Traduzione “Il concetto di ratio nelle componenti della teoria schermistica e dintorni”


 

 

Alla ricerca degli archè della scherma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                    

                  

 

Indice

 

Introduzione. 4

Origini e trasposizione sportiva. 6

Tecnica schermistica. 8

Conformazione delle armi sportive. 10

Modo d’impugnare l’arma. 14

La pedana. 16

Prima posizione. 18

Saluto. 19

Guardia. 21

Il braccio armato. 24

Deambulazione sulla pedana. 26

Sistema – schermitore. 28

Raggiungimento di un bersaglio dell’antagonista. 30

Atteggiamenti con l’arma. 34

Le coordinate del braccio armato. 37

Bersagli 40

Gestione della misura. 42

La linea direttrice. 44

La contraria. 46

Le categorie delle azioni 48

Lo scandaglio ed il traccheggio. 51

Azioni di attacco. 54

Le parate semplici 58

Le parate di contro. 61

Le parate di mezza contro. 62

Le parate di ceduta. 63

La risposta. 64

Azioni di attacco composte. 66

Elusione delle parate. 68

Azioni di doppia finta. 71

Le azioni ausiliarie. 73

Le uscite in tempo. 74

Il controtempo. 77

Finta in tempo. 79

Lo spazio ed il tempo. 81

Cenni di tattica. 84

Cenni di strategia. 91

La Convenzione schermistica. 98

Formula di gara. 102

Commiato. 104

 

  

Introduzione

 

            Per specificare il campo di ricerca che mi sono assegnato in questo mio nuovo lavoro porto un esempio mutuato dalla dottrina giuridica: la ratio di una determinata legge è lo scopo, il fine ultimo, che il legislatore intende perseguire mediante l’emanazione di una disposizione normativa; in altre parole è l’indicazione dell’elemento necessario e logico che soprassiede alla norma.

            E’ in questo senso che cercherò di indagare in profondità ciò che ha indotto nel tempo la teoria schermistica a partorire posture e colpi che vengono metodologicamente e minuziosamente esposti in ogni buon trattato di tecnica delle armi bianche utilizzate nella cosiddetta scherma olimpica.

            Un lungo cammino dunque alla ricerca delle origini del perché allo schermitore convenga assumere una determinata posizione corporea oppure effettuare una determinata azione con il proprio braccio armato.

            In buona sintesi un tentativo di rispondere compiutamente ad una domanda che da sempre ha incuriosito l’uomo che desidera indagare a fondo la realtà in cui è immerso: perché.

            In fin dei conti l’approfondimento di un certo tipo di conoscenza è senz’altro foriero di maggiore consapevolezza, che, a sua volta, può innestare processi sia per migliorare un certo tipo di prestazione, sia per far nascere un rapporto del tutto speciale con la materia, la passione per essa.

            Il passo poi è breve: come si fa a non innamorarsi di una disciplina che riesce a coniugare Fisica e Geometria, che stimola la conoscenza ad optare tra i vari differenti strumenti a disposizione per attuare lo scontro sulla pedana, che consente di personalizzare il tuo modo di essere schermitore; una perfetta sintesi tra oggetto, i dettami di un trattato, e soggetto, la sensibilità e le conseguenti scelte personali dell’atleta.

            Fortunato è lo schermitore!

                                                                                                                  M° Stefano Gardenti

 

Firenze nell’ ottobre del 2024

 

 

Origini e trasposizione sportiva

 

            Il perché l’uomo abbia creato la teoria schermistica è, ahimé, alquanto noto: il concetto di aggressività che domina in Natura e in specie nel regno animale ha indotto da sempre le prime forme di homo ad utilizzare vari strumenti per difendersi, ma evidentemente anche per attaccare i suoi simili; in effetti, onestamente, l’etimologia del termine scherma nel suo  significato di “schermo-difesa” appare alquanto parziale ed edulcorata.

            Comunque ecco che nasce l’esigenza di brandire un attrezzo e di gestirlo al meglio nel due opzioni attacco-difesa.

            Sinergico e molto interessante è poi il rapporto che nella Storia si viene a delineare tra qualità dell’attrezzo e tipo di tecnica del suo uso; ad esempio come fare a non pensare al passaggio, complice la scoperta della polvere da sparo,  da strumenti applicati con grande forza fisica, tipo Excalibur o la Durlindana, alle agili armi dei Moschettieri del re di Francia?!

            Parimenti ineludibile è la considerazione sulla dimensione etica che si viene a configurare nello scontro all’arma bianca grazie alla figura del Cavaliere e dell’Aristocratico: correttezza e stile informano il pur cruento scontro.

            Ecco da qui spiegata la tendenza dello schermitore contemporaneo a superare il moderno concetto di sportività e approdare, talvolta, al “touché” cioè al volontario riconoscimento di avere subito la stoccata.

            L’avvenuta trasposizione sportiva della Scherma, a mio parere, è dovuta a due fattori: il primo di natura storica in quanto l’uso delle armi, oltre che rappresentare una necessità, era considerato come un vero e proprio corredo formativo della persona; il secondo consistente nel fatto che, edulcorata rispetto alla cruenta realtà, la scherma veniva a costituire un affascinante e divertente intrattenimento.

            Entrando nello specifico, come sappiamo, le tre attuali specialità hanno precise origini e ragion d’essere: la spada è l’erede del combattimento di punta, la sciabola di quello di taglio, mentre il fioretto non è altro che uno strumento didattico congetturato per insegnare i dettami ed i principi schermistici ai neofiti.

            In ultima analisi nell’attuale schermitore, dotato di sofisticati sensori e rassicurante equipaggiamento, in verità si può ancora scorgere Guardalaluna, lo scimmione pre-umano che nell’indimenticabile film 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick brandisce un grosso femore per aggredire un suo sventurato simile.

 

 

Tecnica schermistica

 

            Ed ora addentriamoci nella selva di indicazioni posturali dell’intero corpo o di sue singole parti, nel rapporto tra i segmenti–lama dei due contendenti, nella variazione della possibile distanza tra di loro, nella distinzione tra propria iniziativa e annichilimento di quella dell’avversario  …entriamo nel mondo platonico delle idee della scherma alla ricerca del loro archè.

            In altre parole andiamo alla scoperta delle necessità e delle motivazioni che per essere soddisfatte producono le coordinate di una certa posizione del corpo assunta necessariamente dallo schermitore; come parimenti per arrivare a bersaglio la lama percorra determinate traiettorie e si relazioni a quella dell’avversario, intervenendo su di essa con varie modalità di contatto.

            Tramite questa, spero interessante, attività di salmoni tecnici cerchiamo di risalire a ciò che induce lo schermitore ad agire sulla pedana in un determinato modo piuttosto che in un altro, sottolineando il fatto che talvolta, indotto dalle contingenze di una determinata situazione, il tiratore può percorrere strade tecniche diverse per perseguire i suoi fini, siano essi quelli di giungere a toccare l’antagonista oppure, all’opposto, quelli di difendersi da un suo attacco.

            Credo e spero che questa attività di ricerca serva a meglio comprendere e quindi ad applicare con più consapevolezza i numerosi e vari dettami dei trattati e, in parallelo, a stupirci sempre più di questa nostra disciplina che fonde indissolubilmente in un tutt’uno scienza ed arte, arte e scienza.

            A noi la fortuna di cercare di applicarla al meglio sulla pedana e di studiarla nei suoi infiniti anfratti.

 

 

Conformazione delle armi sportive

 

            L’ovvia ratio sportiva è quella di mettere tutti gli atleti su un’immaginaria identica linea di partenza; laddove essi si avvalgano di un attrezzo è quindi giocoforza normalizzare quest’ultimo, ovvero dettare precise norme circa il suo peso, lunghezza, forma, dimensione di ogni singola parte e quant’altro.

            Divertiamoci a smontare le nostre armi.

            La spada con i suoi 750 grammi massimi è quella più pesante perché è chiamata a svolgere statisticamente un gioco più ruvido e soprattutto d’incontro; il fioretto e la sciabola con i loro 500 grammi massimi, sempre statisticamente, contano maggiormente sulla destrezza e la velocità, entrambe supportate dalla Convenzione che sollecita appunto una specie di dialogo indotto tra i due ferri.

            Le lame delle tre specialità hanno una lunghezza massima (come se qualcuno volesse rinunciare in partenza anche ad un solo loro centimetro!) e una loro sezione: quella del fioretto è quadrangolare e alquanto generica appunto per la funzione che è chiamata ad espletare; invece quella della sciabola, per la sua ratio storica, deve presentare una sezione triangolare, che serve in attacco a colpire di taglio e nelle parate a sbarrare fisicamente il passo alla sciabolata dell’antagonista carica di energia – poi nel suo ultimo terzo superiore, dalla parte opposta al taglio, diventa controtaglio, caratterizzato dalla sezione quadrangolare e più sottile, atto ad esempio a tirare dal basso in alto il celebre tempo al braccio dell’attaccante che colpevolmente si scopre per vibrare la sciabola; nella spada la lama è triangolare e più rigida rispetto a quella del fioretto per il motivo di facilitare, senza eccessive fluttuazioni, la precisione di punta che magari deve colpire i ridotti bersagli avanzati della mano e dell’avambraccio. Poi anche in questa specialità è sopravvenuto il cosiddetto fuetto che è andato ad alterare certe storiche caratteristiche tecniche.

            Ma passiamo alle punte: cominciamo da quella della sciabola che si risolve in un ripiegamento della stessa lama, il cosiddetto ricciolo; per lo sporadico suo utilizzo e per limiti della tecnologia attuale non è richiesta una soglia di applicazione di forza una volta arrivata sul bersaglio, basta il semplice contatto; diversamente nel fioretto e nella spada dove, mantenendo un rapporto tra peso complessivo delle armi, è richiesto invece di vincere la resistenza della molla presente nella bussola, superiore ai 500 grammi nell’uno e superiore ai 750 grammi nell’altra. Lo stesso diametro della punta è maggiore nella spada, sia per il fatto di poter colpire più facilmente gli esigui bersagli avanzati, sia per la stessa filosofia della specialità che statisticamente porta maggiormente ai colpi di incontro; nel fioretto invece si tira solo al bersaglio grosso e la Convenzione induce maggiormente al dialogo tecnico dei ferri.

            Siamo arrivati alle cocce: nel fioretto la ratio più importante è quella di proteggere fisicamente la mano dello schermitore dai pericolosi involontari e comunque infruttiferi colpi di punta; di una certa utilità è anche il coacervo che si può attuare tra lama e coccia in sede di effettuazione di un legamento e/o di una parata.  Invece nella sciabola e soprattutto nella spada le funzioni delle cocce sono molteplici: come nel fioretto proteggere l’incolumità della mano, utilizzare il combinato disposto lama-coccia per operare sul ferro antagonista, ma fondamentale soprattutto l’uso per proteggere dal colpo valido i propri bersagli avanzati.

            Eccoci alla parte terminale dell’arma, il manico, che costituisce il contatto tra attrezzo e schermitore: la storia ha già pensionato certi tipi di manico come il pur molto estetico italiano e quello francese almeno per quanto riguarda la specialità del fioretto. Trionfa oggi ovunque il cosiddetto manico anatomico-ortopedico, con una buona residua schiera di manici francesi nella spada, soprattutto femminile, oltre ad una certa moltitudine di manici misti. Anche in questo settore ci sono minuziose regole di misura per il solito fine equalizzatore.

            Ma la scelta del manico circa la specialità della spada, ci induce a fare alcune importanti considerazioni in quanto diverse sono le ratio che portano lo schermitore a tirare con un anatomico o un francese.

            Se fosse la comodità e la qualità della presa tutti impugnerebbero indubbiamente l’anatomico, invita a pensarlo anche lo stesso termine; è bene ricordare invece che la dicotomia anatomico-francese comporta, come sovente accade nella scherma, vantaggi e svantaggi, per cui è utile almeno esserne al corrente.

            Nell’anatomico la mano si alloggia in modo più confortevole, ma proprio in seguito agli anfratti fisici che ospitano le varie dita certi movimenti importanti del polso risultano alquanto ridotti, si pensi ad esempio quando è necessario ridurre la lunghezza del braccio armato in occasione del corpo a corpo; inoltre, questo soprattutto per i neofiti, c’è il pericolo di un uso indifferenziato delle dita e soprattutto dell’impiego di una forza eccessiva con il risultato di rendere più lenti e soprattutto meno agili i movimenti del braccio armato.

            Il francese non offre alcun genere di appiglio specifico alle dita, ecco perché è denominato anche manico liscio, ed espone anch’esso i neofiti ad un’erronea presa a piena mano; tuttavia è molto utile quando è necessario spezzare il proprio polso (corpo a corpo, opposizioni e contrazioni) e soprattutto permette allo spadista di usarlo come vera e propria protesi per allungare e non di poco la lunghezza del proprio braccio armato e, in una specialità dove la lunghezza si traduce in tempo d’impatto, non è poca cosa. Buon ultimo il fatto prettamente tattico ed anche strategico di poter alternare un gioco tecnico basato alternativamente su un’impugnatura a piena mano oppure a mano allungata.

            A questo punto, consentitemi di sottolineare come numerose, sottili ed importanti siano le ratio che sovraintendono il solo rapportarsi all’arma.

 

 

Modo d’impugnare l’arma

 

            Essendo la scherma olimpica caratterizzata da armi leggere, il contatto tra la mano dello schermitore e l’arma stessa deve essere informato alla massima leggerezza e mobilità.

            La postura della mano è in genere parallela alla superficie della pedana, più ricorrentemente nella spada dove, costituendo bersaglio valido è opportuno farla rifugiare dietro la proiezione della coccia; meno necessariamente nel fioretto dove attualmente si preferisce tenere l’arma discosta dalla normale linea dove potrebbe essere più facile preda del lavoro sul ferro effettuato dall’antagonista.

