del braccio armato dell’avversario, c’è  il residuo finale problema di arrivare a bersaglio: anche in questi casi percorrendo la strada più corta il tempo sarà ridotto al minimo.

Passiamo, infine, all’attribuzione del valore costante all’ultima variabile, cioè a T ed esaminiamo la formula T = S / V: da essa si evince che al crescere dello spazio la velocità aumenta e viceversa.

Quindi un terzo concetto: se un colpo d’arresto ai bersagli avanzati dell’avversario è tirato con la distensione totale del braccio armato si tocca prima, rispetto allo stesso tipo di colpo vibrato a braccio più flesso.

In questo caso si evidenzia l’importanza fondamentale dell’espressività dello schermitore, che, come abbiamo già visto in altre parti di questo lavoro, consiste nello sfruttare al massimo l’allungamento del braccio armato.

E’ vero che per distendere totalmente quest’ultimo occorre un tempo leggermente superiore a quello necessario per distenderlo parzialmente, per cui la costante T subisce una pur minima alterazione; ma il guadagno ottenuto su S, ovvero sulla proiezione maggiore verso il bersaglio avversario, aumenterà notevolmente V, la velocità totale del colpo.

Questi principi valgono per la teoria della scherma in generale, quindi per tutte e tre le sue specialità.

Ovviamente essi avranno un’importanza basilare soprattutto per la spada, dove la precedenza temporale del proprio colpo su quello avversario è la fondamentale e unica regola di combattimento.

Tuttavia anche nel fioretto e nella sciabola, se l’attacco correttamente portato tocca nel minor tempo possibile non ha nulla da perdere, anzi lascia minor ambito temporale per eventuali interpretazioni distorsive della realtà operate dal presidente di giuria.

Inoltre anche nelle armi convenzionali vale sempre la solita equazione: meno tempo dura la realizzazione dell’attacco, meno tempo ha l’avversario per costruirci sopra la sua reazione difensiva, corretta o scorretta che sia rispetto alle norme del Regolamento.

Cogliamo l’occasione al volo per estrinsecare un altro importante concetto, relativo al modo d’interpretare la convenzione.

Se ho intuito od ho già verificato che il mio avversario nel fioretto o nella sciabola è solito contrattaccare, ovvero tirare sul mio attacco, devo solo concentrarmi sul bersaglio e tirare in scioltezza il colpo, stando soprattutto attento a manifestare con la tipologia di spostamento in avanti e con l’attività del braccio armato quegli atteggiamenti previsti e premiati dalla Convenzione schermistica (battuta, legamento, linea minacciante un bersaglio valido). Il gioco a questo punto dovrebbe essere fatto: mi tocchi pure l’avversario, ma la ragione è mia.

Tipico esempio di questo atteggiamento può essere l’assalto di un fiorettista che si trova di fronte in pedana uno spadista che per difendersi appare più propenso ad arrestare allungando il braccio armato che a parare: l’esempio è naturalmente molto scolastico e si limita ovviamente ai primi gradini dell’evoluzione tecnica dello schermitore.

La cosa potrebbe anche delinearsi in modo diverso se lo spadista, di livello più evoluto, riuscisse ad impostare i colpi sulle diverse varianti delle uscite in tempo: contrazione, passato sotto, inquartata, cavazione in tempo e così via.

Ecco in un caso del genere, a parità di evoluzione tecnica e di valore agonistico, tra fiorettista e spadista sono sicuro che prevarrebbe chi tra i due e più… schermitore.

 

La velocità assoluta

Quindi tra S, inteso come spazio percorso o percorribile, e T, inteso come durata ovvero come quantità di tempo impiegata a compiere tale percorso, s’instaura un rapporto, V, la velocità, che ne esprime la grandezza.

Ogni movimento fisico, in primis quello sportivo, soggiace al concetto di velocità, che ne diventa quindi un gradiente di misurazione e di rendimento.

In parole povere la velocità assoluta è quell’elemento che riduce il più possibile il tempo nel percorrere uno spazio.

Osserviamo in un certo istante T gli schermitori in guardia sulla pedana uno di fronte all’altro: essi sono separati da una determinata porzione di spazio, la misura.

Laddove uno dei due contendenti opti per sviluppare un’azione d’attacco, si pone il problema di riuscire a percorrere in tempo utile detta misura per poter portare la stoccata sul bersaglio. Inoltre è spesso da mettere in preventivo anche un probabile arretramento dell’avversario, per cui lo spazio totale da percorrere subisce una dilatazione.

L’attacco, lo abbiamo ricordato anche poco sopra, può risolversi o in un’azione semplice che si propone di raggiungere subito, di slancio, il bersaglio oppure in un’azione composta che cerca d’ingannare la difesa col ferro eseguita dall’avversario.

Maggiormente nel primo caso, ma anche nel secondo, per quanto riguarda la parte finale della stoccata, la velocità costituisce l’elemento centrale della determinazione d’attacco.

Nell’introduzione a questo capitolo abbiamo esaminato gli intricati rapporti tra spazio e tempo nell’ottica di riuscire a potenziarla.

Esaminiamo ora quali altri interventi può mettere in campo lo schermitore per incrementare ulteriormente tale velocità.

Innanzitutto, essendo quest’ultima il prodotto di un lavoro muscolare, egli deve effettuare un’adeguata preparazione atletica, che sviluppi e garantisca sia la cosiddetta forza esplosiva che la resistenza alla fatica per poter produrre nel tempo la stessa qualità del gesto fisico.

In secondo luogo deve prestare la massima attenzione alla qualità di quei gesti tecnici che assicurano l’avvicinamento all’avversario: il passo avanti, il balzo avanti, l’affondo, la frecciata e le loro forme miste. In effetti un passo eseguito male, un affondo non sviluppato con la dovuta successione dei singoli movimenti, una frecciata con sbilanciamento errato del corpo, sono tutti errori che vanno ad inficiare la velocità complessiva dell’azione,

Uno schermitore che produce un allungo finale sull’avversario è paragonabile ad uno scattista che parte dai blocchi: più la postura delle singole parti del suo corpo sarà corretta, più l’esecuzione sarà prossima alla sua ideale acme, ovvero al suo limite personale.

Riassumendo quindi tutto quello che è stato detto nel corso di questo lavoro: equilibrio generale di partenza di tutto il corpo, ottenuto con la composizione di tutti gli equilibri delle sue singole parti – idonea scansione temporale di tutte le parti corporee nell’intervento del movimento in avanti – precedenza di punta – stretta in tempo.

Per ultimo lo schermitore deve intervenire sul possibile compattamento dei singoli tempi tecnici che costituiscono globalmente l’azione.

Mi spiego meglio con alcuni esempi.

Cominciamo dalla battuta e colpo, quindi da un’azione d’attacco semplice, dove i movimenti sono ridotti al minimo: percussione del ferro, linea, affondo.

Invece di segmentare l’esecuzione in queste tre parti, è possibile cominciare ad allungare il braccio armato ed effettuare la battuta ad arto quasi disteso (ottenendo tra l’altro un probabile miglior rapporto tra i gradi delle lame) ed eseguire poi l’allungo. Come abbiamo già detto altrove in tal modo si riesce a contrarre i tempi esecutivi da tre a due, con evidente guadagno in velocità esecutiva.

Così, tanto per continuare gli esempi, anche nella cavazione, dove simultaneamente si svincola il ferro dal legamento avversario e si allunga il braccio armato e poi si va in affondo. La punta, come dicono i trattati, descrive nello spazio non un semicerchio, bensì una spirale allungata verso il bersaglio avversario.

Passando alle azioni portate a misura camminando, ricordiamo: il tempo tecnico del passo avanti deve coincidere con il tempo tecnico del braccio armato, sovrapponendo avvicinamento e movimento del ferro. Anche in questo caso si risparmia un tempo esecutivo, accorciando conseguentemente la durata complessiva dell’azione.

A conclusione dell’argomento vorrei riassumere tutti quei diversi e compositi elementi, il cui coacervo assicura alla velocità, nella sua forma assoluta, la massima espressione: potenza muscolare, coordinazione motoria, qualità del gesto tecnico, economia dei tempi schermistici, idoneo punto di partenza spaziale dell’azione, ideale traiettoria  per giungere a bersaglio, totale espressione del braccio armato.

 

Velocità relativa

Dopo esserci intrattenuti sulla velocità assoluta è ora opportuno fare alcune brevi considerazioni sulla velocità relativa.

Il valore della prima è di carattere assoluto, ovvero rapportato solo a se stesso, il valore della seconda è invece sintonizzato ad un elemento esterno, con cui risulta in rapporto di subordinazione.

Nella teoria schermistica questo rapporto di subordinazione è costituito dai tempi di reazione dell’avversario; quindi velocità relativa a questi ultimi.

Stiamo chiamando in causa le azioni d’attacco composte, ovvero quelle azioni in cui, non riuscendo ad escludere l’intervento dell’avversario (o comunque non volendolo fare), il ferro nemico viene coinvolto in un fraseggio ingannatore.

Nelle azioni di finta la meccanica della stoccata contempla: la finta, l’elusione della relativa parata sollecitata, il colpo sul bersaglio.

Quest’ultimo, che rappresenta la fase finale di avvicinamento al bersaglio dopo aver oltrepassato la linea di difesa dell’avversario, sarà dominato dalla velocità assoluta, che dovrà garantire all’attaccante il minor tempo utile per portare a segno la stoccata.

La finta per suo conto si dovrà preoccupare esclusivamente di essere credibile, per cui la velocità con la quale sarà effettuata dovrà essere solo plausibile per l’avversario.

Ma l’elusione della parata dell’avversario sarà in tutto e per tutto dipendente dai tempi di reazione personale dell’avversario: i movimenti necessari per non essere intercettati dal ferro avversario si concretizzeranno in una sorta di cavazione e di circolata in tempo (i ferri dei due contendenti non dovranno mai entrare in contatto tra loro). Solo l’accordo temporale tra azione difensiva e azione elusiva potrà decretare l’esito felice del colpo: la velocità del movimento dell’attaccante dovrà sincronizzarsi perfettamente con il movimento del difensore, in altre parole sarà una velocità ad esso relativa.

Nelle azioni di doppia finta i tempi tecnici ovviamente si allungano: prima finta – prima elusione, seconda finta – seconda elusione, colpo sul bersaglio.

In questo caso l’attesa dei tempi di reazione dell’avversario sarà duplice: quella relativa alla sua prima parata e quella relativa alla sua seconda parata. Per ben due volte dovremo quindi regolare il nostro orologio tecnico con quello dell’avversario.

In genere la velocità da applicare nei due successivi movimenti di svincolo tenderà ad essere uniforme, basandosi sui tempi di reazione di uno stesso soggetto; tuttavia una leggera variazione va messa in preventivo nel caso di alternanza tra due possibili diversi tipi di parata, semplice e di contro, in quanto, avendo diversi percorsi spaziali, hanno anche diversi tempi di esecuzione.

Passando oltre, anche nell’espletamento della finta in tempo lo schermitore è chiamato a sviluppare una velocità relativa: la sua simulazione di colpo d’arresto, per eludere l’azione di controtempo dell’avversario, dovrà tener conto e sintonizzarsi sulla velocità di quest’ultima. L’esecuzione dell’una dovrà perfettamente accordarsi con l’altra.

A prima vista si potrebbe ritenere che anche nell’esecuzione di una parata lo schermitore applichi una velocità commisurata a quella dello sviluppo dell’attacco: un attacco veloce esigerebbe una parata veloce, mentre un attacco più lento una parata più lenta. Quindi si tratterebbe di adattare la velocità della propria difesa a quella dell’attacco dell’avversario.

Ma, pensandoci bene, non è il gesto difensivo del ferro che deve spostarsi ad una diversa velocità, bensì deve variare nel tempo l’istante in cui far partire la propria parata.

Nella fattispecie, anticipando il movimento del braccio armato verso la sopraggiungente stoccata, si favorirebbe un’eventuale azione di finta dell’avversario, che, come abbiamo già visto, ha proprio la funzione di distogliere il ferro da una certa linea su quale agisce. Quindi la parata deve essere effettuata alla massima velocità possibile, ritardandone il più possibile l’esecuzione .

A chiusura del capitolo è doveroso il richiamo a quanto poco sopra riferito circa il cosiddetto tempo falso: anche in questo caso il tempo di realizzazione del colpo viene in un certo senso svincolato dalla sua ottimale esecuzione cronometrica per essere invece rapportato ai ritmi di reazione dell’avversario.

Dunque anche in questo caso il tempo diviene relativo (all’avversario), cioè modulato sulla sua presunta reattività al fine d’ingannarlo sulle nostre reali intenzioni esecutive. E’ come se durante un inseguimento colui che è davanti si bloccasse all’improvviso, sortendo l’effetto che l’inseguitore, continuando la sua corsa, passasse davanti senza avere l’occasione d’intercettarlo.

In ultima analisi, mentre la velocità assoluta è per lo schermitore un prodotto esclusivamente soggettivo, quindi legato solo a personali capacità fisiche e tecniche, la velocità relativa è il risultato della sua capacità di rapportarsi con l’avversario nel campo specifico della rapidità negli spostamenti spaziali, in specie di quelli del braccio armato.

