Ospitiamo molto volentieri nel nostro sito l’amico e collega Gianmarco, che ci aiuterà nell’esplorazione del vasto mondo della Scherma Storica, alla scoperta quindi delle nostre origini
Gianmarco Ferrioli
Appunti pratici di scherma artistica
La pratica della scherma artistica è, forse, una tra le più complesse specialità di quel grande contenitore che è la Scherma.
Questo per ben due motivi. Il primo è che deve essere così finta da sembrare vera, e il secondo è perché, a differenza delle altre “normali” pratiche schermistiche, è un’armonia di almeno due schermidori, che agiscono in sincrono perfetto, creando un combattimento che sia il tecnico che lo spettatore senza la minima preparazione possono gustarsi.
Per quanto riguarda il primo punto, per capirlo meglio, andate a rivedere degli esercizi di Yuri Chechi, osservate come durante i giochi di Atene, per esempio, i suoi movimenti fossero perfetti, in un esercizio massacrante e come al contempo il suo viso non tradisse minimamente l’enorme sforzo che stava eseguendo.
Allo stesso modo il combattimento coreografato deve essere così fluido, cosi dinamico da non tradire minimamente lo studio di mesi e anni dietro ad ogni colpo, anzi, il viso e l’espressione generale del corpo deve essere di leggerezza. I duellanti dovrebbero apparire come animati dalle più sanguinolente intenzioni, senza svelare la loro sintonia.
Per quanto riguarda il secondo punto invece il lavoro da fare è enorme.
Iniziamo a dire che ci sono due estremi, entrambi sbagliati a mio avviso.
Il primo è la coreografia estremamente tecnica, che non ha nulla di spettacolistico e risulta noiosa per chiunque, tranne che per il più maniaco filologo del trattato in esame.
E il secondo: il combattimento tra due attori senza la minima tecnica schermistica, che risulta essere, dopo le prime battute quantomeno deludente. Il ripetersi ad oltranza della classica combinazione colpo alto/colpo basso dopo i primi istanti annoia chiunque, tecnico o meno.
In mezzo a questi due estremi abbiamo una giusta via. Si tratta di un combattimento tecnico, ma che tiene conto della spettacolarizzazione del combattimento, bello da vedere sia per il tecnico schermistico sia per lo spettatore che non sa nemmeno da che parte si impugna una spada.
Deve assolutamente contenere degli elementi che in un certo senso “forzano” ed “estremizzano” la tecnica schermistica pura, adattandola a un evento teatrale, deve tenere conto di ritmo, patos, pause, deve semplicemente adattarsi alle esigenze dello spettatore.
Lo stesso fenomeno, con altri fini magari, si vede nei kata delle arti marziali orientali.
Se prendiamo in esame i kata dello judo, Tori ed Uke, i due “figuranti”, estremizzano alcune situazioni, rendendole di fatto irreali, al fine di evidenziare alcuni movimenti tecnici fondamentali. Nonostante questa finzione non credo che nessuno si sognerebbe mai di dire che un kata risulti finto, anzi, se ne apprezza la marzialità, il ritmo e l’inevitabile suspence che la marzialità crea.
Quindi come giungere ad un risultato simile? Come può fare il tecnico regista di un combattimento artistico per renderlo appetibile per la platea più ampia possibile?
Personalmente, quando devo iniziare a lavorare ad una coreografia con un gruppo novello mi concentro su 4 punti.
Stato mentale
Energia
Ritmo
Armonia
Iniziamo a sviscerarli uno per uno
Quello che si può chiamare “stato mentale” non è altro che la personalità del figurante.
Bisogna lavorare su questo, al pari di quando si lavora su un personaggio teatrale. E ‘assolutamente necessario se si vuole dare carattere ai colpi, alle tecniche, ad ogni azione del combattimento, se si vuole creare quella credibilità nell’azione che stupisce il pubblico.
Uno schermidore che entra in scena non può portare sé stesso, deve essere abituato a fingere di essere chi non è, al pari di un attore. Deve fare cose che non farebbe mai nella vita di tutti i giorni, deve rendere il più reale possibile la pomolata che tira nel muso del suo compagno d’arme, il fendente che verrà parato all’ultimo istante, e lo deve fare in modo credibile, senza freni e senza paura, ma ovviamente con la sicurezza e la mancanza di pericolo che le infinite ripetizioni hanno dato.
Per lo spettatore, chiunque esso sia, vedere due persone che combattono con una spada è vedere tutto quel panorama di racconti epici che ci portiamo dentro da millenni, volenti o nolenti.