            Addirittura le dita dell’arto hanno notoriamente funzioni diverse: l’indice sorregge, il pollice serra dall’alto, il medio spinge verso l’interno, l’anulare ed il  mignolo aiutano la presa.

            Come ricordato in precedenza, l’attuale manico più diffuso nel mondo è quello cosiddetto anatomico, che in effetti prevede uno specifico alloggiamento per ogni dito; a differenza di quello francese favorisce una migliore presa, ma espone al pericolo di un utilizzo indifferenziato delle dita e soprattutto all’impiego di una forza eccessiva rispetto a quella necessaria.

            Nella sciabola il tipo manico è unico e quindi nel tempo non si ci sono state vere e proprie scuole a far prediligere un particolare modo di tirare; inoltre, notoriamente, la mano è inclinata di qualche grado in alto rispetto alla superficie della pedana: in questo caso la ragione è quella di configurare una postura dalla quale sia più veloce andare ad intercettare le sciabolate vibrate dall’avversario.

            Comunque il giusto prodromo per poter effettuare con la propria lama movimenti  veloci, agili e differenziati è quello di gestire in modo ottimale il rapporto mano–manico; ne costituisce ovviamente una conditio sine qua non.

            Chi ha tirato di scherma per un sufficiente numero di anni è in grado di testimoniare che il celebre sentiment du fer non è un mito della scherma, ma invece uno stupendo ed efficace status al quale si giunge dopo anni di esercizio e di applicazione: l’arma si fonde con l’arto e viene a costituire un unicum, il cosiddetto braccio armato.

            Altro concetto importante, un’altra ratio del migliore utilizzo di quest’ultimo, è la mobilità del polso: in effetti spezzandolo si riesce a creare il cosiddetto angolo al polso, magica posizione che permette la tutela di una determinata linea d’attacco e/o difesa; la lama avversaria più avanza più diverge da tale linea, mentre la punta della nostra, indirizzata verso il corrispettivo bersaglio antagonista, arriva indisturbata felicemente sulla sua meta, o almeno dovrebbe.

            In ultima analisi, la conformazione dell’arma e la sua relativa migliore gestione viene a costituire l’origine e la natura del modo più opportuno di impugnarla: un’arma leggera viene a costituire la ratio fondamentale del suo utilizzo nella scherma sportiva attuale.

 

La pedana

            Tutto ha una sua specifica ragion d’essere: in effetti ci siamo mai chiesti il  perché i nostri assalti o match che siano li disputiamo su quel particolare spazio agonistico che chiamiamo pedana? Se la nostra disciplina è storica, perché allora non tiriamo le stoccate spostandoci liberamente a destra o a sinistra, non dico salendo o scendendo le scale come vediamo fare nei film cosiddetti di cappa e spada?!

            Tutto ovviamente dipende dall’ambito sportivo: è necessario che un arbitro diriga l’incontro e quindi si trovi sempre nelle migliori condizioni per poter osservare i movimenti dei due tiratori; si potrebbe obiettare che nel pugilato  il ring ha forma quadrata, ma nella scherma in principio, quando ancora non era stata realizzata la segnalazione automatica delle stoccate, l’arbitro, appunto denominato presidente di giuria, doveva necessariamente relazionarsi con quattro assessori che a vista verificavano l’esito dei colpi e d’altra parte c’erano anche i vincolanti cavi dei rulli alle spalle dei tiratori. Ecco che, per evitare grovigli di fili e la convulsa deambulazione di cinque persone che avrebbero dovuto spostarsi a seguito di repentini spostamenti degli atleti, si è logicamente pensato all’attuale forma geometrica della pedana.

            Oggi la tecnologia, costi a parte, sarebbe in grado di rendere molto più libero lo spostamento degli atleti, magari configurando la pedana come un circolo di un dato diametro; come in un celebre film di 007 …mai dire mai! Molto interessante sarebbe comunque vedere la portata di questa innovazione rispetto ai dettami della tecnica; indubbiamente ne beneficerebbe lo spettacolo, avvicinando i due schermitori alla realtà storica.

 

 

Prima posizione

 

            Nella costruzione di un sistema logico da un qualche principio primo si deve pur procedere; occorre un punto di partenza convenzionale, un primo mattone sui cui poter edificare e sviluppare un impianto strutturato. Ed ecco, appunto, la prima posizione.

            Sappiamo ovviamente come e dove posizionarci: il fine è che dobbiamo celebrare una breve cerimonia di apertura del confronto sulla pedana; questo sia nelle odierne competizioni sportive, ma anche, in antichità, prima dell’apertura delle ostilità.

            Una posizione, per onestà intellettuale, solo da bella statuina dei trattati, che poi nella realtà ci si guarda bene da applicare, salvo magari nella prima gara da esordiente o al massimo in un altro paio.

            Una forma che, comunque, già comincia ad abbozzare alcuni principi fondamentali come il rispetto della linea direttrice e la postura del corpo reciprocamente profilato.

 

 

 

Saluto

 

            Il saluto con l’arma dello schermitore moderno è una succinta rappresentazione scenica che rievoca il principio del duello cortese: l’inizio delle ostilità doveva essere di comune accordo e non una subitanea sopraffazione.  

            Ovviamente ai nostri tempi ci pensa l’arbitro a condurre lo scontro, ossequiando le disposizioni del Regolamento Tecnico della Federazione Internazionale.

            Come sappiamo il braccio armato, non completamente disteso, viene indirizzato, a mo’ di saluto, verso l’avversario e verso eventuali assessori e pubblico posti alla sinistra e alla destra di ciascuno schermitore.

            Una precisazione a questo proposito quantomeno doverosa: l’arma impugnata saluta ovviamente sempre in avanti dove si avvicendano maestro, avversario o compagni di sala per gli esercizi; si dovrebbe invece astenere da altri movimenti se sono assenti altre persone. In altre parole il saluto non è un meccanismo formale a se stante, ma deve relazionarsi logicamente alla situazione di fatto, che appunto può contemplare o meno la presenza di altri elementi durante il combattimento sulla pedana.

            A fine lezione, assalto o serie di esercizi in sala, si ripete la stessa cerimonia di inizio: è stato detto argutamente che l’attività con l’arma bianca avviene sempre tra due parentesi cortesi.

            Si evidenzia un’ultima importante considerazione: al termine del match, il Regolamento impone agli atleti, oltre alla ripetizione del saluto con l’arma fatto all’esordio, anche una stretta di mano o quantomeno un diverso contatto corporeo che comunque sottolinei il rapporto anche umano tra i contendenti.

            Inserito in questa mini celebrazione è presente anche un’importante verifica di ordine pratico della massima importanza: la prova del corretto funzionamento del materiale atto alla segnalazione automatica delle stoccate. Quindi elementi di carattere formale si uniscono ad elementi di natura squisitamente empirica.

 

 

Guardia

 

            L’a-voi dell’arbitro apre le ostilità, al pari del trillo di un fischietto, dello spegnimento di una serie di semafori rossi o della detonazione di una pistola.

            Lo schermitore deve essere già assiso in guardia, che, come del resto suggerisce la stessa etimologia del termine, lo mette nelle condizioni migliori per affrontare l’avversario.

            Le ratio della guardia sono numerose e variegate: – mantenere in economia muscolare una postura corporea in attesa degli eventi di pedana – avere un’eguale possibilità di avanzare al meglio o al contrario di retrocedere – avere la potenzialità di sviluppare un veloce avvicinamento all’avversario per raggiungere un suo bersaglio – assumere una posizione corporea tale da offrire il minor bersaglio possibile al contendente.

            In dettaglio:

– il peso corporeo, basato sul baricentro ripartito equamente sugli arti inferiori, serve a garantire la bivalenza di spostamento in avanti e all’indietro

– il giusto compasso dell’apertura delle gambe serve ad immagazzinare prima e a disporre poi dell’energia potenziale muscolare necessaria all’attività degli arti inferiori.

– la giusta posizionatura dei piedi rispetto alle ginocchia è utile sia alla migliore realizzazione delle basi strutturali dello schermitore, sia alla migliore deambulazione sulla pedana, sia al miglior trasferimento finale del corpo nella realizzazione dell’affondo

– la corretta postura delle spalle e della testa conferiscono miglior armonia all’insieme del corpo: le prime perché sono in diretto rapporto con il braccio armato che altrimenti si inclinerebbe, salvo dispendiose compensazioni muscolari, significativamente in basso o in alto;  la seconda perché potrebbe produrre, se erroneamente inclinata, un dannoso irrigidimento delle stesse spalle

–  la giusta inclinazione del busto, indotta anche dalla posizione delle gambe, è utile, delineando il corpo, ad offrire minor bersaglio all’avversario, ma non deve essere del resto esagerata perché altrimenti andrebbe ad inficiare la stessa manovrabilità del braccio armato

– la funzionalità del braccio non armato, che, a prescindere dal teorico posizionamento ad arco, deve essere in grado di contribuire nelle varie contingenze sia alla propulsione del colpo in avanti, sia al complesso riequilibrio del corpo in occasione del ritorno in guardia

– il braccio armato, buon ultimo, costituisce l’apice del sistema-schermitore; impugnando l’attrezzo-arma, svolge la funzione di portare il colpo e, per contro, di difendersi da quello dell’antagonista. L’ovvia ratio è quella di metterlo sempre nelle migliori condizioni spaziali e di equilibrio per poter svolgere il suo ruolo fondamentale.

            Ecco elencate tutte le ragioni che condizionano la nota postura di guardia, come si può osservare su un qualunque trattato tramite un disegno o una fotografia.

 

 

Il braccio armato

 

            Ed eccoci a quello che appare l’attore protagonista dello scontro sulla pedana: il braccio armato; ma non dobbiamo farci trasportare da giudizi troppo immediati e superficiali.

            Indubbiamente questa parte corporea è quella che gestisce il nostro strumento-arma, più specificatamente è la mano armata che in verità lo impugna: è il pugno che per esempio esegue una felice battuta e colpo che giunge a bersaglio oppure esegue una perentoria parata seguita da una efficace risposta.

            Sì e vero; ma se il corpo non produce un saettante affondo nel caso dell’azione semplice sopracitata oppure se la misura nel caso della parata è errata, il solo braccio armato non porta alla stoccata.

            Piuttosto si evidenzia il fatto, già citato in precedenza, che la punta o la lama dello schermitore non sono altro che l’apice di un sistema, organizzato e finalizzato per prevaricare l’avversario di turno come evidenzieremo nel successivo paragrafo.

            Una stoccata che raggiunge il bersaglio è in verità il combinato disposto del rapporto di tutta una serie di movimenti corporei, di distanza dal bersaglio e di tempistica esecutiva; movimenti che, quasi sempre, hanno una loro anima, una logica precostituita.

            Questa è la ratio globale della nostra disciplina.

            Specifiche qualità del braccio armato saranno poi la velocità di spostamento e la precisione di colpo: nel primo caso si tratterà di anticipare la reazione dell’avversario, nel secondo di chiudere il fraseggio suggellando la stoccata vincente.

 

 

Deambulazione sulla pedana

 

            Lo spostamento in avanti e all’indietro dello schermitore su quell’esiguo corridoio che è la pedana è affidato principalmente al meccanismo indotto che deriva dalla postura di guardia: se avanza deve muovere per primo il piede avanti, se arretra quello dietro. La ragione è alquanto ovvia: altrimenti le gambe, sovrapponendosi, nella posizione di guardia renderebbero lo spostamento più lento e in parallelo tenderebbero ad influenzare quella tendenziale stasi del busto, che facilita non poco la gestione del braccio armato.

            Esiste, com’è noto, anche il cosiddetto passo avanti-indietro incrociato, ma è alquanto raro vederlo sulle pedane ed è comunque relegato ad estrema ratio quando le gambe, non essendo piegate, non possono sviluppare la più convenzionale deambulazione.

            Spesso è utilizzato anche il balzo che lascia inalterata la posizione reciproca delle gambe poste in guardia: all’indietro come veemente arretramento di fronte ad un arrembante attacco dell’avversario – in avanti come prodromo dell’affondo in un attacco cosiddetto saltato.

            La ragione che sottende lo spostamento detto patinato è che il corpo non è soggetto a particolari sollecitazioni muscolari e quindi è assicurata una maggiore precisione del portamento dell’arma – diversamente il balzo tende a mutare l’assetto dei delicati equilibri che caratterizzano una buona guardia ed influenzano non poco la qualità del lavoro svolto dal braccio armato. Ad esempio un attacco saltato male si associa ad un’azione di finta dritta circolata e cavazione, mentre concorre all’aggressività di una battuta e colpo.

            Tutto nella teoria schermistica ha una sua precisa ragion d’essere, una ratio di fondo.

 

 

Sistema – schermitore

 

            Se dovessimo sintetizzare tutte le ratio presenti nelle ultime pagine, facilmente arriviamo al concetto di sistema – schermitore, ovvero al concetto di unità funzionale per sviluppare attacco e difesa al fine di uscire vittoriosi dal confronto sulla pedana con l’avversario.

            Potremmo anche parlare di ratio delle ratio, cioè dell’armoniosa summa di tutti i precedenti dettami logici che stanno alla base della prestazione dello schermitore.

            In buona sintesi sistema-schermitore sta a significare: ogni parte corporea, chi più chi meno, può e deve dare il suo contributo all’attività di pedana, nel senso di armonizzare sia funzionalmente che temporalmente l’apporto di ogni singola componente dell’atleta: in effetti ogni errore di postura o di scelta di tempo proporzionalmente limita o inficia la sua migliore prestazione; Menenio Agrippa docet!