La valenza massima della velocità relativa sarà rappresentata per ciascuno dei due schermitori dal fatto di riuscire a sincronizzare in modo ottimale il proprio orologio esecutivo rispetto a quello dell’antagonista: tempi di elusione del ferro avversario perfettamente sincronizzati su quelli del suo intervento provocato. Una precisione di appuntamento degna dei più riusciti  rendez – vous delle navicelle spaziali.

Anche questo deve meravigliare non poco: nello scontro globale e totale che si consuma sulla pedana (come del resto in tante altre discipline sportive), la velocità, che appare uno degli strumenti più importanti e determinanti per l’esito finale della contesa, può essere resa inefficace, aggirata e resa inoffensiva da un’accorta conduzione tecnico tattica delle azioni.

Un’immagine che da sola basterebbe a sollecitare la fantasia di quel “fanciullino”, che come dice il Pascoli, giace in ogni persona adulta.

 

9 – La misura

 La distanza che separa i due schermitori sulla pedana, denominata tecnicamente misura, è la matrice di ogni azione: in attacco, sorpassata la barriera del braccio armato dell’avversario, è l’ulteriore strada da percorrere per poter giungere a bersaglio; in difesa, al contrario, è lo spazio minimo utile per organizzare la difesa.

La misura spazialmente si afferma come distanza di sicurezza, dalla quale si studia l’avversario, si premedita, si prepara e si attua la tipologia d’attacco da sferrare o di difesa da attuare.

Esaminiamo qui di seguito tutti i fattori che possono intervenire direttamente o indirettamente sulla sua configurazione.

La misura è innanzitutto diretta funzione del rapporto tra le caratteristiche fisiche e atletiche dei due contendenti che si affrontano sulla pedana: quindi l’altezza, la lunghezza complessiva del braccio armato, il tasso di forza esplosiva delle gambe che assicura la velocità in avanzamento o in retrocessione.

In secondo luogo sull’impostazione della misura influisce anche la singola capacità percettiva di ciascuno dei due schermitori: riflessi più o meno solleciti permettono indubbiamente una minore o maggiore vicinanza con l’avversario. A questo proposito vista, tatto (la cosiddetta sensibilità del ferro) e udito devono svolgere il ruolo di attente sentinelle per mettere in stato di allarme nel più breve tempo possibile chi subisce un attacco.

Un terzo fattore è quello della singola capacità reattiva, ovvero quello relativo ai tempi di realizzazione concreta delle misure difensive, più o meno prestabilite o previste prima della manifestazione dell’attacco.

La misura, o meglio la sua ampiezza in termini di centimetri, deve indubbiamente garantire queste attività; d’altra parte più spazio, vuol dire più tempo da impiegare per chi avanza e quindi più tempo a disposizione per chi invece si deve difendere.

Alla misura concorrono altresì le singole caratteristiche tecniche o capacità specifiche dei due contendenti: il tipo di manico usato (quello francese consente di allungare il braccio armato), l’abilità nella scelta del tempo, la tipologia e la qualità delle azioni proposte sia in attacco che in difesa.

Inoltre sull’impostazione della misura intervengono anche fattori puramente oggettivi collegati alla specialità nella quale si svolge l’assalto: mi riferisco alla Convenzione che fissa restrizioni di bersaglio e detta  particolari regole di combattimento.

Ne consegue innanzitutto una doverosa differenziazione  dei punti di riferimento spaziale da cui poter parametrare la misura: nel fioretto, essendo il bersaglio utile ristretto al solo tronco del corpo, la cosiddetta giusta misura sarà quella fissata appunto su tale bersaglio, mentre nella sciabola e nella spada si partirà dal bersaglio avversario più avanzato, cioè dal polso della mano armata.

Questo naturalmente in linea di principio, ma nulla e nessuno potrà vincolare in tal senso i due contendenti, che, a seconda delle loro tattiche ed intenzioni, potranno apportare tutte le variazioni possibili.

Un altro motivo che influisce oggettivamente sulla misura è anche il fatto della convenzionalità o meno della specialità; com’è noto nel fioretto e nella sciabola l’assegnazione delle stoccate è sottoposta, almeno in prima istanza, alla ricostruzione di un’ ideale dinamica prestabilita, mentre nella spada domina solo Cronos, il dio – tempo che condiziona il successo del colpo esclusivamente alla precedenza cronometrica di una stoccata rispetto all’altra.

Nel primo caso la priorità data all’attacco e le parziali concessioni temporali date per convenzione alla relativa risposta ed eventuale contro – risposta (e così via), vanno sostanzialmente ad alterare la natura dello spazio schermistico, nel senso che tendono ad annullare il suo valore oggettivo, inteso come assoluta necessità di ricerca della traiettoria più breve.

La presenza della Convenzione consente un’interpretazione più dozzinale della misura, misurabile anche con una certa approssimazione, tipo la pesatura della merce con la stadera a manico diffusa nei mercati rionali di un tempo: la regola interviene a distorgere in un certo senso la realtà spazio – temporale.

Per contro l’assenza della Convenzione obbliga lo spadista a dare una diversa e più concreta interpretazione ambientale dello scontro, portandolo a centellinare la misura con il bilancino del farmacista.

Nell’impostazione della misura possono infine concorrere fattori contingenti, cioè connessi con le diverse situazioni che si possono avvicendare nel corso di un combattimento in relazione al punteggio e/o al tempo residuo.

Tutti questi molteplici fattori che di seguito abbiamo esaminato possono indurre i contendenti a mutare anche più volte nel corso dello stesso assalto il loro atteggiamento in relazione all’applicazione della misura; ed è proprio l’uso diversificato di quest’ultima che costituisce per uno schermitore un primo gradiente di maturazione tecnica.

Richiamiamo ora l’attenzione sugli istanti in cui interessi contrapposti vanno ad agire sulla misura, tendendo a contrarla o, al contrario, ad ampliarla.

Questo effetto a fisarmonica si produce quando l’attaccante, dovendo raggiungere il bersaglio avversario, cerca di annullare la distanza esistente tra questo e la propria punta o la propria lama, mentre colui che è attaccato in genere tende istintivamente ad indietreggiare, sia che abbia lo scopo di parare di misura, sia che abbia lo scopo di facilitare la parata, andando parallelamente a smorzare spazialmente l’impeto dell’avanzamento nemico.

Comunque un’azione d’attacco, semplice o composta che sia, dopo essere riuscita a violare la zona presidiata dal braccio armato avversario, deve sempre e comunque risolvere il problema spaziale di riuscire a percorrere in tempo utile la rimanente distanza che la separa dal bersaglio avversario prima di un’altra ulteriore reazione difensiva nemica: è come essere riusciti ad aprire una porta e poi doverne varcare velocemente la soglia prima che questa si richiuda; un caso simile a quello delle porte a molla dei saloon dei film western, che rischiano sempre di sbattere sul protagonista che ancora non è completamente passato.

Per questo motivo la porzione di spazio interposta tra gli schermitori (la misura), può essere teoricamente suddivisa in due settori: uno esterno alla guardia dell’avversario e uno oltre a questa.

Nell’ottica difensiva il primo settore ha la funzione di consentire all’attaccato di rendersi conto dell’inizio della minaccia e di congetturare la relativa contraria, mentre il secondo rappresenta la zona dove tale contraria sarà realizzata per svolgere la sua funzione difensiva.

Nell’ottica offensiva, simmetricamente, il primo settore costituisce un ostacolo da oltrepassare, mentre il secondo, come abbiamo appena detto, una pura e semplice distanza da percorrere il più velocemente possibile.

Quindi la spazialità è vissuta dai due contendenti in modo inverso: l’attaccato, almeno sino ad un ultimo limite vicino al proprio corpo, ha interesse a ritardare l’attivazione della difesa col ferro, mentre, al contrario, l’attaccante ha necessità di anticipare questa fase per oltrepassarla come ha ideato e proiettarsi quindi subito dopo sul bersaglio.

Per spiegarmi meglio porterò l’esempio della finta: quando si è attaccati e si vede una stoccata indirizzata ad un nostro bersaglio non siamo in grado di valutare a priori se questa sia una stoccata diretta o sia soltanto l’inizio di una finta per indurci a spostare il ferro in quella direzione. Ebbene più riusciremo a ritardare l’esecuzione della parata necessaria a tutelare il nostro bersaglio minacciato, tanto più avremo la probabilità di smascherare tale finta e di non abboccare alla tattica nemica.

Della misura può essere fatta un’ultima catalogazione: quella che dipende da una certa costanza di direzione dello spostamento degli schermitori sulla pedana.

Nel corso di un assalto è possibile in genere distinguere due tipi di dinamica spaziale correlata alla misura: una prima di stallo, una seconda da uno schermitore all’altro.

Quella di stallo coincide con una pausa quasi concordata tra i due contendenti, una fase in cui, magari, ci si concede vicendevolmente di riordinare le idee e di riprendere fiato nervoso. Oppure, diversamente, si genera quando uno schermitore, in vantaggio di punteggio, fa chiaramente intendere all’altro che non intende prendere al momento alcuna iniziativa, badando a far trascorrere il tempo. Questa fase si concretizza spazialmente con minimi e lenti spostamenti in avanti e indietro, senza che la direzione dell’assalto prenda una direzione costante.

La seconda tipologia di dinamica è chiaramente visibile in quanto con decisione ed autorità uno dei due contendenti inizia e continua a spingere costantemente l’avversario all’indietro per costringerlo alle corde: lo scopo è quello di sottrarre progressivamente all’avversario la possibilità di retrocedere e di poter organizzare quindi la difesa in modo differenziato.

Concludo l’argomento misura richiamando l’attenzione sul fatto che essa ha, infine, un’ importantissima valenza, sicuramente meno visibile e misurabile delle precedenti, ma nondimeno fondamentale : quella di spazio operativo delle azioni da svolgere.

Non a caso ho lasciato per ultima la trattazione di questo aspetto: infatti tutti capiscono benissimo che quando si è separati da una misura oltremodo esagerata non ci si può toccare; molti meno invece percepiscono la stessa impossibilità (o almeno la difficoltà) quando si è troppo vicini.

Non si tratta solo di essere, non so, consapevoli della gittata del proprio affondo per poter scegliere la misura giusta per scatenare il proprio attacco, ma anche di capire ad esempio che per effettuare una risposta dopo una parata devo avere spazio a sufficienza per poterla lanciare.

Su questo tema chi ha redatto il Regolamento conosce bene (ovviamente!) la scherma. Infatti La convenzione nel fioretto e nella sciabola vieta esplicitamente la chiusura di misura che ha lo scopo di evitare la risposta di colui che ha subito l’attacco. Non ci si può difendere soffocando spazialmente un colpo acquisito per diritto.

Diverso nella spada, arma da terreno, dove la chiusura è consentita come azione legittima per impedire il colpo all’avversario.

Il tutto, tradotto in un principio, dice: ogni azione deve avere un ambito vitale entro cui potersi sviluppare ed esprimere. Infatti oltre una certa soglia di carenza di spazio i movimenti diventano difficoltosi o, al limite, anche impossibili.

Un esempio per spiegarmi meglio: nella spada posso tentare un arresto al braccio dell’avversario sino a quando la mia punta non è andata diciamo oltre il suo gomito; oltrepassando questo punto mi conviene andare direttamente sul bersaglio grosso e non certo ripiegare il mio braccio per cercare nuovamente un bersaglio avanzato. E’ successo che ho perso la misura opportuna per colpirlo al braccio!

A questo proposito c’è poi il caso estremo del corpo a corpo. A questo proposito l’elemento intorno a cui ruotano tutte queste considerazioni è il braccio armato.  Esso è costituito da due segmenti, il braccio dello schermitore e l’arma.

Tutte le volte che i contendenti si trovano (senza essersi toccati prima) oltre il segmento individuato dal loro braccio in linea, per poter portare il colpo nasce per entrambi l’esigenza di accorciare il braccio armato.

La cosa è ottenibile approfittando delle articolazioni del polso, del gomito e della spalla: la linea del braccio armato viene così spezzata in più parti e può nuovamente assicurare la sua operatività, almeno sino ad un certo limite.

Un’ulteriore guadagno in termini spaziali si ottiene anche lavorando sulle altre parti del corpo: si può inclinare il busto oppure, piegare le gambe.

Insomma è indispensabile ricorrere a tutto ciò che può portare l’iniziale lunghezza del braccio armato ad essere frammentata in una spezzata mista.

Segnalo in calce la nomenclatura con cui i trattati denominano i vari tipi di misura: giusta (si tocca con l’affondo), camminando (si deve aggiungere un passo all’affondo), stretta (si tocca con la sola distensione del braccio armato); naturalmente per la sciabola e la spada, come abbiamo precedentemente detto, le distanze si parametrano sia sul tronco del corpo che sui bersagli avanzati.