Chi mai si potrebbe immaginare un Achille che esita a tirare un colpo ad Ettore? Oppure un Artù che timidamente avanza verso il nemico? Impossibile! Allo stesso modo il figurante deve rappresentare un’epica, letteralmente deve entrare in scena ed essere il protagonista eroico di mille e più racconti. Quando si impugna la spada si fanno rivivere gli eroi, che siano buoni o cattivi, fieri cavalieri o assassini che scivolano nel buio, ma comunque perfetti nel loro ruolo.
Come ottenere questo non è certo facile, la prima volta che si racconta questo agli allievi la reazione più normale è uno sbuffo e l’immediata archiviazione della cosa come semplice.
Giustamente non ci rendiamo conto delle nostre autolimitazioni sociali, il problema è che gli eroi dell’epica non le hanno queste limitazioni. Come possiamo iniziare a liberare l’eroe che impugnerà la spada? Il primo passo per rimuoverle è capire di averle ste benedette limitazioni.
Un esercizio semplicissimo per iniziare a prendere coscienza di quanto siamo bloccati è creare due file di persone, una davanti all’altra, alla distanza di circa 2 metri, in modo che quando parlano tutti possano udirli e chiedere semplicemente loro di insultarsi, nel peggior modo possibile, cercando di esplorare a parole tutti i lati dell’umana offesa, dai genitori al sesso.
La cosa sembrerebbe semplice.
Ma in realtà le prime volte, quando l’esercizio inizia, ci sarà un blocco generale dopo l’iniziale euforia, nessuno si azzarderà a insultare il compagno davanti a lui. Il mutismo regnerà sovrano, nell’incredulo imbarazzo di tutti. Eppure tutti sanno che è una finzione, non è reale. Il dettaglio che manca è la motivazione, non siamo effettivamente arrabbiati con il compagno da dare sfogo ai nostri più turpi insulti.
Ma proprio su questo si deve iniziare a lavorare se si vuole creare uno spettacolo degno di nota.
La distinzione tra finzione e realtà. la creazione di una motivazione così finta da sembrare reale.
Se in un semplice esercizio non riesco a insultare per finta un amico come potrò in uno spettacolo infilarlo da parte a parte con la spada e farlo sembrare (quasi) reale? Se non c’è l’abitudine a ricreare questa finta emotività che contraddistingue il nostro agire come potremo rendere i colpi realistici? Lo stato mentale a questo punto non diventa altro che il nostro vestito di scena, utile a creare un personaggio.
L’energia, all’apparenza sembrerebbe un argomento mistico e filosofico, invece no, è una cosa tra le più materiali e fisiche che ci siano. E’ la semplice espressione del nostro corpo nello spazio.
Cerco di spiegarmi meglio.
Quando combattiamo contro un’altra persona tutto il nostro corpo è concentrato su quella persona.
Le azioni, i movimenti, sono come chiusi in un corridoio che corre tra i due avversari. La cosa ha perfettamente senso in un combattimento agonistico ma perde completamente di efficacia se c’è un pubblico osservante.
Sarebbe come osservare una discussione tra due persone che si guardano in faccia, non ci fa voglia di ascoltare, ci fa sentire a disagio, come se spiassimo qualcosa che non ci riguarda.
Quello che si deve cercare invece è l’apertura verso il pubblico, né più e né meno come Bisio e la Encontrada quando conducevano Zelig, parlavano tra di loro ma erano inclusivi verso il pubblico. Lo spettatore era parte di una conversazione, certo, non interveniva, ma si sentiva partecipe di quello scambio di battute. Il loro atteggiamento fisico era rivolto verso il pubblico, l’energia dei loro corpi creava una sintonia con lo spettatore, non lo escludeva.
Bene, come può farlo lo schermidore questo?
Fateci caso, quando combattete il vostro corpo crea delle linee, la direzione dei piedi, la direzione dello sguardo, le spalle, i movimenti, sono tutte linee focalizzate verso l’avversario, qui invece sul palco le linee devono aprirsi per abbracciare lo spettatore.
La testa non guarda il compagno quando cala un fendente, ma, in accordo con il movimento circolare del corpo, asseconda il colpo e finisce per guardare in un’altra direzione, le rotazioni della spada sono più ampie, la schiena le accompagna. I piedi stessi si aprono in direzioni non “logiche” per la scherma agonistica, ma che fanno sì che il corpo intero sposti la propria attenzione verso che ci osserva.