            E’ doveroso segnalare che il concetto che precede riguarda, per ora, solamente l’efficienza dell’atleta dal punto di vista della guardia: in effetti, mano a mano che ci avventureremo nelle successive pagine dell’ipotetico trattato che abbiamo eletto a nostra guida, si evidenzieranno tante altre tessere che alla fine completeranno la complessa figura del sistema-schermitore; parlo della capacità di gestire al meglio la distanza che ci separa dall’avversario, sia per raggiungerlo con un nostro attacco o, all’opposto, per frapporre tra noi e lui una zona di sicurezza difensiva – parlo della capacità di rapportare i movimenti del nostro braccio armato rispetto a quello dell’antagonista, ancora sia in attacco che in difesa – parlo del cogitare il da farsi e parlo infine di come gestire al meglio lo sviluppo del match.

            Come appare subito evidente la prestazione fisica si fonde con quella di natura mentale: lo schermitore, torno a dirlo, è un’unica unità funzionale, appunto un sistema-schermitore.

 

 

Raggiungimento di un bersaglio dell’antagonista

 

            A parte specifiche dinamiche situazionali che possono portare i due contendenti a stretta misura, cioè a poter vibrare il colpo con la sola distensione del braccio armato, il più delle volte chi sferra un attacco è assillato dall’annullare la misura di sicurezza che in genere lo separa dall’avversario.

            Intanto è da ricordare che la postura di guardia trova una delle sue maggiori ragion d’essere proprio nel sopperire a questa imperiosa necessità: in effetti, se lo schermitore si ponesse davanti al suo avversario ponendo i due piedi alla stessa distanza, disporrebbe di un potenziale avvicinamento minore rispetto alla posizione profilata con il piede sotto il braccio armato posto nella direzione dell’antagonista stesso.

            In secondo luogo è necessario avere a disposizione una certa quantità di energia muscolare per imprimere al movimento di avvicinamento la miglior dinamica possibile: ecco perché lo schermitore nella postura di guardia flette le gambe, incamerando, a seconda delle contingenze, la più idonea quantità di energia potenziale, che sarebbe invece nulla ad arti distesi.

            Importante, direi fondamentale, è anche la giusta ripartizione degli equilibri corporei tenuta in assetto di guardia: baricentro equamente ripartito tra le due gambe, busto eretto e spalle in linea sono condizioni essenziali, direi ancora una volta la giusta ratio, per produrre la migliore proiezione della propria punta o lama in avanti verso il bersaglio avversario e planare verso la postura di affondo, ugualmente caratterizzata da specifici equilibri fisici.

            Come sappiamo la meccanica di traslazione del corpo si basa su uno specifico continuum, una specie di moto uniformemente accelerato: inizia il braccio ad allungarsi, trascinandosi dietro il corpo che si profila e si allunga sospinto dalla gamba dietro che funge da base di lancio ed anche il braccio dietro concorre ad incrementare la spinta e ad equilibrare il corpo. La ratio di questo iter è quella di produrre una calibrata forza di penetrazione che riesca a mantenere, nel veemente spostamento di tutto il corpo, quella precisione, soprattutto di punta, necessaria al felice esito dell’impatto sul predestinato bersaglio dell’avversario.

            Tutto ciò viene a configurare quello che la teoria schermistica denomina affondo o, forse più plasticamente, allungo.

            Va da sé che talvolta lo schermitore faccia precedere l’affondo da uno o più passi in avanti al fine di compensare un subitaneo arretramento dell’antagonista. In questo caso, da vero economo del tempo, approfitta del passo per allungare in contemporanea il suo braccio armato; la ratio sta appunto nel risparmio di un tempo tecnico nell’espletamento del colpo: non passo, linea e affondo, ma passo-linea e affondo.

            Ma come ben sappiamo l’allungo non costituisce l’unica metodologia per l’accostamento veloce all’avversario: esiste anche quella della frecciata, sicuramente più nota col francesismo di flèche.

            Questa ha tutti i connotati di un gesto estremo: in effetti mentre dall’affondo si può effettuare il ritorno in guardia e quindi dirimere lo scontro se non c’è stata alcuna stoccata, la frecciata è un non ritorno, anzi è una fuga a gambe levate alle spalle dell’avversario se la propria stoccata non è andata a segno.

            La meccanica in questo caso si basa in uno sbilanciamento controllato in avanti caratterizzato dal fatto che pur per un breve istante nessun piede dello schermitore in volo tocca terra; quindi un gesto estremo che impegna al massimo l’apparato muscolare dell’atleta e la sua capacità di equilibrio.

            La ratio della frecciata risiede nella sua capacità di singolo gesto tecnico di coprire all’incirca la stessa distanza altrimenti affidata al passo-avanti-affondo di cui abbiamo parlato appena poco sopra: una meccanica quindi semplice rispetto ad una più complessa, comportante un significativo risparmio di tempo.

            Anche in questo caso, come a suo tempo abbiamo sottolineato in occasione dello spostamento sulla pedana circa il passo patinato rispetto a quello saltato, è consigliato un diverso impiego dell’affondo e/o della frecciata in funzione del tipo di azione da svolgere: il primo potrà supportare un loro maggior tasso tecnico, mentre la seconda, proprio a seguito del grande impegno muscolare, produrrà i suoi migliori risultati realizzando soprattutto le cosiddette azioni semplici o al massimo quelle di una sola finta.

            Ancora una volta quindi diverse soluzioni tecniche a disposizione dello schermitore esperto, che quindi, tenendo conto delle loro varie ratio, potrà scegliere quelle più idonee alla situazione di pedana.

 

 

Atteggiamenti con l’arma

 

            Com’è noto il potenziale rapporto tra le lame è subordinato alle loro reciproche posizioni; di fondamentale importanza è quindi l’ubicazione di partenza assunta dallo schermitore: in linguaggio schermese si parla in effetti di concedere o meno il proprio ferro.

            In questo primo contatto con la realtà-avversario è della massima importanza ravvedere le singole ratio che sottendono e differenziano un atteggiamento della propria lama rispetto ad un altro.

            Se mantengo l’arma in linea di guardia (dizione per distinguere tale posizione da quella di arma in linea come denominato dai trattati), ovviamente la metto a disposizione delle possibili iniziative dell’avversario, quindi di una sua battuta o di un suo legamento.

            Se invece distolgo la mia arma dai sottostanti bersagli, altrettanto ovviamente gli rendo possibile indirizzarci sopra un suo colpo.

            Nell’un caso e nell’altro si tratta di mercanteggiare gli aspetti della tecnica: l’arma tenuta sui propri bersagli è nella migliore posizione per tutelarli, ma al contempo, come abbiamo appena sopra detto, si espone all’azione dell’antagonista – differentemente l’arma tenuta lontana dal raggio d’azione di quella avversaria ci preserva dalle sorprese, ma la vistosa controindicazione è che uno dei nostri bersagli risulta sguarnito di difesa preventiva.

            Parimenti è il legamento, che tenta di instaurare una pur fugace situazione di dominio della lama avversaria: si cerca sì di trovare una base di appoggio da cui sferrare un proprio attacco, ma simultaneamente dobbiamo abbandonare la posizione mediana del nostro ferro sui sottostanti bersagli e andare alla ricerca di quello antagonista e, ciò facendo, lasciare sguarnita di difesa una porzione del nostro corpo; si suggerisce addirittura all’avversario una cavazione in tempo. I trattati dell’800 non a caso denominavano il legamento come “invito di legamento”.

            Nella veloce scherma dei nostri giorni, il legamento assume sempre più la natura di posizione teorica e fa risaltare la cosiddetta presa di ferro e colpo, ovvero il combinato disposto di una cattura del ferro avversario seguita in tempi ridottissimi magari da un’azione di filo.

            In questo geometrico gioco delle parti lo schermitore comunque è in grado di costruire un sistema di presunzioni: ad esempio un invito o un’arma tenuta in linea possono talvolta, anzi quasi sempre, nascondere un’imboscata tecnica; un legamento un po’ più prolungato, un controtempo.

            Essere a conoscenza di tutte queste eventualità non solo è interessante da un punto di vista teorico, ma è anche molto utile nella conduzione del match sulla pedana.

            A questo proposito mi permetto ricordare che sul sito passionescherma.it è possibile scaricare a titolo gratuito un mio lavoro specifico su questo aspetto: L’errore, le controindicazioni e le opportunità nell’applicazione della tecnica schermistica.

 

 

Le coordinate del braccio armato

 

            Il braccio armato staziona davanti al bersaglio più esteso, cioè al tronco del corpo; questo sempre meno nella specialità del fioretto ed invece ancora nella sciabola e nella spada per la nota presenza dei cosiddetti bersagli avanzati.

            In effetti attualmente anche nel fioretto domina la guardia di terza, che come nella spada e nella sciabola, tutela per la sua stessa posizione i bersagli esterni; evidentemente, se sulle pedane domina questa impostazione tecnica, gli schermitori devono trarne dei benefici: in effetti non si concede il ferro alla costruzione d’attacco dell’avversario e, mutando spesso la posizione, non si danno precisi riferimenti spaziali.

            In second’ordine vengono ritenute di conseguenza le controindicazioni: il punto spaziale da cui parte l’eventuale movimento di attacco-difesa risulta più lontano rispetto a quello di arma in linea di guardia, per cui, allungando il percorso, sembra che si metta un orpello alla propria velocità – la precisione di punta, compiendo il più delle volte un arco di cerchio, risulta di più difficile attuazione – il ricorso quasi sistematico al fuetto rende, rispetto alla stoccata lineare,  più difficoltoso l’impatto sul bersaglio tale da attivare la segnalazione valida del colpo.

            Evidenzio che qui io esamino la materia soprattutto da un punto di vista teorico e quindi vado doverosamente un po’ controcorrente rispetto alla realtà di pedana.

            In prospettiva difensiva la posizione più vantaggiosa dovrebbe essere quella tendenzialmente centrale in quanto equidistante rispetto ai punti periferici; posizione dalla quale d’altra parte il tragitto è minore per giungere alla tutela dei noti bersagli citati da ogni trattato: petto, ventre, esterno alto e fianco; la schiena, prima quasi irraggiungibile grazie alla rigidità delle lame ed oggi oltremodo esposta al fuetto, si abbia come messaggio non pervenuto.

            Quindi da sempre si parla di quattro punti cardinali per l’attacco-difesa, anche se in realtà, essendo il bersaglio del tronco molto esteso, non ci sono solo punti standard da colpire: ad esempio il confine tra una parata di prima e di quarta è alquanto labile. Ma la teoria schermistica è sui trattati molto teoria è affida al senso pragmatico dello schermitore la risoluzione dei suoi problemi pragmatici sulla pedana.

            L’argomento dei bersagli mi permette di approfondire un argomento solo accennato in un precedente capitolo: il pugno armato non solo si può spezzare per creare l’angolo al polso, ma può anche ruotare su se stesso alla ricerca della migliore condizione fisiologica per affrontare la specifica contingenza tecnica.

            Anche in questo caso i trattati parlano di quattro posizioni principali e tre intermedie, sottacendo le numerose altre varianti di uno o più gradi che si vengono a determinare nella pratica di pedana. La ricerca è sempre quella di rendere il colpo più naturale possibile al fine di aumentare le possibilità del suo successo, sia in attacco che in difesa.

            Questa è la ratio fondamentale e generica che domina in questo specifico settore della tecnica schermistica; qui il maestro te ne può parlare anche ripetutamente e farti esercitare in lezione, ma sei tu in pedana che registri e verifichi direttamente i frutti della tua applicazione.

 

 

Bersagli

 

            Intratteniamoci ora sulla sospirata meta dei sogni dello schermitore, cioè sul mondo dei bersagli.

            Se ne ravvedono di ogni tipo: bersaglio grosso, suddiviso in sottobersagli più esposti e visibili tipo il petto-ventre, più maliziosi tipo il fianco, più indifendibili tipo la schiena; ma anche avanzati come nella sciabola e nella spada, addirittura distinti in sopra-sotto-indentro e in fuori; aggiungiamo il piede e la coscia nella spada; nella sciabola arriviamo infine alla testa, considerando anche le due cosiddette figure laterali.

            Sembra che non ci sia altro che l’imbarazzo della scelta, ma poi ci si deve parametrare alle reazioni difensive dell’avversario.

            Battute a parte, anche su questo argomento possiamo fare alcune considerazioni sulla ratio.

            Innanzitutto quella più ovvia: i bersagli non sono solo porzioni della superficie corporea dell’antagonista, ma anche zone caratterizzate dalla posizione della sua lama. Sia sufficiente pensare che per tirare ad uno sciabolatore o ad uno spadista sul bersaglio esterno-alto prima dobbiamo distoglierlo dalla sua prudente guardia di terza. Un colpo deve quindi tener conto di questi due parametri, uno fisso, uno variabile.

            Una seconda considerazione attiene l’angolo d’impatto della punta sul bersaglio: l’importante è riuscire ad ancorare la suddetta punta sulla superficie in modo tale da poter esercitare la prescritta minima pressione sulla molla e dar luogo alla segnalazione del colpo.

            La migliore teorica configurazione è ovviamente quella di posizionare la lama perpendicolarmente al bersaglio, ma ciò può avvenire solo per l’esigua superficie del fianco; in tutti gli altri casi c’è la probabilità che la lama navighi e strisci sul bersaglio senza produrre l’effetto desiderato.

            Ecco che entra in gioco l’angolo al polso sul quale ci siamo intrattenuti poco sopra: soprattutto sui bersagli interni, che risultano alquanto inclinati dalla posizione defilata dell’avversario, è opportuno         inclinare il pugno armato verso l’interno per creare un migliore e fattivo impatto.

            Ecco che il fuetto, pur con la difficoltà della sua esecuzione, tramite la sua diversa modalità di contatto con il bersaglio aggira questo ostacolo.