 

 

10 – La contraria

Prima di esaminare i singoli colpi previsti dalla tecnica schermistica è importante soffermarsi, pur brevemente, sull’aspetto complessivo dell’interconnessione che si viene a generare quando i contendenti, armi in pugno, si affrontano.

Tra le potenziali attività dei due ipotetici schermitori, ancor prima che scendano fisicamente in pedana e quindi anche solo in una dimensione puramente speculativa, sussiste uno stretto rapporto d’interconnessione: la contraria.

Come del resto suggerisce lo stesso termine, essa consiste in una risposta di segno opposto ad un atteggiamento dell’avversario, una risposta tramite la quale sfruttare a proprio vantaggio la situazione creata da quest’ultimo.

A questo proposito uno dei più importanti postulati della teoria schermistica recita: ad ogni azione si può sempre opporre una valida contraria.

In altre parole non esiste un fantomatico colpo perfetto al quale sia possibile, almeno in line teorica, contrapporsi. Sulla pedana la stoccata vibrata da uno dei contendenti diventa vincente quando l’altro ne risulta sorpreso, quando esegue male o fuori tempo la propria contraria o quando, infine, per propri limiti di cultura schermistica non me conosce la dinamica.

Quando uno schermitore combatte sulla pedana può fare in genere due cose: stazionare in guardia in attesa dell’evoluzione della situazione oppure attuare una propria determinazione schermistica.

Nel primo caso la sua postura, specificatamente quella del braccio armato, può assumere varie espressioni, come un invito, un legamento, arma in linea o arma in linea di guardia.

Tali sue posizioni suggeriscono o escludono spazialmente certi tipi d’intervento da parte dell’avversario: su un invito è più difficile intervenire col proprio ferro e quantomeno è superfluo – differentemente, se l’arma è posta in linea, essa può essere oggetto di un legittimo legamento o di una battuta – da un legamento ci si può liberare solo con uno svincolo (a parte l’arretrare passivamente).

Ebbene in questo caso il concetto di contraria si basa sul rapporto che s’instaura tra certe condizioni posturali assunte da uno dei contendenti e le potenzialità offerte all’altro di poter intervenire in modo utile su di esse.

Nel secondo caso, ovvero quello in cui uno dei due schermitori attacca, l’accezione di contraria assume un significato più ampio. Qui si tratta di ottenere due risultati: il primo, assolutamente necessario, di annullare la determinazione dell’avversario – il secondo, quanto meno auspicabile, di ribaltare a proprio vantaggio la situazione subita.

Ad esempio l’esecuzione di una difesa di misura, ottenuta solo arretrando sull’attacco dell’avversario, non dirime la questione della stoccata, ma solamente la rimanda nel tempo; differentemente una bella parata e risposta andata a segno costruisce il suo successo proprio sull’iniziativa nemica, appunto un attacco neutralizzato. In entrambi i casi è stata comunque applicata una contraria.

Da ciò discende un altro importante principio: un’azione può essere contrastata anche da più di una contraria. Ovvero in una determinata circostanza, posturale o dinamica che sia, lo schermitore può scegliere tra diverse, anche antitetiche, soluzioni di contraria.

Così su un’arma in linea dell’avversario si può battere o legare, così su un attacco si può uscire in tempo o parare e rispondere… Tutto ciò appartiene al libero arbitrio dello schermitore, alle sue possibilità tecniche e alle necessità tattiche (ad esempio alternare il proprio gioco per confondere l’avversario).

Evidenzio un ultimo importante principio, che del resto discende in via logica dai due precedenti: ad una contraria si può opporre un’idonea contraria, la quale, a sua volta, può essere annullata da un’altra contraria e così via (almeno in teoria) sino all’infinito.

 

 

11 – La guardia

Per poter condurre proficuamente uno scontro è quantomeno necessario in prima battuta essere nelle migliori condizioni di poter osservare, ragionare e decidere il da farsi, un po’ come facevano i generali di altri tempi che seguivano le sorti della battaglia dall’alto di una collina.

Lo schermitore deve a questo proposito costruire un suo “castello” (la guardia), cioè un“luogo che innanzitutto gli garantisca una certa sicurezza: per questo deve innalzare una barriera (il suo braccio armato) ed avere un certo spazio per poter reagire all’attacco avversario (la misura).

Trattandosi non di una posizione di scontro, bensì di una posizione di preparazione allo scontro, l’assetto di tale guardia deve rispondere a certe primarie esigenze: deve innanzitutto essere bilaterale, nel senso che deve permettere allo schermitore di poter assumere in un brevissimo lasso di tempo i connotati di una veloce difesa o per contro quelli di un fulmineo attacco, per non dire di un contrattacco o di un contropiede; la guardia deve essere poi improntata dal punto di vista muscolare al concetto del risparmio energetico al fine di poter gestire al meglio le proprie risorse atletiche e deve peraltro incamerare energie da sprigionare al momento opportuno; deve inoltre garantire allo schermitore, in quanto ben impostata, una percezione di generale sicurezza.

Per ottenere tutto ciò, dal punto di vista strettamente spaziale, basta attenersi a pochi e fondamentali criteri: l’equilibrio generale di tutto il corpo, ottenuto tramite una buona ripartizione del suo baricentro su entrambi gli arti inferiori – l’idoneo posizionamento dei punti di appoggio (piedi e gambe) – la giusta postura del braccio armato nell’istante del suo intervento – posizione eretta del busto.

Il tutto deve essere amalgamato armoniosamente e percepito, col tempo e la pratica, come posizione comoda, spontanea e naturale.

Da un punto di vista fisico, la guardia deve svolgere un ruolo di immagazzinamento di energia potenziale: i quattro arti, ognuno nella sua specifica funzione, sono chiamati a flettere la loro muscolatura per poterla poi far esplodere elasticamente al momento più opportuno.

E’ bene sottolineare che per impostare correttamente una guardia non esistono precise misure e rapporti standard da rispettare: distanza tra i piedi, gradi del compasso delle gambe flesse, distanza del gomito dal fianco, altezza del braccio armato rispetto alla spalla e quant’altro sono piuttosto affidate all’assestamento spaziale che ogni schermitore elabora tenendo conto delle sue caratteristiche fisiche, sensazioni, esigenze e scelte personali. Tutto, ovviamente, contenuto in un ragionevole spettro di valori.

A questo proposito vorrei fare alcune considerazioni: molti schermitori, abbandonando la cosiddetta guardia canonica, assumono posizioni di guardia particolari. Così alcuni aumentano esageratamente la distanza tra i piedi, altri effettuano continui balzelli anche senza produrre un effettivo spostamento in avanti o all’indietro, altri ancora tengono il braccio armato nelle più svariate posizioni.

Qui si dovrebbe aprire una profonda riflessione, che, temo, non avrebbe alcun punto di arrivo: cioè se la scherma, essendo una scienza, deve richiedere e pretendere un’osservanza ad litteram dei suoi dettami; oppure, se concepita come un’arte, debba comunque cedere qualcosa all’interpretazione e all’adattamento personale dello schermitore.

Al di là anche della bella ulteriore questione se l’interpretazione personale sia artatamente voluta o non sia altro che l’incapacità di poter diventare (anche nella piena maturità) un perfetto schermitore da manuale, credo che l’importante sia, e questo rientra negli intendimenti di questo mio lavoro, capire sempre quello che a cui andiamo incontro in queste deviazioni dalla spazialità posturale canonica.

Cioè, se per esemplificazione torniamo ai sopraindicati eccessi di posizione di guardia: quando tengo i miei piedi marcatamente troppo lontani tra loro devo capire che rinuncio a quella potenzialità di allungo che invece avrei in una postura più corretta e, inoltre, con un compasso delle gambe più aperto del dovuto perdo anche molta di quella forza esplosiva che viene prodotta dal raddrizzamento della gamba dietro. Ne consegue che i miei attacchi tenderanno ad essere sicuramente meno incisivi, di quelli sferrati da una guardia più canonica.

Per quel che concerne i balzelli: appare subito evidente quanta energia fisica sottraggano alla generale economia dell’assalto; e questo va messo soprattutto in relazione all’attuale lunga durata degli incontri di eliminazione diretta, che per di più si avvicendano anche ininterrottamente uno dopo l’altro con pochissimo tempo di recupero.

Inoltre è indubbio che il movimento ritmico tende ad ipnotizzare e a nascondere la propria determinazione di attacco, ma è altrettanto vero che, simmetricamente, può anche dare il tempo all’avversario, ovvero suggerirgli il momento più propizio per una sua determinazione schermistica.

Infine, circa la postura del braccio armato: lo schermitore, come sappiamo, può optare per due tipi di atteggiamento, cioè può concedere il ferro all’avversario oppure sottrarlo al suo raggio d’azione, distogliendolo dalla linea di guardia.

In questo secondo caso, tenendo ovviamente anche conto della specialità in cui siamo impegnati, è conveniente allontanare da noi il meno possibile la nostra lama; possiamo nascondere il nostro ferro semplicemente spezzando il braccio armato all’altezza del polso e indirizzando la punta in basso, in alto o all’infuori.

Il motivo è essenzialmente di carattere spaziale: tutta la strada, che facciamo percorrere alla nostra lama per sottrarla all’azione di quella avversaria, dovrà pari pari essere ripercorsa in senso opposto per attuare un nostro attacco o una nostra azione difensiva (ad eccezione ovviamente della parata di contro). Ne consegue ovviamente che il maggior spazio da percorrere allungherà il tempo di esecuzione delle nostre azioni.

Inoltre, più la nostra guardia avrà caratteristiche particolari, tanto più potrà suggerire ad un avversario competente una possibile chiave di lettura dell’incontro.

Al contrario, una guardia tendenzialmente più canonica offrirà senz’altro meno spiragli tecnici da poter sfruttare a nostro danno, senza incorrere nell’assurdo errore di offrire direttamente al nostro avversario le redini di un ipotetico cavallo di Troia.

.           A conclusione dell’argomento, ribadisco ancora una volta l’importanza della consapevolezza della spazialità della propria guardia: ciò deve consentire allo schermitore di mettere in relazione il tipo di postura prescelto con la tipologia di azioni offensive o difensive  più congeniali in quel frangente.

In ultima analisi uno schermitore completo può e deve, laddove se ne presenti l’occasione,  cambiare anche più volte nel corso dell’assalto il suo assetto di guardia per favorire proprie specifiche determinazioni di attacco o, al contrario, per cercare di contrastare quelle dell’avversario. Tra l’altro, alternando il proprio modo di stare in guardia, si costringe quest’ultimo a rimodellare le proprie scelte tecniche, non dandogli uno schema di riferimento fisso.

 

 

12 – La pedana come serie di luoghi tattici

In ogni spinta dinamica è fondamentale il tipo di resistenza che può essere opposta in senso contrario, ciò oltre che fisicamente anche concettualmente: anche la sola possibilità teorica di poter ulteriormente retrocedere diversifica la risposta difensiva di chi subisce l’attacco, potenziandone il valore alternativo.

In effetti chi, per sue scelte tecnico – tattiche, spinge e attacca l’avversario in modo continuativo, può aspettarsi tre tipi di reazione spaziale: l’avversario sta fermo, indietreggia o addirittura avanza.

La cosa, ovviamente, va messa in relazione con i limiti posteriori esistenti sulla pedana: ci sarà un punto oltre il quale lo schermitore, pur incalzato, non potrà ulteriormente retrocedere senza incorrere nella penalità della stoccata.

In base a queste considerazioni possiamo suddividere il campo di gara in tre luoghi dai connotati spaziali ben precisi: uno neutro, uno d’imminente pericolo ed un di limite estremo.

Il primo, il più esteso, è caratterizzato dal fatto che i due schermitori hanno entrambi alle proprie spalle un discreto patrimonio di spazio da poter spendere in tutta tranquillità: nessuno dei due contendenti si sente pressato oltre una certa soglia e può ancora disporre nel modo più ampio della propria mobilità in avanti e soprattutto all’indietro.

Il secondo, pur anch’esso non contraddistinto da limiti reali e visibili sulla pedana, è legato al fatto che la riduzione di spazio alle proprie spalle comincia ad essere percepita dallo schermitore, anche se non è ancora gli è preclusa una certa possibilità di arretrare. La spia del sensore collegato al limite posteriore comincia ad accendersi nella sua testa e lo preavverte dell’imminente ed incombente pericolo.

Il terzo luogo della pedana coincide grosso modo con l’ultimo metro, metro e mezzo a disposizione: lo spazio si fa veramente esiguo ed in genere è chiara a questo punto l’intenzione dell’avversario di approfittare della situazione spaziale che si è generata.

Tanto per similitudine con una disciplina che è cugina prossima della scherma: ci si trova nelle stesse condizioni di un pugilatore costretto alle corde (qui non ci sono penalità, ma si tratta ugualmente di vedere interdetta ogni via di fuga).

Ritorniamo alla prima zona, quella neutra, e facciamo alcune considerazioni non senza avere però fatto una doverosa premessa: come ben sappiamo ad ogni azione si può opporre una valida contraria, per cui le mosse che verranno indicate qui di seguito nelle diverse zone saranno sempre soggette ad essere teoricamente neutralizzate; anzi, proponendole, in modo indiretto andiamo proprio a suggerire la relativa contraria.