Un esempio pratico. Immaginiamo di tirare un fendente dalla nostra spalla sinistra alla gamba avanzata dell’avversario. In un combattimento agonistico i gomiti sarebbero chiusi, il movimento il meno percepibile possibile, la spinta dei piedi sarebbe in avanti e sempre allineati con la direzione dell’azione. Una volta che il nostro colpo venisse parato probabilmente ci si ritrarrebbe in una posizione difensiva e si proseguirebbe il combattimento. Il tutto tenendo testa e spalle “chiuse” nella direzione dell’avversario.
Invece se stiamo eseguendo la stessa azione su un palco il caricamento del colpo sarà ben più ampio, accompagnato da un movimento della parte superiore del corpo, prima all’indietro poi in avanti, come se si volesse seguire e accentuare il movimento della spada. Il viso e il petto non saranno in direzione dell’avversario, ma aperti verso l’esterno. Se ci fosse una linea che esce dal mio sterno e proseguisse nella direzione del mio sguardo, questa sarebbe a circa 45 gradi rispetto alla direzione che dovrei avere per “concentrarmi” sul mio avversario.
Chiaramente questo è solo un esempio, ma anche solo provandolo in sala d’arme si vede come lo sguardo, il petto e la direzione dei piedi possano cambiare l’attenzione di chi osserva.
Vale la pena di studiare questo meccanismo in modo approfondito se si vuole creare uno spettacolo che riesca ad attirare l’attenzione del pubblico.
Allo stesso tempo si deve allenare e studiare il ritmo di un combattimento figurato.
Un grossolano sbaglio è quello di basare il combattimento su un continuo alternarsi di colpi. Adesso tocca a me e poi tocca a te, creando una specie di cronometro armato.
Oltre che risultare irreale questo effetto è di una noia mortale. Non esiste nessun combattimento reale che procede a questo ritmo così cadenzato e matematico. Allo stesso modo non può procedere così un combattimento artistico.
Iniziare già dalle prime fasi di studio della coreografica ad inserire un ritmo è fondamentale, non serve alternare i colpi matematicamente, vanno inserite finte, accelerazioni e pause di studio. Le parate devono essere il più possibile rallentate per non rischiare di anticipare il colpo in arrivo, questo si ottiene se tutti gli schermidori coinvolti seguono il ritmo deciso.
Un esempio pratico per iniziare questo studio si può avere eseguendo la ruota dei colpi, cioè la sequenza di sottano-mezzano-fendente-mezzano-sottano e le conseguenti parate.
Diamo un ritmo a questo esercizio diverso dal solito, per iniziare va bene qualsiasi melodia, anche il walzer del moscerino andrebbe bene.
Cerchiamo inizialmente di seguire con i colpi il ritmo della melodia, alterniamoci nelle risposte, cerchiamo di riempire i vuoti con movimenti sul palco, come se fossero le pause di studio di un combattimento vero, prendiamo la melodia proprio come uno spartito e suoniamolo con la spada.
Quando tutti si muovono all’unisono e sono a ritmo prendiamoci il lusso di accelerarlo dove serve, rallentarlo o fermarlo letteralmente. Pause e colpi.
Non deve spaventare una pausa, anzi, è la necessaria sottolineatura di una azione.
Se la pausa ha una sua giustificazione teatrale la scambio di colpi che ne segue risulta esplosivo. Se si vuole un esempio si vada a vedere la scena del triello di Sergio Leone.
E infine il punto su cui si deve lavorare più di tutti: l’armonia.
L’armonia è un percorso complicato, un risultato tra i più difficili da ottenere. E’ il muoversi in sincrono di tutti i duellanti, il non lasciare tempi morti nella scena, mentre si portano i colpi al bersaglio senza sbagliare, è fare intervenire una parata nel momento giusto, eseguire una tecnica in modo corretto senza mettere a repentaglio la salute del compagno.
In poche parole è tutto ciò che rende un combattimento degno di essere ammirato.
Sono necessarie infinite ripetizioni, si deve prestare attenzione a una serie infinita di dettagli e creare una vera e propria gerarchia all’interno del gruppo, con ruoli, dinamiche e compiti ben precisi.
Anche qui un esempio pratico.
Prendiamo un regista e tre duellanti, due contro uno.
Il regista creerà l’azione, supervisionandola dall’esterno.
I due attaccanti eseguono i colpi seguendo la ruota, l’attaccato difende fino al secondo fendente.
I due attaccanti per poter eseguire i colpi devono alternarsi, sulla stessa linea di attacco, tirando il colpo e “uscendo” verso destra, muovendosi in cerchio attorno ad un ipotetico centro, sempre girati verso il difensore.
Il problema è che così facendo non possono vedere alle loro spalle.
Il risultato sarà che il cerchio sarà via via sempre più grande, ci vorrà sempre più tempo per percorrerlo e il ritmo dei colpi sarà irrimediabilmente rovinato da questo percorso.