            Come si vede anche in questo settore della tecnica fondamentali sono le ratio che soprassiedono all’effettuazione dei vari colpi.

 

 

Gestione della misura

 

            Portato a termine l’esame sui cosiddetti fondamentali, ovvero su posture e movimenti che prescindono dalla presenza dell’avversario sulla pedana, cominciamo ad affrontare gli aspetti relazionali, che ovviamente costituiscono il cuore della tecnica schermistica.

            Iniziamo con l’analisi della cosiddetta misura, ovvero delle diverse distanze in cui possono venire a trovarsi i due combattenti sulla pedana.

            Essa ha quattro ben precise ragion d’essere.

            La prima è quella di distanza di garanzia, ovvero lontananza dall’avversario tale che ottemperi alla salvaguardia dalle sue iniziative di avvicinamento; condizione quindi che è utile sia ad un’attività di studio delle sue caratteristiche tecniche, sia all’organizzazione e alla realizzazione, una volta percepito il suo attacco, di una compiuta attività di difesa.

            La seconda è quella di distanza da percorrere nell’espletamento di un proprio attacco per riuscire a raggiungere un bersaglio antagonista. A questo proposito nelle specialità della sciabola e della spada c’è una bipartizione a seconda che si prescelga un bersaglio avanzato oppure il bersaglio grosso del tronco corporeo.

            La terza, a differenza delle due precedenti che tendono ad avere un carattere di relativa stabilità, è invece contraddistinta dal fatto che lo schermitore cerca di intervenire attivamente sulla sua modificazione: aumentando la misura per sottrarsi o almeno smorzare l’impeto dell’attacco dell’avversario oppure accorciandola in modo tale da far percorrere meno strada alla propria punta o lama per riuscire a toccare l’antagonista.

            La quarta e ultima risiede nel fatto che la distanza che separa i due contendenti a seguito delle dinamiche di pedana viene a risultare inferiore alla lunghezza dei bracci armati, configurando quello che viene denominato combattimento ravvicinato o addirittura corpo a corpo. Anche in questo caso è possibile fare una bipartizione: o la situazione che si è venuta a creare è del tutto casuale oppure, almeno nell’ambito concesso dal Regolamento, è ricercata da perlomeno uno dei due contendenti, configurando in quest’ultimo caso una specifica ragion d’essere.

            Varie e variegate possono essere quindi le diverse ratio che sovrintendono alla spazialità del colpo, una delle dimensioni indispensabili affinché la stoccata vibrata possa raggiungere il sospirato bersaglio antagonista.

 

 

La linea direttrice

 

            In questo ambito la ratio è essenzialmente di carattere geometrico ed informa il modo migliore per entrambi i contendenti di disporsi uno di fronte all’altro sulla stretta pedana.

            Per gli schermitori geometri ricordiamo che questa linea immaginaria, parallela ai bordi della pedana, parte dal calcagno del piede dietro di uno, transita sull’asse del suo piede avanti per poi percorrere la stessa strada sugli arti dell’altro; inoltre questa condizione non si deve verificare solo in un certo istante T del match, ma deve essere osservata per tutta la durata delle ostilità nei vari spostamenti in avanti e all’indietro.

            Il motivo è che, rapportandosi fisicamente in modo reciproco, risultano facilmente raggiungibili sia i bersagli interni che quelli esterni.

            In effetti i due schermitori possono disallinearsi all’interno delle loro guardie e non certo all’esterno perché altrimenti si darebbero di schiena: così facendo vanno incontro a specifici inconvenienti: si negano i rispettivi bersagli esterni che diventano irraggiungibili – i bersagli interni, visti in una diversa prospettiva, si aprono e per la loro tutela richiedono un maggior percorso al braccio armato, allungando di conseguenza i tempi di realizzazione – la percezione della reale misura viene progressivamente alterata.

            Una diretta riprova di quanto detto si può rinvenire quando sulla pedana salgono un destro e un mancino, riproducendo quindi una situazione geometrica speculare: il mancino tende a spostarsi all’esterno del destro per renderlo più vulnerabile sulla linea del suo fianco, il destro in genere lo segue e si sposta anche lui oppure lo fa di sua iniziativa; conclusione gli assalti con questo tipo di contendenti si sviluppa da equilibristi sul bordo della pedana alle spalle del mancino.

            Ma la tecnica schermistica ancora una volta ci stupisce: contempla il cosiddetto spostamento a destra e/o a sinistra, almeno laddove la pedana conceda spazio; la ratio è quella di sorprendere l’avversario circa le linee d’attacco per cercare di mettere in difficoltà le coordinate geometriche della sua difesa.

            Non dimentichiamo poi le uscite in tempo basate sul concetto di schivata: non tanto la passata sotto, quanto piuttosto l’inquartata. La ratio è quella di ravvisare negli attacchi dell’avversario una marcata frequenza, se non proprio una monotonia, della scelta dei bersagli interni; quindi sull’attacco antagonista si abbandona, defilandosi all’indietro, la linea direttrice per evitare il sopravveniente colpo nemico e si lascia, magari con un utile opposizione del pugno all’indentro, la propria punta in linea e il gioco dovrebbe essere fatto.

 

 

La contraria

 

            Mi verrebbe da definirla come la ratio tecnica della ratio: come faccio a non citare la similitudine del gioco ad incastro?! La contraria è quell’applicazione tecnica che, rapportandosi in modo ottimale ad un’attività dell’antagonista, riesce ad inibirla totalmente.

            Il concetto è ambivalente: in attacco per inibire la difesa, in difesa per inibire un attacco; la contrapposizione, in teoria, si potrebbe prolungare all’infinito, non essendoci, fortunatamente, un colpo risolutore: in effetti il fraseggio si interrompe in presenza dell’errore di uno dei due contendenti.

            L’ideazione della contraria presuppone in prima battuta un’attenta osservazione delle caratteristiche tecniche dell’antagonista e un’attendibile  verifica delle sue abitudini comportamentali; in seconda battuta la ricerca nel proprio bagaglio tecnico del o dei movimenti atti a prevaricare quelli dell’antagonista. La sua  ratio risiede dunque in questa preliminare analisi e nel successivo reperimento dell’idoneo strumento tecnico adatto alla situazione di pedana. Da ciò deriva la fondamentale importanza sia della capacità di studio, sia della ricchezza delle proprie conoscenze tecniche.

            Una volta ideata la contraria si tratta di attendere pazientemente le migliori condizioni spaziali e temporali per poi cercare di realizzarla nel migliore dei modi; questo sia che si tratti di una propria determinazione d’attacco, sia che si aspetti lo svolgimento di quella dell’antagonista per poi inibirla come pre congetturato.

            Questa in teoria sarebbe la condotta da tenere sulla pedana; poi si capisce come una fallace esecuzione di un’azione di attacco o il farsi trovare impreparato in difesa possa invece portare a perdere la stoccata.

            Comunque più lo schermitore si affida alla logica, alla ratio delle cose, alla predisposizione di un piano, più innalza le probabilità di giungere al successo finale nel match; l’improvvisazione e l’istinto possono dare qualche frutto, ma la statistica sicuramente premia la premeditazione.

 

 

Le categorie delle azioni

 

            La sistematicità dominante nei trattati di scherma ha partorito una catalogazione in base alla natura e alla ratio delle varie tipologie di azioni.

            Iniziamo la carrellata:

–  Azioni a propria scelta di tempo e azioni in tempo: le prime sono quelle il cui inizio è a completa discrezione dello schermitore in quanto l’avversario mantiene per un tempo apprezzabile un identico atteggiamento con la sua arma – le seconde, al contrario, quando lo schermitore attende una particolare configurazione del ferro antagonista, ad esempio quando quest’ultimo transita da un tipo di invito ad un altro oppure quando pone la sua arma in linea.

            La ratio delle prime è che favorisce sì la libera iniziativa dello schermitore, ma al contempo favorisce anche l’attaccato che, essendo in stasi corporea, ha piena padronanza del suo corpo. La ratio delle seconde è che lo schermitore dipende sì dalla variazione di atteggiamento dell’avversario, ma quest’ultimo, appunto perché è in movimento, deve prima fermarsi e ritardare quindi la nuova configurazione corporea.

–  Azioni di prima intenzione e azioni di seconda intenzione: le prime sono quelle in cui lo schermitore si propone di colpire subito l’avversario, poco importa se con un’azione semplice oppure con un’azione composta dove deve eludere almeno una parata dell’avversario – le seconde sono invece quelle in cui lo schermitore concede all’avversario di portare a compimento la sua difesa, per poi costruirci sopra la sua stoccata finale vincente.

            La ratio delle prime è che la difesa dell’avversario viene totalmente prevaricata, ripetiamo o direttamente ad esempio con una botta dritta o indirettamente ad esempio con una finta dritta e cavazione. La ratio delle seconde invece fa realizzare all’attaccato la sua difesa, che però viene prontamente ribaltata a suo sfavore, ad esempio, visto le caratteristiche dell’antagonista, si cade artatamente su una sua parata per poi controparare e rispondere con una stoccata vincente.

–  Azioni di attacco semplici e azioni di attacco composte: le prime sono quelle nel cui sviluppo non è contemplata l’elusione di una o più parate dell’avversario – le seconde sono invece quelle in cui questa elusione è presente.

            La ratio delle prime risiede nel prevaricare completamente, anticipandola, la reazione difensiva dell’antagonista, in pratica quest’ultimo subisce e basta; tutto si basa sul concetto che la velocità dell’attacco non permetta alla difesa di innescarsi. La ratio delle seconde, nutrendo invece dubbi sulla capacità di battere in velocità l’avversario, si pone il problema di evitare la sua difesa col ferro.

–  Azioni fondamentali e azioni ausiliarie: le prime sono quelle azioni rubricabili a specifiche categorie sistematiche – le seconde sono quelle applicabili solo in specifiche situazioni con specifiche meccaniche.

            La ratio delle prime è generale e catalogabile, mentre quella delle seconde attiene solo singolarità tecniche.

            Quindi, come si può ben vedere, sussiste una variegata serie di tipologie di azioni a testimonianza delle numerose ratio che costituiscono la ricchezza, la complessità e la bellezza della tecnica schermistica.

 

 

Lo scandaglio ed il traccheggio

 

            Prima di avventurarci nel ricco giardino delle azioni schermistiche è necessario intrattenerci pur brevemente su due, per così dire, attività procedurali del braccio armato.

            Lo scandaglio trae la sua ratio dalla necessità dello schermitore di cercare di razionalizzare al massimo la sua attività di pedana, di non attaccare come si dice a testa bassa e di reperire invece nel suo bagaglio tecnico almeno nella fase di ideazione quelle azioni di attacco che gli possano assicurare il più alto tasso possibile di successo.

            Il meccanismo non può che risiedere nella simulazione più veritiera possibile di un certo tipo di attacco: si constata innanzitutto il tempo di reazione dell’avversario e poi le sue genuine reazioni difensive, cioè se si avvale della difesa col ferro magari associandola allo sciogliere misura o invece preferisce realizzare un’uscita in tempo.

            Ripeto i concetti già espressi nel capitolo dedicato alla contraria: osservazione delle reazioni dell’avversario, reperimento dell’azione più idonea a superare la sua difesa, attesa della misura e dell’istante più propizio, migliore realizzazione tecnica possibile.

            Come si vede tutto è costruito, o meglio dovrebbe essere costruito, sulle caratteristiche comportamentali dell’antagonista e quindi fondamentale risulta lo strumento dello scandaglio che cerca di mettere a nudo il modulo di reazione dell’avversario; esiziale il non utilizzarlo al meglio.

            Lo scandaglio è utile in attacco, mentre la sua versione difensiva è ovviamente costituita o da una conoscenza pregressa dell’antagonista oppure dallo storico che si sviluppa nel match; comunque anche in questo caso è di fondamentale importanza il riuscire a sintonizzarsi tecnicamente con l’avversario.

            Sempre in ottica offensiva intratteniamoci ora sull’altro strumento in titolo, il  cosiddetto traccheggio.

            La sua ratio risiede nel tentativo di dissimulare le modalità dell’attacco che si è già congetturato di svolgere; si tratta in pratica di cercare di distrarre l’attenzione dell’antagonista utilizzando una serie di attività motorie truffaldine: sia utilizzando tutto il corpo, ad esempio arretrando con più passi per poi partire di sorpresa in avanti – sia, più specificatamente, con movimenti del braccio armato, ad esempio eseguendo più volte una battuta per poi invece eseguire una presa di ferro e colpo oppure minacciare più volte un certo tipo di bersaglio per poi invece portare il colpo su quello opposto – oggi è invalso anche l’uso di saltellare nella postura di guardia per esercitare una specie di ipnosi percettiva sull’avversario, che invero percepirebbe meglio e prima una cosiddetta partenza da fermo.

            Un traccheggio dalla natura particolare potrebbe essere anche quello del partire sull’a-voi dell’arbitro, configurando una specie di dissimulazione temporale anticipata.

            Tutto utile e tutto logico, ma attenzione alle controindicazioni: – perché lo scandaglio ed il traccheggio siano credibili è necessario accorciare alquanto la misura di sicurezza e quindi, non marciando in controtempo, ci si potrebbe esporre ad un’iniziativa di attacco reale dell’avversario, addirittura dargli il tempo tecnico per ottimizzare la sua partenza – una scafata malizia potrebbe anche portare l’antagonista ad effettuare un falso tipo di risposta tecnica sullo scandaglio per poi invece realizzare un altro tipo di difesa, mettendo quindi in crisi tecnica il nostro attacco.

            Ma questo è il bello della scherma: quando si è sulla pedana tutto è possibile e tante volte il successo di una stoccata è affidato alla cabala.