In effetti la tecnica schermistica con le sue proposte concettuali, risposte, controrisposte e così via è configurabile come una serie pressoché infinita di scatole cinesi o matrioske (a secondo dei gusti): dentro a quella successiva si trova sempre il potenziale annullamento di quella immediatamente precedente.

Dunque in questa prima parte della pedana le azioni si susseguono senza che lo spazio o una sua particolare configurazione vada ad influenzarle in modo diretto o necessario: chi spinge o attacca, come appena poco sopra ricordato, potrà avere da parte dell’avversario tutte e tre le risposte dinamiche possibili, cioè di quiete, di avanzamento o d’indietreggiamento.

Quindi, alla luce delle conoscenze pregresse sull’avversario o in base allo scandaglio eseguito nell’occasione, lo schermitore deciso a sferrare un attacco elabora e cerca di applicare al meglio la sua determinazione tecnica in funzione anche di queste tre probabilità di risposta spaziale.

Le cose invece cambiano alquanto se, per effetto del suo spostamento in avanti, l’avversario ha sempre meno terreno a disposizione: mano a mano che per lui si avvicina il limite posteriore, una delle sue tre possibilità dinamiche, quella di fuga all’indietro, viene progressivamente meno sino ad azzerarsi completamente.

La situazione, ovviamente, è in mano a chi spinge, in quanto ogni suo passo propone o impone una riduzione della misura a colui che è pressato: in modo quasi impercettibile viene progressivamente a determinarsi una misura sempre più corta rispetto a quella tacitamente concordata in precedenza.

A questo proposito è subito importante rilevare che in tali condizioni spaziali si alterano significativamente quelle logiche tecnico – tattiche che invece risultano valide nella parte neutra della pedana.

Chi spinge, mettendo sotto pressione l’avversario, rinuncia di fatto, proprio per questo suo atteggiamento, all’elemento sorpresa, che costituisce uno degli elementi portanti di ogni buon attacco.

Per contro chi si vede pressato non può più a sua volta giocare la carta della sorpresa di un’uscita in tempo, che diviene sempre più necessaria.

E’ successo che l’atteggiamento ben configurato di uno dei due contendenti e le conseguenti condizioni spaziali raggiunte hanno reso oltremodo prevedibili questi due tipi di azione.

In altre parole la situazione di pedana è ben determinata: chi spinge non ha nessuna necessità di sviluppare un attacco, al contrario di chi si difende che prima o poi sarà costretto a farlo; chi spinge attende l’attacco dell’avversario e deve solo stare attento a conservare spazio fisico per la sua difesa (percepire l’attacco e neutralizzarlo); inoltre chi indietreggia ha sempre meno tempo oltre che spazio per attuare il suo attacco e sa che l’avversario lo sta aspettando al varco.

In siffatte condizioni sembra che sia privilegiato colui che è in possesso di una maggiore velocità e di una maggiore reattività: in effetti, se restiamo nell’ambito delle azioni di prima intenzione, la battaglia sembra incentrarsi nel rapporto tra velocità di attacco e reattività di difesa.

Tuttavia la nostra disciplina, come ben sappiamo e come apprezziamo, offre la possibilità, tramite la tecnica, di aggirare certi ostacoli rappresentati dalle qualità psico – fisiche in senso lato dell’avversario: ed ecco le azioni composte, le uscite in tempo, il controtempo e la finta in tempo.

Ma ritorniamo alla pedana: chi spinge, più che aspettare parossisticamente quell’attacco che prima o poi l’avversario sarà costretto a sferrare (e che può anche sviluppare con una o più finte), ha l’interesse di provocarlo in un preciso e determinato istante in modo tale da opporgli una contraria già precostituita.

Accennando un attacco si provocherà una probabile reazione dell’avversario in avanti tanto più necessaria quanto minore sarà ancora lo spazio ancora a sua disposizione all’indietro. Sortito questo effetto si dovrà procedere a neutralizzarlo con prese di ferro, battute o addirittura, a nostra volta, con uscite in tempo: questa, com’è noto, è la dinamica concettuale del controtempo.

Invero i trattati di scherma suggeriscono già il controtempo come azione valida da opporre contro l’avversario che dimostra attitudine ad uscire in tempo.

La situazione tattica di pedana che stiamo esaminando consiste quindi nel riprodurre artificiosamente quelle condizioni spaziali idonee al controtempo: non più “attitudine” dell’avversario quindi, ma pura induzione e costrizione.

L’esperienza e la statistica insegnano che spingere l’avversario verso la fine pedana serve raramente ad acquisire a proprio vantaggio la stoccata in seguito alla relativa penalità: capita pochissime volte e soprattutto deriva dalla scarsa esperienza dell’antagonista.

In effetti la vera disputa non va incentra tanto sullo spazio residuo dietro l’avversario, quanto piuttosto sul tipo di opportunità tecniche che, proprio in seguito a questo pericolo, possono essere sfruttate davanti ad esso.

Per il già ricordato principio di reciprocità spaziale, poniamoci ora nell’ottica di colui, che, avendo subito la pressione dell’avversario, si ritrova ai margini del terreno di gara consentito.

In questo caso l’inizio di ogni spostamento progressivo in avanti è effettuato dall’avversario e ogni volta che ciò avviene chi subisce l’avanzamento deve valutare quale sia, prima o poi, il momento migliore per uscire allo scoperto. In ogni caso più si ritarda il colpo, più l’istante della sua esecuzione diventa palese.

Essenziale, in questo caso più che mai, saranno i dati forniti dallo scandaglio o dalle conoscenze pregresse dell’avversario. Infatti solo in funzione di esse si potrà optare tra le due uniche possibili soluzioni.

Attaccarlo sulla sua avanzata con un’azione composta per eludere la o le sue parate oppure attendere il suo controtempo per sorprenderlo con una finta in tempo.

E’ da sconsigliare invece, in via di principio, la semplice uscita in tempo: l’avversario esercita la sua crescente pressione appunto con la chiara intenzione di chiamarci fuori dalla nostra guardia e questa è proprio la situazione spaziale sulla quale quasi con certezza vuole cercare di costruire la sua trappola (il controtempo).

Tuttavia sull’uscita in tempo talvolta si può giocare la carta della velocità, concetto che ovviamente implica sia il rapporto di fisicità tra i due schermitori (altezza e lunghezza del braccio armato), sia il fatto che si competa in una specifica specialità come la spada: ciò è possibile quando l’avversario abbia commesso nel suo avvicinamento un grave errore di valutazione spaziale circa il suo margine di sicurezza.

In quest’evenienza l’istante migliore per l’uscita in tempo è senz’altro quello in cui l’avversario, alzando il piede avanti, sta compiendo la prima parte dello spostamento: una parte pur minima delle sue risorse sarà impegnata nel movimento sottraendo quindi potenzialità al sistema – schermitore. Invece, una volta completata compiutamente la fase dell’avanzamento, il suo assetto sarà riequilibrato e la globale capacità reattiva tornerà al massimo della sua potenzialità.

Una situazione del genere può configurare ad esempio la ricerca del colpo doppio nella specialità della spada: mentre colui che è pressato mira tatticamente alla spartizione del colpo, colui che pressa, mosso da esigenze completamente opposte, è costretto ad applicare il controtempo per avere più concreti margini di sicurezza sulla stoccata.

Da tutte queste argomentazioni si evince ancora una volta come sia importante gestire al meglio il patrimonio di spazio di cui ogni schermitore dispone all’inizio di ogni stoccata: non a caso dopo l’aggiudicazione di ognuna di esse, si ritorna al centro pedana, al fine di spartirsi equamente questo tipo di risorsa.

Tra tutte le linee visibili sul campo di gara (quella di mezzeria, quelle di messa in guardia, quelle di limite laterale e quelle di limite posteriore), non c’ è traccia di quella tecnicamente più importante: cioè di quella, oltrepassata la quale, lo spazio, inteso come parte residua, entra necessariamente e progressivamente a far parte integrante del tipo di congetture tecniche che lo schermitore è doverosamente portato ad elaborare.

 

13 – Alternanza prospettica

Uno dei postulati della Scherma recita (ormai lo sappiamo a memoria): “ogni azione ha la sua contraria”, ovvero ogni determinazione schermistica ne implica sempre almeno una di possibile segno contrario, tendente ad annullare gli effetti di quella precedente e a ribaltare la situazione del colpo. Questo in tutte le possibili prospettive: una parata è la contraria all’attacco, una finta è la contraria alla parata…

Reputo molto importante soprattutto da un punto di concezione spaziale richiamare l’attenzione sul basilare concetto di alternanza prospettica, intendendo per tale la capacità dello schermitore di percepire e vedere le posture del proprio ferro e lo sviluppo delle proprie azioni non solo ed ovviamente dal proprio punto di osservazione, cioè dietro l’arma, ma anche dal punto di osservazione dell’avversario, cioè di fronte ad essa.

Questo gioco di prospettive, che concatena presupposti schermistici e loro derivazioni, non può che giovare alla piena comprensione dei giochi posturali e dinamici sui quali s’incentra e si determina sulla pedana l’esito dei vari tipi di colpo.

Ovviamente si è portati a considerare quasi esclusivamente quello che accade dalla nostra parte, ma questo credo sia riduttivo per giungere ad una piena maturità tecnica.

I dinamismi che si sviluppano nello spazio all’altezza della zona dove s’incrociano i ferri dei due contendenti possono essere semplici, ovvero concretizzarsi in una propria esclusiva attività, come ad esempio una botta dritta, una battuta e colpo e così via (le cosiddette azioni semplici). Ma essi possono anche chiamare direttamente in causa la lama dell’avversario, costruendo anzi sul suo o sui suoi movimenti il successo del colpo (le cosiddette azioni composte, le uscite in tempo, il controtempo e la finta in tempo).

E’ soprattutto in questo secondo caso che conoscere in profondità le leggi e le coordinate del movimento realizzato dall’avversario non può altro che giovare alla comprensione ed alla costruzione (da questa parte) dell’azione.

In caso di schermitori di uguale mano l’immagine è speculare: quindi alcuni movimenti sono opposti, altri uguali.

In specie quelli in orizzontale ed in obliquo s’invertono: se ad esempio uno dei due contendenti muove il proprio ferro dalla terza alla quarta, il senso dello spostamento è per lui da destra verso sinistra, mentre, se l’avversario esegue lo stesso movimento, per lui apparirà da sinistra verso destra. Ugualmente accadrà direzionalmente per le cavazioni e soprattutto per le circolate: il movimento circolare di queste ultime sarà percepito da una parte come in senso orario, mentre dall’altra come antiorario e viceversa.

Invece in caso di traslazione verticale, cioè dall’alto in basso e dal basso in alto, entrambi i contendenti avranno la stessa identica percezione di traiettoria spaziale.

L’alternanza prospettica diventa la strada maestra per capire anche concettualmente ciò che inizialmente si esegue solo empiricamente sotto la guida del maestro.

Due esempi?

Uno può essere quello del fatto che una cavazione non riesce ad eludere una parata di contro eseguita dall’avversario.

L’altro quello costituito dalle presunte difficoltà che a priori qualcuno adduce al fatto d’incontrare in pedana un mancino.

Per il commento su questi due punti rimandiamo alle parti di questo lavoro che hanno trattato direttamente questi temi.

In effetti lo schermitore durante il match alterna attacchi e difese e tende a viverle come parti differenti di una stessa realtà: magari poi è l’identica tipologia di azione che, ora su iniziativa di uno ora su iniziativa dell’altro, viene sviluppata sulla pedana.

A questo proposito ripeto che il concetto di alternanza prospettica è molto utile a mettere in più stretta relazione questi due eventi di segno opposto, estrapolando dall’uno quello che può essere necessario all’altro.

In effetti ogni azione, semplice o complessa che sia, ha un proprio specifico ambito applicativo e questo sia nel campo dell’attacco che in quello della difesa.

Altri esempi, magari un po’ più banali di quelli citati poco sopra:  mettere in relazione una propria botta dritta tirata in contrapposizione ad un invito o ad una leggera scopertura dell’avversario con ciò che ci si può attendere dallo stesso avversario se siamo invece noi ad assumere un atteggiamento d’invito.

Tutti i mezzi tecnici (raddoppio e altro) o le astuzie che siamo in grado di realizzare in occasione di un nostro attacco, pari pari (purtroppo talvolta anche di diversi) ce le possiamo aspettare dall’attacco dell’avversario.

Ebbene questa pre-conoscenza delle azioni traslata dall’altra parte della pedana non può che portare benefici ai nostri schemi di logica schermistica.

Poi, più la frase d’armi diventa complessa tecnicamente (una o più finte, uscita in tempo, controtempo, finta in tempo), più l’alternanza prospettica concorre ad evidenziare modi e tempi di attuazione del colpo, sezionandone le varie fasi esecutive.

 

 

14 – I legamenti

Legare il ferro avversario significa imbrigliarlo in modo tale da limitare, almeno temporaneamente, le sue capacità di movimento.