Come ovviare a questo problema?
Serve un secondo regista, scelto tra i due attaccanti, il suo compito sarà semplicemente quello di tenere la mano sinistra sulla scapola destra dell’altro attaccante.
Questo effetto farà si che il secondo attaccante possa costantemente percepire dove si trova l’altro, renderà il cerchio più piccolo e i colpi si susseguiranno ad un ritmo costante
Grazia a quella mano appoggiata sulla scapola si genera un’armonia di movimento.
La stessa mano spingerà, con fare ovviamente accentuato il compagno, per dare più slancio alla punta che verrà tirata al difensore, da li l’azione proseguirà come deciderà il regista.
Questo è ovviamente solo un piccolo trucco dei tanti possibili. Serve a dare coesione e logica all’intera azione. Una coreografia ben fatta è piena di queste piccole magie, è compito del regista fare sì che ogni secondo regista abbia ben chiaro il suo ruolo, possa aiutare gli altri ad eseguire al meglio l’azione e che in generale tutto funzioni secondo uno schema ben preciso.
Un combattimento a 5 può durare anche per più di 10 minuti, se sono presenti abbastanza elementi che giustifichino le varie azioni, va da se che se c’è confusione dei ruoli ne verrebbe fuori un vero e proprio disastro, è necessario che la gerarchia, intesa come ruoli e funzioni, sia chiara a tutti e che tutti lavorino per il risultato comune.
Se si fa un paragone con una brigata di cucina in un ristorante stellato non si sta assolutamente sbagliando.
Un combattimento del genere, perché sia credibile, reale ed emozionante, necessita di moltissimi trucchi come quello descritto sopra. Ciononostante, se ogni schermidore non fosse in perfetta sintonia con gli altri non si riuscirebbe mai a metterlo in atto nonostante gli escamotages tecnici.
Per arrivare ad agire in armonia il regista deve non solo pensare alla gerarchia, ma prevedere anche esercizi di equilibrio e concentrazione collettivi. Non si deve mai pensare che un’armonia fisica di questo tipo possa nascere senza un’armonia mentale ed emotiva.
In fin dei conti la scherma ci insegna Armonia, che sia su un palco, in pedana o nelle mille altre situazioni della vita.
Siamo tutti fratelli di “spada”
“Qual è l’arma più importante della scherma?” Questa era la domanda che girava attorno al discorso con il Maestro Gardenti la prima volta che ci siamo sentiti al telefono.
A prima vista sembra una domanda banale, ammettiamolo pure, ma da dove si parte per definire l’arma più importante? Se poi ci mettiamo che la discussione era portata avanti da due persone che vengono dagli estremi opposti della scherma la faccenda si complica e non poco.
Perché diciamocelo pure, se parliamo di scherma dobbiamo prendere in esame un campo così vasto che è difficile vederne i confini.
Forse l’Arte, a volte, non appare così sconfinata, chiusi come siamo nel nostro piccolo pezzetto di specializzazione.
Basta però fare un piccolo sforzo di immaginazione e la risposta si apre come un fiore. Chiara e limpida nella sua perfezione come poche altre cose al mondo.
Beh, vi stupirà magari che io e il Maestro Gardenti, nonostante lui sia uno della Sportiva e io sia uno della Storica, siamo andati d’accordo subito.
L’arma più importante della scherma beh… non è altro che la Scherma! Non è ne una spada né un pugnale, ne il fioretto ne la mano libera. E’ solo la scherma.
La cosa è complicata? Forse si, quindi vale la pena fare un po’ di chiarezza.
Cosa vuol dire scherma? E tutti a questo punto rispondono “usare una spada”. Benissimo, ottima risposta, e allora perché non si chiama “spadare”? Sarebbe più adatto no?
E invece si chiama scherma, perché ci insegna a difenderci. Ci fa da schermo. Più o meno come un po’ tutte le parole che hanno questa derivazione… schermo, schermatura, schermarsi e anche schermo d’energia.. se le analizziamo sono tutte parole che hanno un senso difensivo.
Bene, quindi allora la parola giusta al posto di scherma sarebbe “scudare”? visto che devo difendermi tanto vale usare uno scudo no?
Bella idea…. E se sono senza uno scudo non posso fare scherma? E quando vinco se mi difendo sempre? Gli tiro lo scudo nei denti all’avversario? In realtà si faceva anche questo, ma forse il concetto è un pochino più ampio.
Insomma, per creare un esempio tirato per i capelli immaginiamo uno schermidore sportivo che abbia necessità di difendersi e che ha a disposizione un ombrello. Farebbe o non farebbe scherma con quell’ombrello? E se avesse una forchetta diciamo? Sarebbe ancora scherma?