 

 

Azioni di attacco

 

            Quando uno schermitore, rotti gli indugi, prende l’iniziativa e si prefigge di raggiungere un bersaglio dell’avversario, si parla di un suo attacco.

            Prima di come realizzarlo, credo sia interessante, per i fini che ci siamo ripromessi, di capire i perché.

            Si può attaccare perché il nostro carattere ci sollecita a farlo, ma questo aspetto intimistico non ci interessa.

            Si può attaccare perché tiriamo in un’arma convenzionale e ci fa gola il bonus della Convenzione che ci assegna la priorità nella ricostruzione dell’azione …sciabola e fioretto docent!

            Si può attaccare perché siamo costretti a farlo in quanto si approssima la fine del termine regolamentare di durata del match e siamo in svantaggio.

            Si può attaccare perché abbiamo trovato felicemente una breccia nella difesa antagonista e, magari trascorso un po’ di tempo, ci riproviamo nello stesso modo.

            Si può attaccare perché si percepisce che l’antagonista è in crisi e si cerca quindi di sfruttare la situazione che si è venuta a creare.

            Si può attaccare perché la tattica attendista che abbiamo prescelto non sta dando i suoi frutti e quindi dobbiamo necessariamente cambiare gioco.

            Probabilmente ci sono altre situazioni e configurazioni che spingono lo schermitore ad attaccare, ma a noi interessa soprattutto mettere in luce il perché lo fa, interessano le diverse ratio che motivano la sua decisione.

            Che un attacco sia ragionato ce lo sentiamo dire quasi ogni giorno dal maestro in lezione o ai bordi della pedana: ragionato sì in relazione alla scelta del tipo di azione, della scelta della giusta misura e del giusto tempo, ma ragionato anche soprattutto e a priori sul perché attaccare.

            Precisato l’antefatto logico-situazionale, passiamo ad esaminare la prima categoria delle azioni d’attacco, quelle cosiddette semplici in relazione al fatto che, proprio per la loro esigua meccanica, tendono a sorprendere l’avversario e a cercare di anticipare la sua difesa o quantomeno a non renderla compiuta.

            La ratio che sottende a questa tipologia di colpi è in altre parole quella di valutare la propria velocità di realizzazione superiore a quella di reazione dell’antagonista; qui entra in gioco non soltanto il rapporto tra le due fisicità dei contendenti, ma sono rilevanti anche altri fattori che abbiamo appena citato poco sopra, parlo di un’oculata scelta della misura e del tempo in cui scatenare l’attacco, vere moltipliche per il successo della stoccata.

            Passiamo ora a parlare in dettaglio pur in breve della botta dritta, della cavazione, della battuta e colpo e del filo.

            Come ben sappiamo la botta dritta è la cosiddetta “alfa” dell’attacco: più semplice non si può, si vede un bersaglio scoperto e ci si tira sopra. Poi semplice a dire, ma molto difficile a fare e in effetti in gara se ne vedono alquanto poche. La ratio in questo caso credo risieda nella consapevolezza della propria forza interiore e forse anche nella speranza di sorprendere l’avversario con una stoccata sicuramente poco prevedibile.

            Nella battuta e colpo la meccanica ci prescrive prima di andare a bersaglio di percuotere la lama antagonista al fine di allontanarla, ma dobbiamo fare in fretta perché come nelle porte mobili dei saloon dei film western essa indispettita torna indietro. La ratio è che …la botta dritta è ancora più semplice!

            La cavazione ormai non esiste più nella scherma moderna in quanto il legamento, che ne è il giusto prodromo, non viene più eseguito poiché molto difficilmente l’avversario concede il suo ferro e comunque, se lo fa, è solo per brevissimi istanti. Resta ancora in auge la sua sublimazione ovvero la cavazione in tempo, ma stiamo entrando nel campo delle uscite in tempo e non vogliamo anticipare nulla a proposito. La ratio nei tempi addietro era: credi di avere catturato il mio ferro e di dominarmi, invece cerco di sorprenderti, svincolo la mia lama e ti colpisco con un mio attacco.

            Il filo ha una sua particolare aura magica: tutti vogliono evitare la lama avversaria, invece, ovviamente dominandola, il filo la avvince e la utilizza come un binario per giungere a bersaglio. Il punto è che non solo la propria lama tiene a bada quella nemica, ma, approfittando della già citata opposizione di pugno, porta il colpo e contemporaneamente fa divergere all’esterno quello dell’avversario. La ratio è quella di cercare di utilizzare quanto più è possibile questa azione semplice che è la più garantista.

            Attaccare quindi, ma cum iudicio: in effetti un attacco sbagliato nella sua ideazione o mal eseguito porta direttamente a beccarsi la stoccata in palio.

 

 

Le parate semplici

 

            La ratio dei trattati è rigorosa: una volta introdotto il concetto e le metodologie per sviluppare un attacco semplice, si deve andare alla ricerca del modo con cui inibirlo; non fa una grinza!

            Ecco che il ferro che può portare un colpo d’attacco, ora diventa invece strenuo protettore dei propri bersagli: una meravigliosa e stupefacente bivalenza strumentale.

            Le stoccate nemiche sopraggiungono percorrendo traiettorie tendenzialmente rettilinee, questo almeno nella scherma teorica ma molto meno ai giorni d’oggi sulle pedane con l’uso e talvolta l’abuso del cosiddetto fuetto.

            La ratio più logica per proteggersi è quella di riuscire ad intercettare queste traiettorie: il proprio ferro si sposta in direzione del bersaglio minacciato e in un determinato lasso di tempo, senza troppo anticipo né ovviamente senza colpevole ritardo, deve entrare in contatto con quello avversario e trascinarlo al di fuori della proiezione del bersaglio.

            Tutto semplice ed essenziale: una reazione istintuale protettiva e una traiettoria lineare, la più veloce da poter realizzare visto la caratteristica del percorso spaziale.

            Lo schema del quadrante difensivo copre tutti i bersagli: parata di prima, di seconda, di terza e di quarta, con l’aggiunta di qualche altra denominazione dei trattati non italiani circa la diversa posizione del pugno, il quale come sempre accompagna e facilita il lavoro dell’intero braccio armato.

            Questo era il Vangelo tecnico del difensore: oggi, come abbiamo fugacemente accennato poco sopra, tutto è stato messo in discussione dalla possibilità, sfruttando la capacità di flettersi delle lame, di portare il colpo di fuetto; arcuandosi il ferro, la parata viene letteralmente aggirata e diventa assolutamente inutile, anzi arreca solo frustrazione se non proprio rabbia!

            Ecco che le tradizionali parate sono andate statisticamente alquanto in pensione; la tecnica o meglio la tattica ha trovato però due soluzioni: la prima è quella di fuggire all’indietro, almeno sino a quando ce n’è la possibilità – la seconda, al contrario, è quella di chiudere l’avversario, ovviamente nei limiti concessi dal Regolamento, per togliere la spazialità alla fuettata e contemporaneamente tirare il colpo da stretta misura. Ratio è anche rendersi conto che in certe situazioni la soluzione non c’è o almeno scarseggia alquanto; peccato perché ciò riduce di non poco la possibilità di vedere spesso sulla pedana un bel fraseggio schermistico, non dico prolungato, ma almeno un po’ dialogante.

            Discorso a parte, rispetto alla spada e al fioretto, va fatto per la sciabola: in effetti la meccanica per neutralizzare un colpo tirato con la lama dall’avversario è necessario, invece di deviare il colpo, erigere una barriera fissa e invalicabile sulla sua traiettoria; per di più per opporre opportuna resistenza alla forza di cui è dotata la lama antagonista è indispensabile accoglierla con la direzione del taglio della propria ed ecco scovata in itinere la ratio della sua sezione triangolare.

            Quindi nella fattispecie di cui stiamo trattando la ratio è essenzialmente di carattere geometrico-fisico.

            Tra l’altro in questa specialità, a meno che il colpo non sia portato di punta, risultano del tutto inutili le parate di contro.

            Al quadrante sopra ricordato come mappa delle parate, vanno ovviamente aggiunte le coordinate per la tutela del bersaglio testa e relative figure laterali; inoltre è dovuta la citazione della cosiddetta parata di sesta, anche se ormai solo di valore storico.

 

 

Le parate di contro

 

            Una valida alternativa alle parate semplici è costituita dalle parate di contro; in questo caso la geometria non parla più del piano su cui giace la lama del difensore che deve intersecare necessariamente quello su cui giace la linea d’attacco, ma si avvale addirittura della geometria solida: la lama non si sposta in linea retta verso la il colpo di attacco, ma, grazie ad un completo movimento rotatorio del polso, si avvita su se stessa e quindi viene a descrivere nello spazio un cono con il vertice nel punto del suo ingresso nella coccia e con la base circolare descritta dal movimento rotatorio della punta. In pratica un singolare imbuto che ovviamente riesce a intercettare tutto ciò che si trova al suo interno.

            Grazie alla meccanica del movimento al termine della parata i due ferri non si troveranno sopra il bersaglio destinatario del colpo originario come accade nelle parate semplici, ma esattamente su quello opposto.

            Il quadrante orientativo delle parate è lo stesso delle parate semplici, quindi contro di prima, di seconda e così via.

            La ratio in questo caso non risiede soltanto nel felice meccanismo del colpo, ma soprattutto nell’alternativa tecnica che mette a disposizione dello schermitore una diversa difesa col ferro.

 

 

Le parate di mezza contro

 

            In questo caso la traiettoria della punta che si sposta verso la linea d’attacco descrive nello spazio solo un angolo piatto, cioè metà giro; un altro ricamo difensivo della lama: ad esempio traslando la lama dalla posizione di seconda a quella di quarta e dalla terza a quella di prima.

            Questa potenziale geometria difensiva nasce quando il difensore, nell’istante in cui si scatena l’attacco dell’antagonista, ha il proprio ferro non il linea di guardia, bensì in un invito; a lui si aprono ben tre vie: parata semplice, parata di contro e appunto di mezza contro.

            La ratio è quella di cercare di mettere in difficoltà l’avversario ricorrendo e/o mutando nel tempo la geometria della sua difesa col ferro.

 

 

Le parate di ceduta

 

            Ma torniamo, come si dice per rifarci un po’ la bocca, alla tecnica da manuale e parliamo delle parate di ceduta.

            L’attaccante ha effettuato una veloce presa di ferro e comincia con il filo a far strisciare la propria lama su quella antagonista; il suo pugno armato sta già pregustando la dolce resistenza opposta dal bersaglio nemico, quando invece si ritrova toccato dalla punta dell’avversario.

            Cosa è successo? Semplicemente che quest’ultimo ha parato di ceduta; esaminiamone la stupefacente meccanica: quando si percepisce che l’attaccante sta effettuando un filo, non dobbiamo reagire subito, ma con coraggio attendere che la sua punta transiti nei pressi della nostra coccia e poi, appunto, cedere di pugno ovvero fargli assumere una postura tale da ribaltare le parti, la sua punta esce per la tangente del bersaglio originario, mentre la nostra impatta felicemente il suo. Lo ricordo bene personalmente: quando si subisce una ceduta, quasi non ci si crede e invece ha toccato il nostro avversario;  frustrazione e un pizzico di rabbia!

            Questa comunque è la magia della tecnica schermistica; la ratio è semplicissima per chi conosce un po’ di Fisica che si insegna nelle scuole: girando il polso si inverte la situazione di dominio basata sul concetto di leva che era appannaggio prima del nostro antagonista e l’angolo al polso fa la sua parte con il principio del cuneo.

 

 

La risposta

 

            Il più delle volte chi attacca è costretto a prodursi in un affondo o addirittura in una frecciata; quindi, se il suo attacco è stato preda della parata dell’avversario, la postura del suo corpo risulta subiecta rispetto a quella dell’avversario nel primo caso, sbilanciatissima nel secondo.

            Ecco che l’attaccato ha a disposizione la possibilità di far pagar dazio a chi ha osato attaccarlo: parlo della cosiddetta risposta, che in altri miei lavori ho anche denominato “la vendetta dell’attaccato”.

            In queste poche righe è riassunta tutta la ratio della risposta, la doverosa azione di rimando, che, diciamolo subito, in caso di sua assenza costituisce una colpa grave per lo schermitore.

            Siamo d’accordo che la difesa col ferro ha come primo obiettivo quello di intercettare e rendere inoffensivo l’attacco dell’avversario; ma il non approfittare della golosa configurazione spaziale non pareggerebbe almeno statisticamente le probabilità di portare la stoccata vincente e alla fine, per la legge dei grandi numeri, questo porterebbe sicuramente nocumento alle aspettative di vittoria nel match.           La risposta, direbbe lo scienziato Ivan Pavlov, deve diventare per lo schermitore una specie di riflesso condizionato, quindi un’azione non necessariamente cogitata, ma invece assolutamente automatica.

            Questo, ovviamente, è importante non solo per l’eventuale stoccata segnata a proprio vantaggio, ma anche e soprattutto come deterrente per le future iniziative di attacco eventualmente pensate dall’antagonista; direi una ratio conseguenziale indiretta.

 

 

Azioni di attacco composte

 

            Se lo schermitore nutre seri dubbi sul rapporto della sua velocità di attacco rispetto a quella difensiva dell’avversario, ha una valida alternativa tecnica: ricorrere ad un’azione composta. Questa è la principale ratio di questa speciale categoria di azioni.

            Ma perché composta?! Composta prima da una finta e poi, finalmente, dall’esecuzione del colpo.

            Il meccanismo è invero concettualmente molto semplice: faccio finta di portare il mio attacco su un bersaglio e così attiro lì il braccio armato del mio avversario che cerca di effettuare una parata, eludo con un apposito movimento questa parata, infine porto la mia stoccata sul bersaglio rimasto incustodito per effetto dell’illusione che ho creato.