Colui che vuole effettuare un legamento deve spostare nello spazio la propria lama sino a farla entrare in contatto con quella dell’antagonista; successivamente, sfruttando il principio della leva utile di terzo genere, deve trascinarla sino ad uno dei quattro siti che sono in prossimità dei quattro bersagli.

Spazialmente si determinano alcune importanti configurazioni: la punta avversaria viene deviata all’esterno della guardia di chi effettua il legamento e quindi viene distolta dal suo corpo, nella guardia di chi subisce il legamento si apre un varco, chi effettua il legamento, dovendo spostare il proprio braccio armato, scopre un proprio bersaglio, appunto quello opposto alla direzione del legamento.

Quindi risulta subito evidente che il legamento ha un segno positivo, che è quello di instaurare un dominio sulla lama avversaria, ma, contemporaneamente, un segno negativo, che consiste nella rinuncia alla propria copertura (a questo proposito i vecchi trattati denominavano infatti tale posizione anche come invito di legamento).

Comunque i vantaggi di questa postura, se ben eseguita, non sono certo da sottovalutare: consente di tenere sotto controllo il ferro avversario (almeno sino a quando l’avversario lo concede), rappresenta certamente un’idonea base di partenza per i colpi in attacco (in specie per il filo che continua a sfruttare il principio del contatto tra le lame), è riconosciuta come postura di precedenza convenzionale nella ricostruzione delle azioni di fioretto e sciabola.

Il legamento, come ogni altro atto schermistico, va utilizzato in modo discontinuo, spalmandone sapientemente l’uso durante l’intero arco dell’assalto: una sua ripetuta e monotona applicazione può sortire l’indesiderato effetto di suggerire all’avversario, quale idonea contraria, la cavazione in tempo.

La ricerca del ferro deve quindi essere, oltre che parsimoniosa, anche realizzata velocemente, cercando di nasconde il gesto il meglio possibile. Tra l’altro, quasi al cento per cento, la durata del legamento nel tempo sarà collegata al tempo minimo di reazione dell’avversario, che certamente non vorrà sottostare a questa situazione d’inferiorità e vorrà liberarsi al più presto.

Per tutti questi motivi la meccanica dell’effettuazione del legamento merita alcune considerazioni soprattutto nel caso in cui la nostra determinazione sia quella di utilizzare tale legamento per farne la base di partenza per una nostra azione di filo.

Geometricamente, dopo aver intercettato e trascinato la lama nemica, sarà necessario percorrere un primo segmento spaziale rappresentato dallo spostamento del nostro ferro dalla posizione di partenza iniziale ad una delle quattro posture canoniche di legamento; successivamente, sempre tenendoci a stretto contatto con il ferro antagonista, dovremo coprire un altro segmento, rappresentato dall’ulteriore spostamento sino al bersaglio avversario. Ad esempio, legamento di terza e successivo filo da questa posizione al bersaglio esterno alto.

Da ricordare, per inciso, il problema dei giusti gradi da utilizzare nel ricercato contatto tra le due lame: come vedremo a suo tempo, un’errata impostazione sui segmenti del ferro avversario potrebbe essere la base di partenza per una sua contraria, il filo sottomesso.

Nel fioretto la misura è abbastanza esigua rispetto alla potenzialità d’incrocio dei bracci armati e consente senza eccessive difficoltà la possibilità di cercare d’intercettare geometricamente ed in modo utile la lama avversaria.

Diversamente accade nella spada e nella sciabola, dove la misura è, almeno teoricamente, più ampia in quanto registrata non sul tronco avversario ma sui bersagli avanzati.

In queste due specialità con la semplice distensione del braccio armato non si arriva agevolmente con il proprio forte della propria lama sul debole di quella avversaria; d’altra parte, eseguendo pur velocemente un passo avanti, l’avversario in genere risponde altrettanto velocemente con un arretramento.

Come fare quindi per avere più possibilità di sorprendere l’avversario e riuscire a catturare il suo ferro in modo ottimale?

La soluzione consiste nell’accorciare il tragitto spaziale della propria lama e contrarre al massimo i tempi di  esecuzione dell’intera azione.

Circa il primo punto esiste una scorciatoia geometricamente ineccepibile rispetto ai due spostamenti che compongono in teoria il filo, cioè spostamento iniziale nel luogo del legamento e ulteriore successivo spostamento dallo stesso sul bersaglio congetturato.

L’alternativa è legare il ferro avversario allungando progressivamente il braccio armato, effettuando la relativa opposizione di pugno e avviandosi direttamente verso il bersaglio. In tal modo il nostro movimento si sarà sviluppato sull’ipotenusa dell’ipotetico triangolo avente per vertici il punto di partenza della nostra lama, il luogo canonizzato del legamento e il vertice della nostra arma in linea.  E, notoriamente, in ogni triangolo l’ipotenusa è inferiore alla somma degli altri due lati.

Il movimento del braccio armato dovrà essere anche sincronicamente accompagnato da un passo avanti, che andrà a compensare l’eventuale passo indietro eseguito istintivamente dall’avversario.

Questi due movimenti combinati, con ottime probabilità, riescono a ridurre notevolmente la primitiva misura e a consentire di conseguenza l’esecuzione di un buon legamento.

A questo punto, avendo con il primo tempo tecnico legato il ferro – compiuto il passo avanti – eseguita la linea ed anche opposto il pugno, all’attaccante resta solo l’esecuzione dell’allungo; se poi l’attacco è portato con quella specie di turbo che è la tecnica del raddoppio, il raggiungere spazialmente l’avversario, quand’anche opponesse un altro arretramento, non dovrebbe essere un soverchio problema.

 

 

15 – Le prese di ferro

Un legamento si effettua in genere nel corso di un normale traccheggio tra lame: uno dei due schermitori prende l’iniziativa e cerca di dominare il ferro avversario con idee ben precise sullo sviluppo dell’azione o, in alternativa, per provocare una contromossa.

Se invece un legamento è effettuato sul movimento dell’avversario che sta sviluppando un’azione di avvicinamento, esso viene denominato dai trattati come presa di ferro.

In effetti, anche se la postura spaziale finale è tel quel, la dinamica del presupposto è ben differenziata; ripeto: nel caso del legamento è uno dei due schermitori che si muove autonomamente per cercare di ottenere una posizione predominante, mentre nel caso della presa di ferro si agisce sull’iniziativa di movimento in avanti dell’avversario.

L’azione d’attacco semplice segue, in genere, una linea immaginaria sino al bersaglio; chi subisce tale attacco ha la possibilità d’intervenire in due tempi: uno sul finire dell’azione (la parata), uno sul suo sviluppo (la presa di ferro). Ma mentre nel primo caso l’azione sarà rubricata come azione difensiva, nel secondo invece, strappando subitaneamente l’iniziativa all’avversario, diventerà essa stessa l’azione d’attacco.

In effetti (e non solo per ossequio alla convenzione, ma anche da un punto di vista puramente pragmatico) l’attacco è portato esclusivamente dal lavoro del braccio armato e non dal movimento in avanti del corpo, che vale solo come mera attività di avvicinamento; unica logica eccezione, lo spostamento verso l’avversario prodotto dall’affondo, che è un gesto dinamico conclusivo dal punto di vista spaziale.

Naturalmente tanto più la lama impiegherà tempo a percorrere il tragitto che la separa dal bersaglio, tanto più consentirà a chi subisce tale attacco l’applicazione della presa di ferro.

D’altra parte lo schermitore per portare la stoccata sul bersaglio avversario deve necessariamente avvicinare a questo, sino a toccarlo, la propria arma. Nella fase prodromica all’effettuazione finale del colpo finale ha due modalità esecutive: mandare subito avanti la lama o ritardarne l’avanzamento.

Nel primo caso si esporrà alle prese di ferro dell’avversario, mentre nel secondo alle sue uscite in tempo.

Convenzione a parte, non esiste quindi un atteggiamento più vantaggioso dell’altro: si tratta solo e sempre di tener conto della presunta reazione di colui che subisce l’attacco.

In effetti nessuna azione schermistica è migliore di per sé di un’altra; si tratta solo di trovare nel proprio repertorio quella più idonea alle caratteristiche evidenziate dall’avversario. Nella scherma il relativo trionfa sull’assoluto.

 

 

16 – Lo spazio come bersaglio

 
Dopo aver esaminato la materia schermistica sotto l’ottica dello spazio inteso sia come posizione posturale statica, sia come successione dinamica, è necessario ora spostare l’attenzione su un’altra sua fondamentale dimensione: lo spazio inteso come superficie, come luogo di destinazione finale dei colpi.

E’ questo il mondo dei bersagli con tutte le sue problematiche: dove colpire, in certe specialità dove poter colpire validamente, come poter colpire con maggiori possibilità d’impatto, quando poter colpire e così via.

Iniziamo l’argomento con la considerazione che lo schermitore ha a che fare con un bersaglio non solo presidiato (il braccio armato nel caso di attacco costituisce una vera e propria barriera da sorpassare), ma anche molto mobile: se minacciato può allontanarsi (difesa di misura), ma come abbiamo visto può anche avvicinarsi venendo in avanti (con l’uscita in tempo), può rimanere statico, ma anche defilarsi in basso o di lato (con le schivate). Questa mobilità poi non si manifesta solo in occasione del solo attacco, ma in genere caratterizza anche le fasi di studio e/o di preparazione dell’intero incontro.

Quindi una delle maggiori caratteristiche del bersaglio schermistico è proprio la sua pressoché perenne mobilità, che d’altra parte, nell’alterno gioco delle iniziative, è talvolta imposta, talvolta subita.

Un’altra peculiarità del bersaglio è costituita dalla sua notevole estensione: come sappiamo essa è massima nella spada dove, oltre a tutte le parti corporee, addirittura anche il materiale dello schermitore può essere meta valida delle stoccate (ad esempio il passante che si innesta nella coccia) – nella sciabola il colpo può essere portato a tutta ciò che risulta al di sopra della cintura, quindi compresa la testa e gli arti superiori (con l’eccezione delle mani da quando si è affermata la segnalazione automatica dei colpi) – relativamente a queste due specialità il bersaglio del fioretto è senz’altro più ristretto, ma in termini assoluti anche in questo caso la superficie toccabile , corrispondendo a tutto il tronco del corpo, non è certo esigua.

C’è anche da tener conto del fatto che la tutela dei bersagli è affidata esclusivamente all’uso del braccio armato, non essendo contemplato, differentemente dalla realtà della scherma storica, l’uso di uno scudo (!).

In senso lato la funzione di quest’ultimo è svolta anche se in parte dalla coccia: non a caso nelle specialità della sciabola e della spada, dove ci sono i cosiddetti bersagli avanzati, la sua superficie è maggiore rispetto a quella del fioretto.

A questo punto non possiamo certo farci sfuggire l’occasione di parlare un po’ di questa essenziale parte dell’arma, cioè della coccia.

Non c’è dubbio che la sua funzione principale sia quella di proteggere la mano che stringe l’impugnatura dell’arma.

Tale tipo di protezione è garantita non solo per impedire la registrazione della stoccata dell’avversario, ma anche (e soprattutto) per evitare i danni fisici potenzialmente derivanti dai colpi diretti che possono giungervi.

In effetti sino ad una certa epoca era presente nella coccia di ridotte dimensioni del fioretto il rivettino: un piccolo orlo presente tutto attorno alla sua circonferenza, avente la funzione di evitare che la punta nemica, scivolando appunto sulla convessità della stessa, finisse sulle dita dello schermitore.

Nella sciabola la stessa funzione è affidata all’elsa, che è quell’arco presente lateralmente alla coccia: in questo caso la sua specifica funzione è quella di proteggere la mano dalle sciabolate e dai fendenti dell’avversario, che  giungono sul bersaglio non linearmente come la gran parte dei colpi di punta, bensì su piani inclinati con grande varietà di angolatura.

Sino a questo punto abbiamo analizzato la funzione meramente difensiva della coccia, intesa soprattutto come copertura (come scudo) finalizzata alla protezione della mano armata.

Ma questa parte dell’arma svolge anche altri importanti compiti nell’ambito dello svolgimento di molti tipologie di colpo, costituendone con la sua spazialità il necessario presupposto tecnico.

Innanzitutto osserviamo che la conformazione fisica delle armi, manico a parte, è costituita da un segmento maggiore, la lama, con alla base una superficie più o meno estesa, appunto la coccia.

Un buon rapporto di dominio tra le lame si ottiene, come abbiamo visto in precedenza, impostando tendenzialmente il proprio grado forte su quello debole dell’avversario: il massimo effetto si ottiene quindi quando la parte terminale del ferro nemico è nei pressi della nostra coccia.

Ma a parte questa vantaggiosa postura garantita dalle leggi della fisica, c’è anche un’altrettanto vantaggiosa postura spaziale tra segmenti: dopo l’intercettamento (sia in difesa che in attacco) la lama catturata scivola progressivamente sull’altra sino all’angolo costituito appunto dalla lama e dalla coccia. In effetti il dominio statico di una lama sull’altra è costituito dal coacervo di lama e coccia; quindi quest’ultima partecipa attivamente con la sua struttura a certi tipi di rapporto tra le lame, che costituiscono il giusto prodromo per l’effettuazione di determinati colpi (filo, disarmi…).