Beh nei trattati dell’epoca ci sono delle tecniche di scherma con il mestolo…..
Sto facendovi confusione cosi?
Per facilitare le cose vediamo un po’ cosa troviamo nel grande contenitore della scherma?
Alziamo gli occhi dal nostro angolino, sia che si chiami sportiva o storica, e buttiamo lo sguardo oltre la siepe del nostro orticello per vedere cosa fanno i nostri vicini?
Al momento abbiamo, generalizzando ovviamente, gli schermidori che fanno sportiva, belli nelle loro divise bianche, che scendono in pedana, abbiamo gli storici, magari un po’ meno belli da vedere con le loro protezioni ingombranti che si martellano con delle spade un pelo più massicce, abbiamo chi usa il corto e sperimenta un qualcosa a metà tra la sportiva e la storica, chi invece si dà agli spettacoli, creando coreografie a metà tra il combattimento di un film e la tecnica dei trattati e infine chi, seduto comodamente in poltrona studia i trattati e la tecnica per poi andare in sala a vedere se le cose funzionano.
Insomma, cinque bei mondi che, apparentemente, sono divisi dal loro bel solco insormontabile. Diciamo pure che ogni tanto ci si guarda anche in cagnesco, convinti di aver ognuno la verità della scherma.
Eppure… niente è così lontano dalla realtà.
La cavazione viene descritta in un manuale per la prima volta nel 1300 circa, il london tower fetchbuch, che per evitare di slogarsi la lingua a pronunciarlo viene chiamato di solito I-33. Ed è arrivata fino ad oggi la cavazione più o meno senza grandi cambiamenti. Magari non viene spiegata il latino da un monaco, ma il senso è quello. Se lo sappiamo ora è perché qualcuno i trattati li ha studiati, provati e messi in pratica.
La storica serve anche a quello, a ricordarci cosa facevamo e come. La sportiva ci aiuta a fare meglio la storica, poco ma sicuro. Andare a studiare la tecnica di oggi, come ha sviluppato i colpi di punta, riuscire a riportarli nei combattimenti di storica da un sicuro vantaggio. Alla fine è la stessa arte, ma solo perfezionata da circa 8 secoli di prove, allenamenti, assalti e, anche, combattimenti. Insomma, qualcosa di decisamente valido no?
E la parte artistica? A cosa ci conduce? Perché mai dovrebbe essere utile mettersi una calzamaglia, prendere la spada laser e far finta di essere degli eroi?
Beh innanzitutto perché è decisamente divertente, e questo non si discute, ma anche perché ci da un grande vantaggio sulla conoscenza del nostro corpo. Avete presente i Katà delle arti marziali? Non ci siamo molto distanti dalle coreografie di scherma. Equilibrio, precisione nei colpi, concentrazione, senso di squadra, sono tutti valori aggiunti della pratica spettacolistica. Adesso riportate queste qualità nella scherma che praticate ogni giorno, vi sarebbero utili? La risposta è scontata credo.
E il corto? Beh il corto prende un po’ da tutti questi campi e dà a tutti. Combattere con il corto è una scherma sportiva “semplificata”, se mi si passa il termine, ma che prende a piene mani dalla tradizione, che ha bisogno di una spinta agonistica un pelo più forte tipica della scherma storica e che si presta benissimo alla parte spettacolistica. Ah, senza contare che poi è parte fondamentale della nostra storia italiana, basta guardare quella che è l’origine della pizzica, una vera e propria danza con i coltelli.
Abbiamo dimenticato qualcosa? Beh si la parte di studio. Va da se che tutto quello descritto prima non sarebbe possibile senza quei pochi e saggi eletti che si sono presi la briga di mettersi a studiare i testi dei secoli passati. Non mi riferisco per forza al Fiore de Liberi, ma già andare a vedere il Pignotti-Pessina o il Parise-Masaniello è già un investimento di tempo.
Quindi abbiamo, solamente abbozzati, questi cinque grandi mondi, che, anche senza che ce ne rendiamo conto, stanno comunicando tra di loro da anni.
La scelta come sempre sta a noi.
Possiamo chiuderci a riccio nel nostro piccolo fazzoletto di scherma, e magari diventare bravissimi a fare qualcosa, oppure possiamo alzare la testa, guardare un pochino più in là dei nostri confini e imparare a piene mani da questo mondo fantastico che si chiama Scherma e divertirci a esplorare tutte le sfumature di un’Arte che ci accompagna in ogni momento della vita, ma forse questo è il tema per un altro discorso!