            Quindi la teoria schermistica introduce altri due suoi capisaldi: il concetto di finta e il movimento elusorio della parata dell’avversario.

            Lo scopo della finta è quello di attirare la lama antagonista su un bersaglio dissimulando le vere intenzioni dell’attaccante; le sue modalità di realizzazione sono ben descritte in genere dai trattati : “la finta deve possedere tutte le caratteristiche di un vero colpo, tranne la sua esecuzione”, quindi sufficiente vicinanza al bersaglio ed espressività del braccio armato.

            La ratio è quella cara ad Ulisse, ovvero perpetrare un inganno che celi le vere intenzioni dell’attaccante, permettendogli di agire di sorpresa altrove.

            Lo scopo della elusione del ferro antagonista costituisce invece un mero meccanismo per sfuggire alla reazione provocata ad arte.

            La ratio delle azioni composte si spinge ben oltre l’utilizzo anche nella teoria schermistica del concetto di finta: in effetti chi attacca ha sempre il dubbio di quale parata possa realizzare l’attaccato e, in fin dei conti, ogni azione composta è una specie di scommessa; ecco perché i maestri si sgolano per far capire agli allievi che prima dell’esecuzione di questo tipo di attacco devono cercare di mettere a nudo le reazioni istintive dell’avversario.

 

 

Elusione delle parate

 

Elusione delle parate semplici

            Siccome il ferro dell’antagonista arriva con traiettoria rettilinea, l’unico modo per sfuggirgli è quello di impedire al momento opportuno l’incrocio con il nostro, descrivendo quindi con la nostra lama un arco di cerchio nella direzione opposta.

            La situazione spaziale che quindi si viene a creare vede la lama dell’attaccato navigare per un breve lasso di tempo verso il bersaglio falsamente minacciato, mentre la lama dell’attaccante dopo la veloce cavazione è prontamente diretta verso il bersaglio finale; non resta altro che percorrere al più presto la misura; mentre la fase di elusione del ferro è portata ad una velocità relativa, appunto quella di reazione dell’avversario, la fase di andare a bersaglio va conclusa a velocità assoluta, cioè a quella massima possibile per l’attaccante.

 

Elusione delle parate di contro

            Siccome la lama dell’attaccato, prima del ricercato contatto, circumnaviga quella dell’attaccante, quest’ultima per non essere intercettata ha la sola possibilità geometrica di anticipare il movimento rotatorio antagonista, effettuando la cosiddetta circolata; una specie di gioco ad acchiappino.

            Mentre l’attaccato ancora non ha completato i 360 gradi del giro completo, l’attaccante ha già la punta indirizzata sullo bersaglio originario e quindi può liberamente andare a colpirlo.

            Anche in questo caso due sono le velocità in campo: inizialmente quella relativa all’esecuzione del movimento rotatorio a cura del paratore e alla quale si deve rapportare chi ha effettuato la finta, successivamente quella dell’attaccante che deve produrre la sua migliore velocità assoluta.

            Ripetiamo, in quanto importantissimo, il concetto poco sopra espresso: essendo le necessarie traiettorie elusive della parata diverse ed incompatibili tra di loro (la cavazione e la circolata), l’attaccante è messo letteralmente in crisi perché non è mai sicuro al 100% della meccanica del ferro che attuerà l’attaccato.

            Da qui una ratio fondamentale per una buona difesa: alternare nel tempo senza alcuna regola apparente parate semplici a parate di contro e/o loro combinazioni.

 

Elusione delle parate di mezza contro

            Anche in questo caso la ratio è che lo schermitore che si difende differenzia il movimento della sua lama e costringe l’attaccante a cambiare la direzione del  movimento elusorio della parata laddove intendesse sviluppare un’azione composta: ad esempio se un passaggio dalla linea di terza a quella di quarta richiede una cavazione che finisce sul bersaglio esterno, invece un passaggio dalla linea di terza a quella di prima richiede una cavazione che finisce al fianco.

 

Elusione delle parate di ceduta

            L’unico modo teorico per rendere infruttuosa questa tipologia di parata è quella di effettuare una finta del filo e colpo.

            L’effetto sortito non è solo quello di eludere la parata dell’avversario, ma, se quest’ultimo abbocca alla finta del filo, quello di fargli letteralmente spalancare le porte del suo bersaglio sottostante, proprio in base al movimento indotto del suo braccio armato.

            Direi una ratio conseguenziale.

 

 

Azioni di doppia finta

 

            La ragione, la ratio, che induce lo schermitore ad aggiungere una seconda finta ad un’altra precedente risiede in vari motivi: forse la velocità dell’avversario nello spostare il suo braccio armato con lo scopo di difendere i sottostanti bersagli è superiore alla sua nel portare il colpo; forse vuole essere sicuro di mandare in confusione la geometria delle traiettorie difensive; forse vuole sfruttare il precedente di una sua finta semplice sulla quale magari l’avversario lo sta aspettando; forse ha l’esigenza, comunque, di differenziare il suo attacco per non dare riferimenti comportamentali fissi all’antagonista.

            La meccanica, come dice la denominazione, si basa sull’esecuzione di due finte successive, che quindi hanno lo scopo di eludere due parate consecutive dell’avversario.

            Ma qui si complicano le cose, non tanto e solo per il difensore che quindi dovrà inseguire due volte la punta/lama dell’attaccante, ma anche per quest’ultimo che dovrà ricamare il lungo fraseggio tecnico dopo aver presagito con sufficiente certezza non una bensì due parate antagoniste: le cose si complicano in quanto, come abbiamo visto in precedenza, le parate non sono di un unico tipo, bensì di quattro; in genere semplici e di contro, ma anche, ricordiamolo, di mezza contro e di ceduta, per cui la possibile casistica esecutiva è alquanto varia; limitandoci alle canoniche prime due, il totale delle combinazioni realizzabili arriva a ben 16 e considerando poi i quattro differenti bersagli si giunge quindi a 64.

            Comunque queste doppie finte, come del resto quelle semplici, generano una ratio tecnica alternativa a favore del difensore: quella di non seguire il o i movimenti di quella avversaria quanto piuttosto di fruire del meccanismo del colpo di arresto, in primo o secondo tempo, intervento che, sbarrando la strada al ferro avversario, si propone di interrompere letteralmente lo sviluppo ed il pieno compimento dell’azione d’attacco.

            Il discorso del numero delle finte potrebbe al limite andare sino all’infinito, ma come ben dice lo scrittore Arturo Pérez Reverte nel suo libro “Il maestro di scherma”, uno dei due contendenti commette un errore e quindi interrompe a suo sfavore il fraseggio tra i due ferri; ovviamente più si susseguono le finte, più opportunità si concedono, o meglio ancora si suggeriscono, all’antagonista.

 

 

Le azioni ausiliarie

 

            Come già accennato nelle precedenti pagine, le cosiddette azioni ausiliarie sono quelle non degne di catalogazione per l’assenza di loro peculiari caratteristiche generali; vengono quindi raggruppate piuttosto in base a imperfetti atteggiamenti dell’avversario o a specifiche meccaniche di intervento sulla lama dell’avversario.

            Tra i primi: – il cosiddetto tirare di quarta bassa, la cui ratio è quella che l’avversario è solito operare erroneamente con il pugno di quarta non all’altezza del ventre, bensì del petto; per cui gli si potrà indirizzare colpi al fianco con il pugno di quarta anziché a quello infuori al petto – il cosiddetto filo sottomesso, la cui ratio risiede nell’erronea modalità di legamento operata dall’antagonista; il rapporto tra le lame è per questo facilmente ribaltabile da un punto fisico e quindi è possibile, ribaltato il rapporto di forza tra i ferri, partire da un proprio legamento per colpirlo tramite un filo.

            Tra le seconde: – battute false, sforzi, copertino, intrecciate, battuta di quarta falsa e disarmi in funzione di diversi interventi di differente natura sul ferro antagonista; qui le diverse ratio risiedono soprattutto nel fattore sorpresa che intendono perseguire appunto tramite un insolito modo di approccio relazionale con la lama dell’avversario.

 

 

Le uscite in tempo

 

            Ciò che raggruppa concettualmente le uscite in tempo è proprio la loro ratio di atteggiamento alternativo alla cosiddetta difesa col ferro in occasione dello sviluppo di un attacco da parte dell’antagonista; in pratica la meccanica è quella di realizzare un’azione di offesa in contrapposizione a quella messa in cantiere dall’avversario; fuoco contro fuoco.

            Del colpo di arresto abbiamo già interloquito poche righe sopra; qui è necessario fare una doverosa precisazione: questa uscita in tempo è perdente di fronte ad un attacco semplice e la ratio, il motivo, risiede proprio nella natura convenzionale dello scontro tra fiorettisti e sciabolatori; in effetti l’attacco ha la precedenza nella ricostruzione del fraseggio ed anche una significativa precedenza temporale del colpo antagonista non può e non deve stravolgere la natura dello scontro in queste due specialità convenzionali. Unica eccezione è il cosiddetto tempo al braccio teorizzato nella specialità della sciabola: qui la ratio del colpo risiede nell’erronea scopertura, appunto del braccio, che vuole caricare eccessivamente la sciabolata; la valutazione dell’anticipo temporale è comunque affidata all’interpretazione dell’arbitro.

            L’elusione in tempo ha la sua motivazione tecnica e la sua ratio sul fatto che l’antagonista va alla ricerca del ferro, ma, non trovandolo, non solo si attarda temporalmente, ma è anche indotto all’errore e quindi il suo attacco è ritenuto fallimentare; dipende poi dall’attività dell’attaccante subire o una cavazione in tempo in relazione ad una sua presa di ferro semplice oppure una circolata nel caso di una ricerca del ferro portata di contro.

            Arriviamo così all’inquartata e alla passata sotto la cui ratio comune è quella di sfuggire alla stoccata portata dall’attaccante tramite una schivata del corpo: nella prima, abbandonata la linea direttrice, il corpo si defila all’esterno, mentre nella seconda esso si abbassa; la ratio dell’inquartata è che l’avversario commette l’errore di portare i suoi colpi in modo monotono sui bersagli interni, la ratio della passata sotto è che i colpi sono sempre indirizzati sui bersagli alti.

            La contrazione è una specie di uscita in tempo omnibus, nel senso che è applicabile su tutti i colpi finali dell’avversario che stanno giungendo a bersaglio; come sappiamo la meccanica si realizza facendo andare avanti il proprio braccio armato con un’opportuna opposizione di pugno per occupare a proprio favore la linea d’attacco percorsa dall’antagonista; la sua ratio è quella di costituire una spina nel fianco per ogni attaccante.

            Per dovere di completezza citiamo anche l’appuntata e l’imbroccata, uscite in tempo ormai desuete per le nuove dinamiche del match: la prima in opposizione a chi para e risponde con finta, la seconda in opposizione alle azioni di filo terminanti al fianco.

            In chiusura voglio ripetere il concetto in quanto degno di grandissima nota: come la natura esecutiva della o delle parate rappresenta uno spauracchio per chi sviluppa un attacco composto, così le uscite in tempo possono mettere in crisi tecnica tutte le teoriche tipologie di attacco messe in campo.

            In entrambi i casi la ratio di attaccare deve poggiare su solide basi probabilistiche, ovvero di essere ben riusciti a mettere a nudo le tendenze istintive dell’antagonista ed è qui che misura e scelta del tempo giocano un ruolo assolutamente fondamentale; diversamente l’attacco avrebbe le stesse probabilità di un giocatore al tavolo di una roulette.

 

 

Il controtempo

 

            Stiamo entrando nella parte della teoria schermistica dove la tecnica si mette  al servizio della scaltrezza se non proprio della malizia, sottinteso sportiva.

            La domanda che si fa uno schermitore di fronte ad un avversario che su un suo attacco esegue un’uscita in tempo, che intuisce o che purtroppo non ha fatto precedentemente in tempo a capire prendendosi la stoccata,  è: cosa posso fare?!

            La ratio, quando si intuiscono le intenzione dell’antagonista, è sempre quella di mettere in campo un meccanismo che preventivamente annichilisca il colpo avversario e subito dopo o in contemporanea permetta di portare il proprio colpo.

            Presto detto: sulla nostra iniziativa non solo ci si attende l’uscita in tempo, ma addirittura si cerca di provocarla ad esempio sbagliando artatamente sulla misura o rallentando il nostro attacco; realizzata la mossa dell’avversario, ci costruiamo sopra la nostra stoccata definitiva; ad esempio ricerchiamo con monotonia il suo ferro su una determinata linea per indurlo ad una elusione in tempo per poi, una volta effettuata, eseguire alla massima velocità una nuova presa di ferro e colpo.

            Il concetto fondamentale, la ratio, è quella di creare una specie di imbuto tecnico spaziale in cui costringere l’antagonista a transitare; direi una specie di gola situazionale dove produrre un vero e proprio agguato.

            E’ bene osservare che, mentre nell’esecuzione di un attacco composto la previsione azzeccata della mossa avversaria è conditio sine qua non per il felice esito del fraseggio, nel caso del controtempo, se l’antagonista non esce dalla sua guardia, lo schermitore non rischia nulla, a parte il caso in cui, come vedremo subito appresso, una sventurata applicazione ai suoi danni della finta in tempo.

 

 

Finta in tempo

 

            E così siamo arrivati all’ultima pagina che, in genere, i trattati riservano al concetto e alla meccanica della finta in tempo, vera sublimazione della teoria schermistica; oltre solo … Hic sunt leones!