Esiste inoltre un importante rapporto tra postura della coccia e linee schermistiche, intese sia in senso difensivo che offensivo.

A questo proposito abbiamo già sottolineato in precedenza l’importanza dell’opposizione di pugno, che grazie all’angolo ottuso formato dall’arma e dal braccio armato in corrispondenza del ferro nemico, impediscono di subire l’offesa avversaria sulla stessa linea: in effetti la linea spezzata costituita da lama ed arto devia progressivamente la punta nemica dai nostri bersagli quanto più ci si avvicina.

E’ la postura del polso a costruire questo angolo (angolo al polso), ma è la presenza della coccia a garantire fisicamente il divaricamento tra le due linee schermistiche.

Abbiamo già visto che ad esempio questo concetto meccanico sta alla base di una specifica uscita in tempo, la contrazione.

Ma torniamo ora all’argomento del capitolo e parliamo del fatto che un bersaglio esteso si presta ovviamente ad essere suddiviso in sottobersagli.

Questi ultimi a loro volta possono essere distinti in generici e specifici: i primi relativi a tutte le specialità della scherma, i secondi solo ad alcune di esse. Svilupperemo tra breve l’argomento nel prossimo capitolo.

Incentriamo qui l’attenzione sul concetto di bersaglio non valido, rappresentato dal raggiungimento di quelle superfici corporee che la Convenzione schermistica non ritiene idonee per l’assegnazione della stoccata valida.

Nel fioretto, se il colpo finisce su tali bersagli, vige la logica conseguenza di fermare l’azione, annullando di fatto tutto ciò che accade successivamente. La convenzione in prima battuta cede il passo al pragmatismo del colpo: la stoccata in bersaglio non valido che ferma l’azione è un equilibrato compromesso tra questi due valori, uno agli antipodi dell’altro.

Invece nella sciabola, come sappiamo, il bersaglio non valido non è segnalato (evidentemente c’è una difficoltà tecnica insormontabile); ma ciò altera e non poco la realtà dello scontro, che, anche se impostato sulla Convenzione, non può poi, per difetto, basarsi solo su un aspetto della pragmaticità, appunto quello della segnalazione solo del bersaglio valido. Il valore della convenzione, con la mancanza della possibile segnalazione anche del bersaglio non valido, perde gran parte del significato del suo sussistere: tanto varrebbe, per assurdo, introdurre nella sciabola le stesse regole di priorità temporale della spada.

Le specialità verrebbero così riordinate con più onestà intellettuale: da una parte due armi che, colpendo in modo diverso (di punta una e di punta – taglio l’altra) avrebbero ciascuna un proprio specifico ambito tecnico di applicazione; dall’altra una sola arma, il fioretto, in cui il gioco convenzionale possa estrinsecare tutta la sua completa potenzialità astratta rispetto alla realtà dello scontro sulla pedana.

Non inorridiscano i benpensanti: pensino piuttosto com’è difficile oggi, talvolta anche per gli addetti ai lavori, gustarsi un bell’assalto di sciabola con tutto quel tirare sul tirare e la deprimente attesa dell’esito di una moviola che sottrae all’uomo la sua umanità (compreso l’errore).  E questo accade nelle finali dei massimi tornei mondiali… andate a vedere cosa succede nelle gare minori!

Per qualche anno, da giovane, ho calcato anch’io le pedane di sciabola e, in tutta onestà, non saprei se barattare la situazione attuale con il fatto che la materialità della stoccata era affidata solo alle capacità percettive degli assessori e del presidente di giuria.

La stoccata andava “fatta vedere” ai giurati e la dinamica delle azioni in pedana doveva essere assolutamente convenzionale: prima l’attacco, poi la difesa ed i “tempi al braccio” che dovevano essere piuttosto clamorosi.

Per onestà intellettuale c’era anche la piaga dei “tempi comuni” o di quelle azioni che parevano tali; ma questi inconvenienti ci sono anche oggi, mitigati solo dal fatto che la materialità della stoccata è registrata oggi da una macchina e non dalla vista umana come prima (ma c’è il bersaglio non valido che non è segnalato, come sopra ricordato!).

C’era anche il fatto che qualche campione affermato o qualche atleta targato grossa società dovesse mettere una o due stoccate in meno per concludere vittorioso un assalto!

Oggi, a questo proposito, ci sono più garanzie, ma gli errori, talvolta anche marchiani, continuano soprattutto nelle gare minori.

Si è ovviamente guadagnato in sicurezza nel campo della materialità della stoccata, ma si è ceduto parimenti il campo al rispetto della Convenzione.

Una cosa comunque resta fuori dubbio che il tipo di scherma che oggi si vede sulle pedane, soprattutto su quelle di sciabola, diventa sempre meno comprensibile, anche e soprattutto per una platea televisiva non specializzata che si cerca doverosamente e giustamente di allargare.

Qui, a mio parere, sta il grande limite per la diffusione globalizzata della nostra disciplina, limite che, magari tramite coraggiose sperimentazioni di Regolamento, andrebbe assolutamente rimosso.

Siamo, forse, andati fuori dal seminato, ma, come del resto ho preavvertito il lettore, questo non è un vero e proprio trattato di scherma, quanto piuttosto un excursus a lungo raggio, che si prefigge di osservare la materia da un punto di vista grandangolare e di proporre stimoli di riflessione.

 

 

17 – I bersagli 

Ogni stoccata ha una sospirata meta, il bersaglio: il suo raggiungimento costituisce il fine ultimo di ogni fraseggio schermistico.

Spazialmente esso rappresenta il punto d’impatto della lama dell’attaccante sul corpo o, questo solo per la spada, addirittura sull’equipaggiamento dell’attaccato.

Tuttavia questo contatto non è sempre sufficiente ad ottenere la stoccata: se ciò vale per la spada dove notoriamente il bersaglio è tutto il corpo, nel caso del fioretto e della sciabola si dovrà colpire una determinata superficie corporea, denominata appunto bersaglio valido.

Tutte le altre parti dello schermitore, denominate bersaglio non valido, se raggiunte, determineranno la sospensione dell’azione (nel fioretto) o non daranno luogo ad alcuna segnalazione (nella sciabola).

I trattati suddividono l’intera superficie corporea, ritenuta valida in ciascuna specialità, in sezioni, ossia in sottoparti che assumono la definizione di bersagli.

Procediamo alla loro individuazione iniziando a pensare di avere il nostro avversario in piedi, di fronte a noi: dal nostro punto di osservazione possiamo vedere tutta la parte anteriore del suo corpo, della testa e degli arti.

Se ora, invece, egli assume, sempre davanti a noi, la postura di guardia, possiamo notare che, defilando il suo corpo, compaiono nuovi bersagli: il fianco sotto il braccio armato e la parte laterale degli arti dietro.

Ugualmente notiamo che, anche se ancora visibili, certi bersagli si sono allontanati nello spazio: sono quelli prossimi al braccio non armato, ad esempio la porzione di torace e di ventre dalla parte opposta all’arma dell’antagonista, per non parlare dello stesso braccio libero che diventa il bersaglio più lontano. Compare, anche se in posizione defilata la schiena (prima era completamente nascosta), mentre il bersaglio più improbabile da raggiungere diventa, tra tutti, il fianco dietro.

Quindi la posizione assunta dallo schermitore differenzia spazialmente le zone del suo corpo nel senso di porle più vicine o più lontane dall’avversario: le prime sono denominate bersaglio avanti, le altre bersaglio dietro.

Inoltre, considerando la loro latitudine rispetto all’intera altezza del corpo, è possibile effettuare anche un’altra distinzione, quella tra bersagli alti e bersagli bassi.

Il quadrante della totalità del bersaglio sarà quindi così costituito: bersaglio avanti alto, bersaglio avanti basso, bersaglio indietro alto, bersaglio indietro basso.

Questa distinzione, lo ripetiamo, è basata esclusivamente sulla loro ubicazione spaziale rispetto ad un avversario – osservatore.

Ritorniamo ora all’immagine dello schermitore posto in guardia davanti a noi e idealmente facciamogli impugnare la sua arma.

Quest’ultima, frapponendosi tra noi ed il suo corpo, entra in un rapporto di relazione spaziale con le sue parti:   se invitiamo l’avversario a mettere l’arma in linea e ad alternare ad esempio inviti di terza e di quarta, sarà possibile notare subito che non esiste più un’unitarietà di bersaglio, ma che la lama riparte il corpo in due sezioni, una dentro la guardia (le braccia dello schermitore che si chiudono all’interno) e una al di fuori di essa.

Se poi invitiamo l’avversario ad assumere e a passare alternativamente dall’invito di prima a quello di seconda, parimenti ci possiamo rendere conto che i bersagli sono divisi dalla lama in bersagli al di sopra di essa e bersagli al di sotto di essa.

In tal modo si è costituito un altro quadrante, questa volta relativo alla posizione dell’arma avversaria: bersaglio interno, bersaglio esterno, bersaglio sopra, bersaglio sotto.

A loro volta i primi due, in relazione anch’essi con la latitudine corporea, sono ripartiti in interno alto, interno basso, esterno alto, esterno basso.

L’esigenza di questa specifica nomenclatura dei bersagli è da mettere in diretta relazione con la necessità che la teoria schermistica ha di dettagliare minuziosamente ogni sua azione: d’altra parte il bersaglio costituisce la meta finale di tutta la frase d’armi ed è quindi necessario individuarlo con estrema precisione.

Fondamentale a questo proposito è il rapporto esistente tra bersaglio e spazialità tecnica: ovviamente si para in relazione al bersaglio da difendere e si attacca in relazione al bersaglio da colpire; a questo proposito rimandiamo al concetto di quadrilatero espresso in occasione dello spazio statico.

Ma continuiamo ad osservare l’avversario armato in guardia di fronte a noi: dobbiamo anche rilevare che la particolare postura profilata della guardia (con l’arma in linea) riparte i bersagli anche in meno estesi e più estesi. Offrendo all’avversario il fianco, per di più sovrastato dal braccio armato ed essendo il resto del corpo angolato dalla parte opposta, i bersagli esterni si presentano marcatamente di fronte e quindi con minor superficie d’impatto utile rispetto a quelli interni che sono invece posturati in modo obliquo rispetto alla linea direttrice e di conseguenza con una proiezione più ampia.

Questa maggiore estensione, come del resto abbiamo già avuto occasione di ricordare nel capitolo dedicato alle parate, risulta quindi in linea teorica la più appetibile per gli attacchi, ma è bene riflettere sul fatto che, proprio per questo, risulta di conseguenza la più ovvia e quindi la più prevedibile.

L’argomento interessa solo indirettamente questo lavoro, ma soffermiamoci su di esso in breve.

Un attacco dovrebbe privilegiare alcuni principi: scegliere zone  inconsuete, comunque alternarle più volte nel corso dell’assalto e scegliere quelle porzioni di superficie limitrofe tra bersagli per mettere in difficoltà il difensore.

Se torniamo all’immagine dello schermitore in guardia considerato come un castello è facilmente intuibile che, se gli attacchi a questo castello si susseguono dalla stessa parte, l’attaccante rinuncia in partenza ad una delle sue maggiori prerogative (l’incognita di dove porterà la sua stoccata) e, anzi, facilita al massimo l’impostazione della difesa, che si può quindi organizzare come meglio crede per ricevere una monotona linea di stoccata.

Al contrario i colpi devono susseguirsi in modo tale da disorientare l’avversario con la variazione della direzione; devono ovviamente evitare i punti verificati come meglio difesi ed andare invece a cercare quelli peggio custoditi; devono colpire in quelle zone d’ombra, ai confini tra due parate, che costringono l’arma avversaria a spostarsi sino al confine delle zone da difendere, allungandone di conseguenza anche se di poco i tempi di esecuzione.

Invertendo l’ottica e cambiando il ruolo di attaccante in attaccato, il discorso è per certi versi molto simile: cercare di non ripetere consecutivamente lo stesso tipo di parata, ma alternare parate semplici con parate di contro o di mezza contro; cambiare nel corso dell’assalto tattica difensiva passando dalla difesa col ferro alle uscite in tempo; nelle risposte, dopo le parate, applicare i principi enunciati poco sopra circa l’attacco.

In sintesi: studio appropriato dei bersagli, alternanza, se necessario, degli stessi e diversificazione delle azioni, sia d’attacco che di difesa.

Ma torniamo all’argomento del capitolo: il concetto di bersaglio implica necessariamente un qualcosa che vada ad impattarsi sopra; nel nostro caso si tratta della punta o di una parte qualsiasi della lama; in effetti oggi nelle stoccate di sciabola non ha più senso parlare di taglio o di controtaglio in quanto la registrazione della stoccata è provocata da tutto il ferro (il taglio e la sua postura sono utili solo nell’esecuzione delle parate).