            La ratio è veramente complessa e si basa su un vero e proprio gioco pirandelliano delle parti: io so che tu sai che io so; in pratica, lo schermitore intuisce, oppure ne è già stato vittima, il controtempo antagonista e quindi, se vuole stare proficuamente al gioco,  si appella al concetto di finta e quindi non esegue la sua uscita in tempo ma la simula solamente e subito dopo mette in preventivo la meccanica idonea per sfuggire al controtempo avversario; finalmente trova la strada spianata per un bersaglio.

            Quindi un lungo, lunghissimo, percorso tecnico, dove, reciprocamente, devono essere ossequiati minuziosamente misura e tempo per la felice conclusione dell’intero fraseggio a favore di chi sembrava dover divenire facile preda di un’imboscata.

            Che dire: sentirsi orgogliosi di appartenere ad una disciplina che riesce a mettere in campo un così complesso divenire tecnico, capace di interpretare i multiformi aspetti delle possibili relazioni tra le teoriche diversità esistenti tra i due contendenti: dalla veemenza fisica di un’azione semplice, alla perfidia di un’azione composta, dall’inganno del controtempo, all’inganno dell’inganno della finta in tempo; tutto questo perché lo schermitore possa apparire sempre diverso e quindi imprevedibile, appunto “Uno, nessuno e centomila” come bene narra Pirandello.

 

 

Lo spazio ed il tempo

 

            L’uomo, quindi anche chi impugna un’arma sportiva sulla pedana, si muove in due macro dimensioni: lo spazio ed il tempo.

            Lo spazio ad un attento studio rivela numerose e differenti sfaccettature per quanto riguarda le diverse ratio che le sottendono, così: – di sicurezza per quanto riguarda la fase di studio e di congetturazione  –  difensivo per quanto riguarda l’arretramento sullo sviluppo dell’attacco antagonista  –  da accorciare e da riuscire a percorrere per intero in caso dell’attacco con le diverse opzioni di solo affondo, di frecciata o di passo avanti affondo  –  di differenziazione di distanza dal bersaglio nelle armi come la sciabola e la spada che contemplano i cosiddetti bersagli avanzati  –  di vicinanza estrema all’avversario che innestano le meccaniche idonee ad accorciare la lunghezza del braccio armato nel combattimento ravvicinato  –  di limite per quanto concerne le misure  della pedana, soprattutto quelle finali che, se oltrepassate, costano allo schermitore una stoccata di penalizzazione  –  di ottimizzazione di spostamento della lama da un bersaglio all’altro in occasione degli attacchi composti dell’avversario  –  di scelta, soprattutto nella specialità della spada, della traiettoria più rettilinea per velocizzare al massimo il proprio colpo al fine di anticipare temporalmente quello dell’antagonista  –  della migliore posizione assunta in tutte quelle situazioni che prevedono il contatto con il ferro avversario, come ad esempio un legamento, una parata, una contrazione  –  dello spostamento della lama più economico in occasione di un movimento elusorio di quella dell’antagonista  –  e probabilmente in altre particolari situazioni spaziali.

            Ratio, in una parola, del rispetto della migliore geometria nelle differenti situazioni di pedana.

            Non meno complesso risulta anche il tempo nelle sue varie accezioni e non meno variegate sono anche in questo campo le varie ratio che emergono: –  innanzitutto il tempo schermistico che assurge ad unità di misura del fraseggio  –  la grande libertà dell’attaccante in occasione delle azioni a propria scelta di tempo ed invece l’obbligo di sintonia in quelle in tempo  –  il minor tempo possibile nel realizzare un attacco semplice che conta sul sorprendere l’avversario senza che possa utilmente reagire  –  la doverosa capacità di adattamento ai tempi di reazione dell’avversario in occasione dello sviluppo di un attacco composto, di un controtempo per non dire nella finta in tempo  –              il tempo come attesa quando lo schermitore deve aspettare l’attimo migliore per iniziare il suo attacco  –  il tempo come istante basato sulla migliore percezione ad esempio dell’inizio di un attacco o di realizzazione di una parata solo poco prima che il colpo antagonista impatti sul bersaglio  –  il tempo come durata in relazione magari ad un recupero da effettuare nel punteggio nelle vicinanze dello scadere del tempo regolamentare  –   il tempo come intervallo ad esempio in relazione al fatto di dover far passare un certo lasso di tempo prima di poter ripetere una precedente stoccata vincente senza correre il pericolo che l’avversario vigili appunto sul precedente  –  il tempo come anticipo necessario ad esempio nell’espletare un colpo d’arresto sull’avanzata dell’avversario prodromica ad un suo attacco  –  il tempo come ritmo in riferimento all’impostazione che lo schermitore esperto riesce ad imporre all’avversario  –  il tempo come esordio incentrato sul valore da attribuire alle prime stoccate di un match affinché la prudenza impedisca di partire  con il piede sbagliato  –  il tempo come preparazione in occasione del traccheggio operato per cercare di celare le proprie vere intenzioni tecniche  –  il tempo come stasi nei casi in cui occorra dilazionare lo scontro per riprendere un po’ il fiato oppure riorganizzare le proprie idee  –  il tempo strategico che ha il fine di amministrare oculatamente un vantaggio nel punteggio  –  il tempo falso che, ad esempio non sfruttando al massimo una presunta velocità esecutiva nella risposta dopo una felice parata, mandi fuori giri un tentativo di controparata proprio per la sua lentezza  –  e così via.

            Eh sì, lo schermitore migliore è quello che porta sempre con sé riga, compasso e clessidra!

            Se avvertite l’esigenza di approfondire questi aspetti spazio – temporali, Vi segnalo il mio lavoro “Lo spazio e il Tempo nell’assalto di scherma”, che potete scaricare gratuitamente dal mio sito passionescherma.it alla rubrica Libri e Audiolibri da scaricare; per i lettori di lingua non italiana cercare sul sito la “Traduzione Spazio Tempo nell’assalto di scherma”.

 

 

Cenni di tattica

 

                        Portata a conclusione l’analisi della tecnica schermistica, diciamo una specie di mondo delle idee platonico, saliamo sulla pragmatica pedana e facciamo alcune considerazioni.

            Innanzitutto la ratio, cioè la motivazione di base, della tattica è quella del reperimento della stoccata idonea per riuscire a toccare l’avversario; questo è il suo fine escatologico.

            Qui di seguito ci intratteniamo in breve su alcuni capisaldi importanti che la tattica offre allo schermitore di una certa maturità.

            La prima osservazione sulla tattica recita che non esiste un tipo di colpo di attacco, ma anche di difesa, tale da inibire una potenziale contraria; tanto per intendersi il celebre colpo delle cento pistole o, ancor meglio, la stoccata dei Gonzaga-Nevers sono solo miti della letteratura. Questa non è tanto una ratio, ma un vero e proprio postulato.           

            La seconda osservazione è che la tattica risiede nella stessa struttura del fraseggio schermistico: da una parte una determinazione d’attacco e dall’altra un meccanismo di difesa; quindi, tra le tante, una scelta tecnica che si deve rapportare ad un’altra scelta tecnica. Ovviamente quella di pertinenza dell’avversario appartiene alla sua discrezionalità, per cui l’unica variabile possibile su cui poter intervenire è quella della scelta del tipo di colpo con cui si cerca di attaccare.

            In effetti è a carico dell’attaccante la ratio tramite la quale dar corso ad una effettiva belligeranza; da qui, lo ripetiamo ancora, l’importanza dello studio delle caratteristiche fisiche e tecniche dell’antagonista, in seguito al quale si possono dischiudere varie soluzioni tecniche sulle quali poi esercitare un’opzione.

            Terza osservazione: una ratio di fondamentale importanza, dar prontamente corso all’analisi dell’accaduto dopo la stoccata.

            Non si pensi tuttavia che l’accensione del segnale che testimonia la materialità della stoccata sia la prova provata della bontà dell’azione che l’ha generata: ovviamente non viene rifiutato l’incremento del punteggio, ma è consigliato comunque un attento esame di ciò che è accaduto.

            In effetti una non trascurabile quantità di stoccate è affidata alla buona sorte, se non proprio al caso: si pensi ad esempio ad un malparé dell’avversario generato solo da un paio di millimetri o all’uscita della punta di un nonnulla  nell’esecuzione di una sua uscita in tempo sul nostro attacco. Non per questo la nostra stoccata deve raggiungere il centro preciso del petto, ma lo schermitore sufficientemente esperto percepisce benissimo se il suo colpo è stato vincente tecnicamente.

            Nondimeno è necessaria un’ulteriore precisazione: anche in assenza della segnalazione del colpo è possibile fare un’utile esame dell’accaduto; magari il nostro avversario dopo una sua riuscita parata ci grazia per l’assenza di una sua rapida risposta, consentendoci di rientrare in guardia.

            Tutto questo per capire che una delle doti più propizie dello schermitore è quella di essere in grado, come si dice, di leggere l’assalto in tutti i suoi anfratti per poi poter prendere i dovuti provvedimenti tecnici.

            La quarta osservazione della tattica, d’altronde già espressa in altra parte di questo lavoro: mai reiterare lo stesso tipo di colpo senza che sia trascorso un certo lasso di tempo; ciò in quanto l’avversario logicamente, a meno che non si tratti di uno schermitore alle prime esperienze e quindi ancora alquanto sprovveduto, ha preso atto del meccanismo della stoccata e quantomeno ha già attivato un’acconcia contraria; e, a onor del vero, questo principio vale non solo per le stoccate andate validamente a bersaglio, ma anche per quelle non andate a buon fine quindi solo tentate; più passa del tempo, più si spera che l’antagonista con l’avvicendarsi di altre azioni perda la memoria del pregresso.

            Da tutto questo ne deriva che più tattiche si possono mettere in campo durante lo scontro, più si è in grado di sorprendere felicemente la difesa dell’antagonista. La condizione, la ratio, per poterlo fare è quella di avere un acconcio bagaglio tecnico, s’intende non solo di conoscenze teoriche, ma anche e soprattutto di capacità per realizzarlo sulla pedana al meglio.

            Quindi la ratio più a monte è quella di fare inizialmente un proficuo lavoro di lezione conoscitiva con il maestro e, successivamente, quella di mantenersi in forma tramite un costante allenamento.

            Quinta osservazione sulla tattica: la questione, a mio avviso, è quella di riuscire a prefigurarsi le varie tipologie di avversario che ci si possono trovare davanti nell’assalto e/o nel match, ad esempio alto o basso per quanto riguarda la configurazione fisica – amante della misura un po’ più stretta piuttosto di quella un po’ più lunga – tendente all’attacco o alla difesa per ciò che concerne la dinamica statistica dell’incontro – con preferenza marcata alla difesa col ferro piuttosto che per la produzione di un’uscita in tempo  o viceversa –  e così via.

            Si potrà obiettare che ogni schermitore costituisce un unicum tecnico e forse questo è un po’ vero, ma credo tuttavia che, dopo qualche istante dello scontro, si possa attingere almeno sommariamente ad una catalogazione preventiva.

            In tal modo la ricerca del tipo di condotta tecnica più opportuna da tenere sarà senz’altro facilitata e questa è una ratio di grande utilità: per similitudine, come adattare un vestito facendo solo alcune parziali correzioni, rispetto a quello di cominciare a tagliare e cucire. E, collegandomi alla prima regola appena sopra esposta rispetto alla necessaria variazione dei colpi, si avrà a disposizione non una sola contraria, ma un nutrito ventaglio di altre soluzioni tecniche, dico ancora già preconfezionate. Ovviamente poi tutto da sottoporre alla verifica dei fatti, cioè l’andazzo delle singole stoccate.

            Sesta osservazione: cercare di fare attività sulla pedana distinguendo adeguatamente i suoi diversi luoghi tattici; in effetti non si tratta solo di trovarsi, oppure all’opposto di essere riusciti a spingere l’avversario, in prossimità della linea di fine pista, uscendo dalla quale lo schermitore perde un punto con lo scorno di non essere nemmeno raggiunto dalla lama antagonista; si tratta piuttosto di prendere coscienza tecnica delle diverse valenze dei differenti luoghi di pedana.

            Sappiamo che ognuno dei due schermitori all’inizio di ogni stoccata ha a disposizione cinque metri ponendosi all’a-voi a due metri dalla linea mediana della pista; un osservatore esterno vedrà due tipi di movimento, cioè lo spostamento quasi sincronico in avanti di uno e all’indietro dell’altro o un movimento a fisarmonica con l’avvicinamento dell’uno all’altro oppure di entrambi.

            Esiste una larga parte della pedana, in cui ci si muove come appena descritto, dove nessuno dei due contendenti si pone alcun problema circa la direzione dello spostamento; statisticamente è questa la zona entro la quale in genere ci si scambia il maggior numero di stoccate.

            Esistono poi due zone, alternativamente alle spalle di ciascuno schermitore, in cui c’è ancora la possibilità di arretrare: nella prima comunque comincia ad avvertirsi il problema della ristrettezza spaziale, configurandosi quindi una specie di zona di preallarme; nella seconda, sempre alternativamente, ci si può trovare nell’incomoda posizione di dover centellinare pochi centimetri senza poter più in pratica arretrare significativamente; uno dei due schermitori è messo alle corde, come dicono i nostri cugini del pugilato.

            Ebbene in queste tre situazioni spaziali dominano tre ratio tecniche diverse e naturalmente opposte.

            Nella prima ovviamente tutto è possibile per il fatto fondamentale che lo schermitore ancor prima dell’utilizzo del braccio armato può contare sulla difesa di misura o quantomeno sulla sua registrazione a proprio favore. Le alternative dinamiche che si può aspettare l’attaccante dal suo avversario sono tre: o arretra, o lo aspetta dove si trova, o, almeno con il braccio armato, gli viene incontro con un’uscita in tempo.

            Lo sappiamo: l’attaccante baratta la sorpresa del quando e il dove della sua azione con il dubbio sulla triplice possibile reazione appena descritta dell’attaccato. In questo settore della pedana la ratio è che tutto è tecnicamente possibile.