In quest’ultimo caso, quello delle sciabolate e dei fendenti, le probabilità di toccare sono senz’altro maggiori rispetto ai colpi portati con la punta: il segmento della lama che cerca di impattare il bersaglio ha una superficie marcatamente superiore a quella della punta ed inoltre non c’è la necessità, una volta raggiunta la meta, di esercitare una certa prestabilita quantità di pressione per vincere la resistenza della molla presente nella bussola e rendere di conseguenza possibile la registrazione della stoccata; nelle sciabolate infatti basta il semplice contatto con la superficie valida.

Concentriamoci invece sulle stoccate portate con la punta: risolto il problema del raggiungimento del bersaglio, per il motivo che abbiamo appena ricordato, si tratta di colpirlo in un modo tale da consentire l’applicazione una certa quantità minima di forza, come sappiamo superiore a 500 grammi nel fioretto e 750  nella spada.

Ecco che si evidenzia l’importanza dell’angolo d’impatto della linea d’attacco rispetto al piano del bersaglio: ovviamente meno gradi avrà tale angolo, più ci saranno probabilità che la scarsa resistenza opposta dal bersaglio stesso induca la punta a scivolare e ad uscire senza aver prodotto la registrazione del colpo; per contro più gradi ci saranno, più ci sarà la certezza di un colpo valido.

La sicurezza della stoccata, se tirata con la necessaria pressione, si avrebbe al cento per cento nel caso in cui la linea d’attacco impattasse con un angolo di 90° il piano su cui giace il bersaglio; ma appare subito evidente che tale situazione spaziale è difficilmente riproducibile per tutti i bersagli e comunque appare svantaggiosa da un punto di vista tecnico.

Con la punta dell’arma in posizione di linea e a condizione che si giaccia esattamente sulla linea direttrice, possiamo invero colpire perpendicolarmente solo una minima parte del bersaglio complessivo dell’avversario: nella spada e nella sciabola la parte anteriore del braccio armato, della gamba, del piede, del fianco, del braccio dietro e della linea della maschera che divide i due suoi emisferi. In pratica tutto ciò che abbiamo davanti alla nostra punta e che non è in una posizione angolata rispetto a noi.

Tutti gli altri bersagli sono inclinati rispetto al piano della nostra arma, sempre presupponendo che sia posta in linea di guardia.

Nasce quindi l’esigenza di tenere debitamente sotto controllo l’angolo d’incidenza dei nostri colpi sui relativi bersagli.

Tale angolo dovrà naturalmente orientarsi rispetto al bersaglio prescelto: nel caso di contrapposizione di schermitori di mano uguale l’angolo dovrà essere ricercato soprattutto dal proprio esterno verso il proprio interno; invece nel caso di schermitori di mano diversa soprattutto dal proprio interno verso il proprio esterno.

Per ottenere ciò lo schermitore può spezzare il braccio armato all’altezza del polso, creando quell’angolo al polso di cui abbiamo ampiamente trattato in altre parti di questo lavoro.

Concludendo e riassumendo, colui che attacca vedrà l’avversario, chiuso nella sua guardia, scomposto in una numerosa serie di bersagli particolari.

Per quanto attiene la semplice superficie corporea in: bersaglio interno vicino alto, bersaglio interno lontano alto, bersaglio interno vicino basso, bersaglio interno lontano basso, bersaglio esterno alto, bersaglio esterno basso. Inoltre tutti i bersagli particolari della sciabola e della spada: testa, figura esterna, figura interna,  braccio armato dentro, braccio infuori, braccio sopra, braccio sotto, coscia avanti, ginocchio, gamba, piede. Il braccio non armato e la gamba sottostante, posti ai confini spaziali opposti alla punta avversaria, svolgono solo il ruolo di bersagli eventuali ed occasionali.

Per quanto attiene la postura del braccio armato dell’avversario: bersagli interni, esterni, sopra e sotto.

Lo studio della relazione tra questi bersagli fisici e la potenziale reazione del ferro avversario costituisce per lo schermitore l’essenza di ogni determinazione d’attacco.

Molto interessante a questo proposito è la relazione che esiste tra tipo di azione e bersaglio da colpire.

Il quesito di partenza a cui rispondere è, se è la scelta iniziale di un certo tipo di bersaglio a condizionare l’azione, oppure al contrario è la scelta dell’azione che determina il bersaglio da colpire.

E’ indubbio che nel multiforme avvicendamento delle situazioni che si verificano in pedana esista questa duplice modalità di approccio all’elaborazione di una stoccata.

Pensiamo ad esempio ad un mancino; il bersaglio a cui indirizza prevalentemente i suoi colpi è il fianco dell’avversario e questo per una serie di motivi: spazialmente è uno dei bersagli più vicini, la direzione del colpo (essendo dall’esterno all’interno) è più naturale da un punto di vista muscolare, la linea di seconda è sicuramente meno frequentata della trafficatissima linea orizzontale (terza, quarta e viceversa), la maggiore consuetudine alla modificata simmetria dei corpi gioca a sfavore del destrimane.

Per tutti questi motivi il mancino tende ad eleggere come suo bersaglio preferito il fianco e cercherà conseguentemente di elaborare la stoccata in modo tale da portare il ferro avversario da tutt’altra parte.

Esaminiamo ora, per converso, un’abbastanza ricorrente situazione di pedana: l’avversario è solito alternare la posizione del braccio armato tra una postura di arma in linea e una postura di invito, ad esempio di seconda. E’ un chiaro caso in cui l’attaccante può optare per tirare una botta dritta in tempo al petto. In questo frangente è quindi il tipo di azione svolto, riallacciandosi ovviamente ad un prodromico atteggiamento dell’avversario, a condizionare il punto d’arrivo della stoccata.

In effetti un pignolo potrebbe anche osservare che in quest’ultimo caso esaminato l’attaccante, scegliendo aprioristicamente il bersaglio sotto, potrebbe tirare il colpo non di botta dritta, ma di finta dritta sopra e cavazione sotto; in tal modo riuscirebbe a svincolarsi dalla scelta indotta del bersaglio finale.

Il discorso è valido, ma solo in linea teorica (e nella Scherma si andrebbe come sappiamo all’infinito!): infatti quale utilità pratica dovrebbe indurre uno schermitore ad allungare la frase schermistica, aumentando le possibilità d’insuccesso (ad esempio, nel caso precedente, a subire un colpo d’arresto sulla finta sopra?).

Quindi il rapporto azione – bersaglio ha pari dignità del rapporto bersaglio – azione: tutto è demandato alla libera interpretazione dello schermitore.

 

 

18 – I bersagli avanzati

Il concetto di bersaglio non si può enucleare dalla sua spazialità: ci sarà sempre un bersaglio di una certa dimensione, posto ad una certa distanza da colui che su di esso vuole interagire.

Di quest’ultimo aspetto abbiamo già parzialmente parlato e tra breve affronteremo l’argomento più in profondità: è la cosiddetta misura.

Si tratta ora d’incentrare la nostra attenzione sulle peculiarità delle singole componenti di un bersaglio schermistico, che anche di primo acchito appare per sua natura non omogeneo.

In effetti nella sciabola e nella spada, oltre il tronco, ci sono delle parti del corpo che per la loro collocazione spaziale rispetto all’attaccante vengono definite bersagli avanzati: il braccio armato in entrambe le specialità e l’arto inferiore avanti nell’arma triangolare.

Se osserviamo di lato uno schermitore in una guardia standardizzata, possiamo notare che, una volta passata la frontiera della coccia, il progressivo spostamento in avanti della punta o della lama del suo avversario incontra come potenziale bersaglio dapprima il polso, poi a seguire l’avambraccio, il piede, il ginocchio e sulla stessa linea la coscia e la parte superiore del braccio.

Risulta subito evidente che un attacco portato su queste superfici, rispetto ad un altro portato al bersaglio grosso del tronco del corpo, impiega, a parità di velocità, un tempo minore: infatti il risparmio di percorso da far compiere alla propria stoccata può anche arrivare, in caso di un normotipo, a raggiungere circa 40 centimetri.

Ben sappiamo quanto ciò sia della massima importanza soprattutto in una specialità come la spada dove la precedenza squisitamente temporale del colpo risulta fondamentale; tuttavia anche nella sciabola non è da sottovalutare l’efficacia di un buon tempo al braccio.

Torniamo quindi ad affermare un principio già espresso altrove: la spazialità, in questo caso il fatto d’indirizzare un colpo su un bersaglio avanzato, influisce direttamente sulla durata di un’azione, sia essa d’attacco, di difesa o di controffesa.

Tuttavia altrettanto evidente è il fatto che, mentre il tronco dello schermitore presenta una superficie alquanto vasta da poter colpire, viceversa nel caso delle varie sezioni corporee che costituiscono i cosiddetti bersagli avanzati, la zona d’impatto si riduce drasticamente, rendendo sotto questo aspetto più difficile il colpo.

E allora, laddove il Regolamento lo contempli, cioè nella spada e nella sciabola, bersagli avanzati o bersaglio grosso?

La mia opinione è che i primi vadano sempre privilegiati, ma senza farsene un’ossessione: saranno le caratteristiche fisiche e tecniche dell’avversario, le contingenze spazio – temporali dell’assalto, lo stato del punteggio e le eventuali necessità tattiche a suggerire o a condizionare volta per volta il tipo di opzione.

Nel primo caso, quello delle caratteristiche fisiche, la conclamata maggiore lunghezza del braccio armato di uno dei due contendenti consentirà allo stesso di poter tirare, nella spada, il colpo di arresto o la botta dritta al tronco del corpo dell’avversario anziché al più esiguo braccio; viceversa, colui che gode di minore estensione, dovrà necessariamente ricercare, rischiando di più, il braccio nemico per anticipare spazialmente il proprio colpo (oppure dovrà ricercare un colpo diverso da quello a ferro libero).

Il secondo caso, quello delle contingenze spaziali, si profila, ad esempio, quando l’attacco dell’avversario è stato così repentino che la restante misura a disposizione non consente più, proprio per l’eccessiva vicinanza degli schermitori, di poter eseguire utilmente il colpo al braccio. Al bersaglio avanzato non si può quindi più tirare e giocoforza è indirizzare il colpo al bersaglio grosso.

Il terzo caso, quello relativo alle contingenze del punteggio, si può raffigurare nella ricerca del colpo doppio, messa in atto da chi può trarne vantaggio ai fini della conclusione del match.

Al di la di tutto ciò è comunque di fondamentale importanza chiarire che la scelta dei bersagli avanzati è collegata, anzi condizionata, dal tipo di misura che si decide o che si riesce a mantenere in relazione all’avversario: come appena sopra ricordato, se essa risulta troppo corta rende non solo difficoltoso il colpo portato su di essi, ma, a partire da una certa sua entità, addirittura ineseguibile.

Mi spiego meglio: se con un uguale spostamento in avanti (ad esempio con l’affondo) sono in grado di raggiungere due bersagli, nella fattispecie il tronco del corpo o il braccio armato, logicamente sceglierò quello più esteso, anche se è più distante, per avere maggiori probabilità d’impattarlo validamente.

Ma soprattutto, se la lunghezza del mio braccio armato avrà già sorpassato buona parte di quello dell’avversario, quale motivazione logica potrà indurmi a far retrocedere la punta per colpire un bersaglio che ho già superato?

In altre parole, ogni misura ha il suo bersaglio ottimale.

Pensiamo a due schermitori uno di fronte all’altro, per comodità con il braccio già completamente disteso e quindi con l’arma in linea di offesa.

Immaginiamo che uno dei due, partendo da una posizione ancora al di là della punta dell’altro, si sposti progressivamente in avanti; la punta del primo incontra la punta del secondo e, percorrendo mano a mano la sua lama, arriva alla coccia; sorpassata questa comincia a percorrere la lunghezza del braccio avversario sino ad arrivare alla sua spalla.

Durante tutto questo tragitto il braccio armato potrà costituire un bersaglio avanzato per l’attacco: più si colpirà prima (a partire dal polso), tanto più sarà spazialmente vantaggiosa la nostra stoccata.

Superata questa zona, tirare al braccio dell’avversario, fatemelo dire ancora una volta, diventerà ovviamente superfluo, difficoltoso e svantaggioso.

Non solo, ma attaccando un bersaglio avanzato si colpirà anche un bersaglio vicino da lontano: in altre parole ci saremo procurati la possibilità di portare offesa all’antagonista restando a prudente distanza, situazione che ci consentirà di defilarci meglio ritornando in guardia  in caso di un eventuale insuccesso.

Si noti bene che, invertendo l’ottica della dinamica e ponendosi quindi dalla parte dell’attaccato, ancor meglio si capirà che l’eventuale colpo di arresto si potrà tirare solo nel periodo in cui il braccio armato dell’attaccante sfilerà per tutta la sua lunghezza nei pressi della nostra punta.

Per tutte queste considerazioni, se si decide di privilegiare i bersagli avanzati, è necessario: in attacco, registrare proprio su di essi la nostra misura in modo tale che il nostro allungo ci permetta di raggiungere per eccesso almeno il polso dell’avversario; in difesa, portarsi ad una misura tale che la nostra reattività difensiva abbia la possibilità di farci allungare totalmente il braccio armato (per il colpo di arresto) prima che la coccia avversaria abbia oltrepassato la nostra punta protesa in avanti.

Ogni errore in plus in attacco o in minus in difesa, diminuirà progressivamente la possibilità d’intercettare in modo ottimale il bersaglio avanzato nemico, sino a renderla, come abbiamo già detto, spazialmente impossibile.

Quindi il fatto di poter tirare ai bersagli avanzati è una scelta che è condizionata in modo assoluto dal tenore della misura ad essi prodromica: la casuale scelta di indirizzare su di essi il colpo durante l’incontro è statisticamente irrilevante. Tale stoccata cioè non si può altro che preparare lavorando anticipatamente e specificatamente sulla distanza che ci separa dall’antagonista.

Un’ultima precisazione, riguardo alla spada, circa il modo d’impattare al meglio il braccio armato dell’avversario: la punta per segnare il colpo ha la necessità di ancorarsi al bersaglio ed esercitare la pressione minima stabilita dal Regolamento.

Ebbene essa difficilmente trova appigli nella zona centrale dell’avambraccio tra l’altro protetta dalla parte liscia e abbastanza scorrevole della parte superiore del guanto (a questo proposito c’è una specifica disposizione del Regolamento); differentemente le pieghe presenti in primis nella mano nella zona del polso e di seguito all’altezza della piegatura del gomito costituiscono ottime zone di ancoraggio per la punta, che bloccandosi su di esse permettono con più probabilità la registrazione della stoccata.

 

 

19 – Le azioni composte

Andiamo ora a curiosare nuovamente nello scatolone delle azioni d’attacco: dentro, oltre alla scatola delle azioni semplici, troviamo un altro contenitore, quello delle azioni composte.

La teoria schermistica, dopo aver considerato tutte le tipologie di colpo eseguibili direttamente in contrapposizione a tutti gli atteggiamenti possibili del braccio armato dell’avversario, non può non porsi il problema di un’eventuale sua reazione difensiva.

Sinora infatti tutte le azioni d’attacco esaminate partivano da uno stesso presupposto: lasciare letteralmente di stucco l’avversario e sorprenderlo a tal punto da non consentirgli di riuscire a contrapporre una compiuta e valida difesa. Quindi, come abbiamo visto, tutto un gioco di rapporto tra velocità esecutiva dell’attaccante e capacità percettiva dell’attaccato: ricerca della migliore spazialità, contrazione dei tempi tecnici di esecuzione, scelta del tempo e potenza muscolare da un lato (l’attacco); mantenimento di un’appropriata giusta misura dall’altro (la difesa).

Sino a che questo rapporto tra velocità dell’attaccante e quella dell’attaccato resta a vantaggio del primo non sorgono per esso specifici problemi; nel caso contrario invece, se la reazione riesce ad annullare l’azione , chi vuole realizzare una determinazione d’attacco si trova davanti ad un vero e proprio muro, appunto la parata dell’avversario.

La soluzione di questo problema è legata alla concatenazione dei vicendevoli spostamenti spaziali dei bracci armati dei due schermitori.

Punto di partenza è la considerazione che le azioni cosiddette semplici (botta dritta, cavazione, battuta e colpo, filo) esauriscono tutti i modi possibili di aggredire l’avversario in funzione di un suo specifico atteggiamento con l’arma.

Ebbene l’esecuzione di uno di questi colpi (l’azione) produce una specifica risposta motoria dell’avversario (la parata) caratterizzata da una sua peculiare spazialità.

Indubbiamente, conoscendo le coordinate di quest’ultima, è possibile attuare dei movimenti che abbiano lo scopo di annullare la sua efficacia difensiva.

Di conseguenza l’azione d’attacco diventa composta in quanto contempla: A l’azione semplice di partenza che ha solo uno scopo provocatorio – B la realizzazione della reazione difensiva – C l’elusione di tale reazione a cura dell’attaccante – D l’effettuazione del colpo da parte di quest’ultimo.

In buona sostanza quell’avversario che nelle azioni semplici era tenuto fuori dalla realizzazione del colpo, invece, nelle azioni composte, è chiamato direttamente in causa per poi essere raggirato.

Come vedremo a suo tempo la reazione difensiva dello schermitore può assumere diversi connotati: può essere di misura (si arretra), può concretizzarsi addirittura in un attacca sull’attacco (si esce in tempo), oppure, ed è il caso delle azioni composte, può essere effettuata con l’intervento del braccio armato (difesa col ferro).

L’elemento centrale delle azioni composte è appunto il fatto che nel loro sviluppo prevedono l’esecuzione di una parata dell’avversario, che quindi deve essere elusa per poter giungere felicemente a bersaglio.

Il meccanismo delle azioni composte è concettualmente semplice: quella stessa reazione che temo, la parata, la devo artatamente provocare in condizioni spaziali e temporali a me favorevoli, per poi poterne approfittare e giungere a bersaglio.

Per superare la barriera difensiva dell’avversario quindi occorrono due elementi: un inganno ed un idoneo movimento spaziale per sfuggire alla sua reazione a tale inganno.

Il primo è rappresentato dalla finta, che, essendo solo la simulazione del colpo, induce (o almeno dovrebbe indurre) l’attaccato a reagire spazialmente, spostando il braccio armato a tutela del bersaglio minacciato; il secondo è costituito da movimenti della lama che attacca idonei ad evitare il tentativo d’intercettazione da parte di quella che difende.

Quindi la dinamica spaziale di un’azione composta è la seguente: sviluppo della finta, ottenuta con la sola distensione del braccio armato o anche in concorrenza con un passo in avanti per dare maggiore veridicità al gesto – elusione del ferro avversario che attua una parata – percorrenza del tratto finale sino al raggiungimento del bersaglio.

Per quanto attiene la finta, tutti i colpi semplici (la botta dritta, la cavazione, la battuta e colpo ed il filo) possono essere fintati.

Riguardo l’elusione della parata, essa sarà ovviamente funzione dell’atto difensivo realizzato dall’avversario: tramite cavazione in opposizione alle parate semplici e tramite circolata in opposizione alle parate di contro e di mezza contro. A suo tempo analizzeremo l’importanza di eseguire il giusto movimento di svincolo in relazione al tipo di parata dell’avversario: qui sia sufficiente specificare che una cavazione non riesce ad eludere una parata di contro e uguale sorte tocca ad una circolata su una parata semplice.

Sin qui abbiamo teorizzato che in opposizione alla determinazione d’attacco la difesa avversaria realizzi una sola parata.

Indubbiamente però deve essere presa in considerazione anche la possibilità che, sempre in relazione alla velocità esecutiva (l’una d’attacco, l’altra di difesa) realizzate sulla pedana dai due avversari, sia necessario ricorrere a più di una finta.

A questo proposito i trattati si fermano ad una successione massima composta da due finte, da cui le azioni prendono la denominazione di doppia finta. Ciò, come abbiamo già avuto occasione di dire, per due motivi: uno perché la sequela di finte e parate potrebbe teoricamente essere protratta all’infinito; due soprattutto perché un attacco che si dilunghi oltremodo nelle finte sarebbe facilmente oggetto d’interruzione tramite un colpo d’arresto.

Per quanto riguarda la classificazione delle azioni con finta i trattati hanno elaborato specifiche categorie, che mutuamo il loro nome dal tipo, dal numero e dalla successione delle parate che intendono eludere.

Così le azioni di finta semplice sono quelle che eludono una parata semplice – le azioni di doppia finta semplice sono quelle opposte a due parate semplici successive – le azioni di finta circolata eludono una parata di contro – le azioni di doppia finta circolata sono quelle opposte a due parate di contro successive – le azioni di finta e circolata sono quelle che eludono prima una parata semplice e poi la successiva di contro – le azioni di circolata e finta sono quelle che eludono prima una parata di contro e poi una successiva semplice.

Le rispettive nomenclature s’informano direttamente a tali categorie; ad esempio, in relazione al precedente schema, circa la botta dritta si hanno: finta dritta e cavazione – doppia finta dritta – finta dritta e circolata – finta dritta e doppia circolata – doppia finta dritta circolata –  finta dritta circolata e cavazione.

Lasciamo volentieri al lettore lo “scioglilingua concettuale” delle denominazioni di tutte le altre azioni composte.

 

 

20 – La finta

Per descrivere le azioni composte abbiamo dovuto parlare di finta, cerchiamo ora di sviluppare più in profondità questo concetto.

Essa è la simulazione del colpo, del quale deve possedere tutte le caratteristiche tranne, ma, ovviamente, non la sua esecuzione finale.

In pratica lo schermitore deve eseguire tutti i movimenti caratteristici di una certa azione, ma, giunto all’altezza della guardia dell’avversario, non deve sorpassarla e cercare di raggiungere subito il bersaglio, bensì restare in attesa dell’auspicato evento provocato, cioè della parata nemica.

Lo scopo è quello di far intervenire l’arma dell’avversario in modo tale che si muova dalla sua posizione d’attesa e produca il suo intervento di spostamento spaziale, sia esso semplice oppure di contro.

La principale caratteristica della finta è che deve essere veritiera, cioè essere credibile agli occhi di chi la subisce.

Quindi è innanzitutto necessario che essa sia portata da una misura tale da rendere reale l’espletamento del colpo: l’avvicinamento effettuato, conseguito con l’allineamento del braccio armato accompagnato eventualmente dal passo avanti, deve esporre l’avversario ad un manifesto pericolo.

Nell’ottica del nostro lavoro è da mettere in stretta relazione la bontà di una finta con il suo maggior avvicinamento possibile al corpo dell’avversario: tanto più saremo con la nostra arma vicini a quest’ultimo, non solo si sortirà l’effetto ingannatore voluto, ma tanto minore sarà poi il percorso da compiere per raggiungerlo una volta effettuata la necessaria elusione della parata.

In altre parole, se abbiamo optato per un attacco composto, non dobbiamo temere oltre il dovuto la parata nemica, perché questa reazione è proprio il presupposto che abbiamo messo in preventivo per svolgere l’intera nostra azione. Quindi, avvicinandoci all’avversario subito al massimo non avremo nulla da perdere, bensì solo spazialmente da guadagnare.

Riprendiamo ora un discorso solo accennato nel capitolo precedente, quello della successione di più finte, che i trattati nelle loro pagine limitano a due.

La spiegazione di questa prudenza è senz’altro da ricollegare alla dinamica spaziale di un’azione che risulta composta da un numero eccessivo di spostamenti del braccio armato, che si dilungano nel tempo senza giungere in tempi accettabili al dunque.

E’ sufficiente seguire con gli occhi della mente il tragitto lungo e complesso della nostra punta nello spazio (peggio ancora se pensiamo al taglio della nostra sciabola) per capire che in tal modo non faremmo altro che suggerire al nostro avversario la scorciatoia del colpo d’arresto: la traiettoria lineare e breve di quest’ultimo in contrapposizione all’inconcludente deambulazione delle finte. Tra l’altro, lo vedremo a suo tempo, il colpo d’arresto, interponendosi sulla linea delle finte, produce ad abundantiam anche l’effetto di sbarrare il passaggio alla lama avversaria, così da interromperne anche il movimento.

In chiusura d’argomento credo sia utile richiamare l’attenzione sul rapporto spaziale esistente tra finta e bersaglio sul quale portare il definitivo colpo.

In effetti non è la finta che condiziona il bersaglio da raggiungere, bensì il tipo ed il numero di parate che l’avversario oppone.

Tutte le volte che quest’ultimo eseguirà una parata semplice, andandosi cioè a spostare verso la finta, la stoccata finale andrà verso il bersaglio opposto che di conseguenza rimarrà scoperto. Quindi, ad esempio, finta indentro e colpo infuori e così via. Ovviamente, se l’attacco sarà di doppia finta semplice, per effetto del doppio spostamento lineare, il bersaglio finale sarà quello sul quale sarà indirizzata la prima finta.

Al contrario se l’avversario effettuerà una parata di contro, facendo compiere al polso armato solo un gesto rotatorio senza spostarlo nello spazio, la stoccata finale andrà verso lo stesso bersaglio sul quale è stata fatta la finta. Niente cambierà anche nel caso dell’esecuzione di una doppia parata di contro nemica.

Ci restano ora da considerare i due casi in cui c’è un’alternanza di tipo di parata: una semplice seguita da una di contro e una di contro seguita da una semplice.

La presenza in entrambe le successioni di una sola parata diretta, che implica quindi un solo spostamento nella direzione inversa, fa sì che il bersaglio finale sia quello opposto alla prima finta.

Un’ultima osservazione sui bersagli spianati dalla finta: se la parata (o comunque l’ultima parata) dell’avversario sarà effettuata sul lato esterno della sua guardia (parate di terza e di seconda) la lama dell’attaccante avrà ampio e libero accesso ai bersagli interni; in caso contrario, se la difesa sarà invece messa in atto realizzando parate all’interno della guardia (parate di quarta e di prima), il braccio armato in queste posizioni oscurerà parte del bersaglio sottostante, per cui sarà necessario e producente ricorrere ad una appropriata angolazione di pugno per realizzare un buon impatto del colpo.