            Nella seconda zona, sostanzialmente cambia poco, ma la nascita della preoccupazione della scarsità di spazio porta colui che è incalzato a resistere maggiormente alla spinta dell’avversario o addirittura a tentare di innestare a sua volta una decisa controspinta; comincia una specifica battaglia sulla misura, che può essere prodromica all’esplosione di un attacco da parte di uno dei due contendenti. Gli schermitori sono sotto pressione e la ratio risiede in gran parte sulla variazione della misura, anche di pochi centimetri.

            Nella terza e ultima zona di combattimento la configurazione spaziale è netta: uno dei due è riuscito a procurarsi vantaggio di non poco conto, cioè il fatto che il suo avversario non disponga più della dimensione arretramento; quindi, se si avvicina ulteriormente, quest’ultimo non può altro che tentare una disperata sortita.

            Sembrano queste le condizioni ideali per impostare un controtempo da parte di chi incalza; l’unica cosa che quest’ultimo deve temere è che il suo avversario abbia una maturità tecnica da metterlo in condizione di rispondere con una finta in tempo …almeno concediamogli questo!

 

 

Cenni di strategia

 

            La ratio della strategia risiede nel guardare un po’ più lontano della singola stoccata e ricorrere a tutti quegli stratagemmi leciti che possano essere utili per giungere felicemente al raggiungimento della vittoria nel confronto con l’avversario.

            La strategia costituisce un prezioso valore aggiunto al potenziale tecnico – tattico dello schermitore: la capacità di sfruttare a suo favore tutti i connotati dell’habitat dello scontro, in altre parole la possibilità di utilizzare qualsiasi anfratto situazionale a proprio pro.

            Un canonico esempio a questo proposito è quello, come faceva il dittatore Quinto Fabio Massimo appellato appunto il cunctator, di temporeggiare quando si è avanti nel punteggio e si avvicina la fine regolamentare del match; un altro invece quello, un po’ meno sportivo, di quando, al fine di spezzare il ritmo vincente dell’antagonista, si chiede all’arbitro di poter rifare il laccio ad una scarpa anche se non ce n’è bisogno.

            Ma la strategia va ben oltre: esaminiamo insieme qualche caposaldo importante nel vasto panorama che essa offre.

            Osservazione numero uno: questo utile modo comportamentale si può anche studiare a tavolino, ma la sua fonte più profonda e redditizia è quella dell’esperienza personale.

            In effetti le situazioni di pedana possono essere numerosissime e le più diverse tra di loro: da esse, volta per volta, si possono trarre degli insegnamenti che, all’occasione, si sono dimostrati di segno positivo oppure, al contrario, di segno negativo; quindi in pratica cosa conviene fare o non fare in certe circostanze.

            Lo schermitore accumula quindi nel tempo un vero patrimonio esperienziale che lo mette in condizione di applicare in modo utilitaristico il déjà-vu.

            Questa è la migliore base strategica dello schermitore evoluto.

            Osservazione numero due: se il match non si evolve nel modo desiderato la strategia offre un primo prezioso strumento, cioè la possibilità di cambiare il cosiddetto gioco, ovvero di mutare l’atteggiamento tecnico tenuto sino a quell’istante nei confronti dell’avversario: ad esempio attaccare, se non lo si è ancora fatto oppure, al contrario, cessare dal farlo – uscire in tempo, se la difesa col ferro non sta dando i frutti sperati oppure viceversa.

            Magari la mossa non ci porterà alla vittoria, ma è tutto quello che la logica suggerisce per sopperire alla situazione indesiderata.

            Osservazione numero tre: la contraria viene soprattutto recepita nel suo appariscente valore tattico, in quanto suo scopo è quello di trovare la giusta strada tecnica per fare arrivare il proprio colpo su un bersaglio antagonista; è il contingente, l’immediato, ciò che si prefigge di realizzare sulla pedana.

            Tuttavia, subito dopo, non è trascurabile l’utilizzo della contraria come importante e flessibile strumento strategico.

            Per la nostra difesa tutto dipende dall’operato del nostro avversario: se vuole cascare nuovamente sulla stessa nostra identica efficace parata e risposta, si accomodi pure!

            Per quanto riguarda invece il nostro attacco ecco che emerge la possibilità di gestire strategicamente il precedente, vale a dire ciò che è avvenuto nell’ambito dell’ultima stoccata.

            In effetti, messo a segno un colpo vincente è vivamente sconsigliabile reiterarlo immediatamente, in quanto l’avversario potrebbe stare sull’avviso, pronto ad applicare a sua volta la giusta contraria a sua volta premeditata. Strategicamente è quindi necessario lasciar trascorrere un certo lasso di tempo prima di tentare nuovamente lo stesso percorso tecnico, nella speranza che l’antagonista ne abbia perso l’attuale memoria.

            Comunque, poi il precedente resta una spina infilata nella difesa antagonista e questa situazione può favorire la costruzione di una nuova contraria modellata appunto su questa aspettativa: ad esempio, nella specialità della spada, dopo un colpo al piede arrivato a bersaglio o anche solo tentato, strategicamente possiamo sfruttare la situazione per fingere tale colpo ed impostare quindi un proficuo controtempo sul probabile colpo di arresto tirato dall’antagonista proprio in base alla precedente azione.

            Osservazione numero quattro: credo che l’applicazione statistica di un’opzione tecnica possa andare oltre il suo immediato contenuto tattico, ovvero connesso alla finalità del singolo colpo, e che invece possa avere anche un significativo contenuto strategico.

            Infatti la teoria schermistica ha elaborato delle meccaniche relazionali tra i due ferri che a differenza delle altre consentono sia di portare il colpo sia nello stesso tempo di essere garantiti rispetto alla eventuale reazione dell’avversario.

            Ovviamente devo precisare che non esiste il colpo perfetto in sé,  un colpo tanto per dire che, se comunque ben eseguito, garantisca sempre l’esito positivo della stoccata; non ci mancherebbe altro e la scherma diventerebbe, tra l’altro, molto monotona!

            Il senso invece è statistico: vale non per la singola stoccata, ma per la legge dei grandi numeri.

            Preciso con un esempio: la maggior parte delle azioni nel loro espletamento possono entrare o meno in contatto con la lama avversaria, cioè essere sul ferro o a ferro libero, ma solo una di esse offre una garanzia aggiunta: sto parlando dell’azione di filo, che com’è noto si sviluppa utilizzando il ferro antagonista come binario per giungere a bersaglio e, cosa che ci interessa da vicino, proprio per il meccanismo che realizza sorte l’effetto di far divergere progressivamente la lama dell’avversario verso l’esterno dei bersagli di chi opera il filo stesso; in effetti per il principio fisico del cuneo più avanziamo, più il ferro antagonista diverge.

            Un altro esempio può essere quello del cosiddetto angolo al polso, cioè quello che si ottiene inclinando il pugno armato in corrispondenza alla linea occupata dalla lama avversaria; anche in questo caso, pur in presenza di una botta a ferro libero, si realizza una specie di barriera fisica che preserva i nostri bersagli dall’eventuale incontro con la punta antagonista. Detto in breve: se tiro una botta dritta col pugno normale, posso essere raggiunto dal colpo dell’avversario, se invece realizzo l’opposizione di pugno sono geometricamente protetto.

            Cosa vuol dire questo, che lo schermitore deve realizzare solo il filo ed eseguire ripetute opposizioni di pugno su tutte le linee? Assolutamente no, perché in tal modo tra l’altro contraddirebbe il principio fondamentale strategico di continuare a variare il proprio comportamento tecnico per non dare riferimenti fissi all’avversario.

            Lo ribadisco, il concetto dell’utilizzo statistico di un certo tipo di meccanica sconfina nella strategia.

            Osservazione numero cinque: si possono costruire a tavolino delle sequenze tecniche che, in quanto tali, abbiano una valenza strategica, poggiante appunto su un concetto di sequel logico.

            Facciamo alcuni esempi per capire meglio l’esprit strategico che sta alla base del meccanismo.

            Dopo aver tirato un colpo semplice, come una battuta e colpo, si può tentare di realizzare lo stesso colpo, ma fintato; quindi nella fattispecie una battuta e cavazione. Se lo schema strategico funziona, continuando il match, si può ritornare all’azione semplice e così via.

            L’importante è sottolineare il fatto che la prima stoccata non deve essere necessariamente andata a buon fine: in effetti serve solo ad innestare quella procedura strategica che, nel prosieguo, dovrebbe dare i suoi frutti.

            Data la vastità della tecnica schermistica, ognuno può realizzare diversi schemi personali, basandoli non solo sulle proprie caratteristiche fisiche e  tecniche, ma anche adattandoli ai diversi tipi di avversari da affrontare.

            Si parla di libero assalto, ma indubbiamente è possibile utilizzare schemi logico – consequenziali preordinati: in pratica ricercare la famosa contraria non tutte le volte ex novo, ma andare a vagliare alcune tipologie di contraria già ideate e meccanizzate; in una parola, meno alea e più arte strategica pregressa.

            In fin dei conti, come già espresso altrove, le tipologie degli avversari non sono infinite, anzi sono riconducibili ad un numero molto limitato di fattispecie; per cui non è troppo difficile  dotarsi di un prezioso archivio comportamentale da utilizzare nelle varie situazioni in ottica strategica.

            Osservazione numero sei: quanto ho già espresso in occasione dell’attacco, posso ribadirlo circa la dimensione difensiva dello schermitore.

            La questione è quella di avere già delle soluzioni tecniche preordinate all’A voi dell’arbitro; soluzioni ovviamente che non possono essere la panacea di tutti i problemi che assillano chi si deve difendere dall’attacco dell’avversario, ma che comunque devono costituire una solida base strategica nel match.

            In primis, mai dare un riferimento fisso a chi congettura un attacco; in altre parole non utilizzare ricorrentemente la stessa tipologia di difesa e quantomeno lo stesso tipo di parata.

            Per contrastare le azioni semplici di attacco l’unica soluzione è quella di curare al meglio la misura, registrandola opportunamente alla potenzialità di spostamento dell’avversario; e qui non c’è strategia che tenga; poi entra in campo la propria reattività e la velocità del braccio armato.

            Diversamente accade circa le azioni composte di attacco, dove notoriamente si ricorre all’elemento finta: come sappiamo quest’ultima deve entrare in necessaria relazione con le parate, che addirittura stimola per poi poterle ingannare.

            Ed ecco che in questo caso, come appena sopra accennato, c’è un valore strategico di primaria importanza per chi si difende: variare il tipo di parata.

            Questo perché l’attaccante per riuscire appieno nel suo intento deve conoscere in modo predeterminato il meccanismo della parata in quanto, se la parata sarà semplice, allora l’elusione del ferro dovrà avvenire tramite lo spostamento spaziale denominato cavazione, altrimenti, in caso di parata di contro, il meccanismo dovrà necessariamente essere quello della cosiddetta circolata. Contrariamente l’azione di attacco composto fallirà. Ecco perché, lo ribadisco, non si devono dare certezze all’avversario.

            Quindi, tramite la lezione con il maestro e gli esercizi con i compagni di sala, allo scopo si devono meccanizzare diverse successioni di un paio di parate ciascuna, variandone sempre la tipologia; la cosa fondamentale è quella di non cedere all’istinto, inforcando magari una serie di parate di tasto di quarta e di terza.

            Torno a dirlo, la valenza strategica di una difesa s’incentra soprattutto sulla possibilità reale di alternare l’intero ventaglio delle azioni difensive: dalla semplice rottura di misura tramite l’arretramento, dal combinato disposto di una difesa col ferro e indietreggiamento, dall’applicazione di una delle numerose uscite in tempo, doverosamente ispirate dalla tipologia ricorrente di attacco dell’avversario.

 

 

La Convenzione schermistica

 

            Le tre specialità della scherma cosiddetta olimpica sono le degne eredi del nostro purtroppo cruento passato; anzi, come abbiamo accennato all’inizio di questo lavoro, solo due: la sciabola e la spada, mentre il fioretto è l’escamotage che i maestri utilizzavano per avviare alla tecnica i neofiti; io stesso, classe 1951, iniziando l’attività a 12 anni ho dovuto praticare per obbligo federale quest’ultima specialità per due anni.

            Il legislatore sportivo doveva necessariamente fare un distinguo tra le tre diverse armi e chi meglio di lui non si poneva a priori la questione della ratio, cioè del concetto giuridico portante di ogni disposizione di legge.

            Si pensò inizialmente quindi ad un’arma da terreno che riproponesse nel match sportivo le fondamentali istanze, le ratio, dello scontro tra due avversari: la spada. Ed in effetti la realtà premia colui che, applicando opportunamente sulla pedana la teoria schermistica, riesce a colpire anticipando temporalmente il colpo del suo avversario; sempre la realtà non scende a compromessi di sorta ed individua in ogni parte del corpo dello schermitore il bersaglio idoneo ad essere raggiunto dalla stoccata (il concetto è talmente radicato che nella scherma moderna anche il suo materiale, ad esempio il passante, costituisce bersaglio valido).

            Per tutto questo la spada è la specialità che si accosta maggiormente ai duelli veri dei secoli scorsi.

            Unica eccezione, direi logicamente doverosa, era la situazione che si veniva a creare quando i due colpi arrivavano sul bersaglio in contemporanea o almeno nell’esiguo intervallo di tempo stabilito dal Regolamento. Qui il legislatore aveva due strade: o considerare nullo l’accaduto, rimettendo in guardia i due schermitori oppure, come in effetti è stato deciso, condividere il colpo, configurando il cosiddetto colpo doppio, quello che nella realtà invero era evitato con attenzione in quanto avrebbe portato nocumento fisico ad entrambi i due contendenti, il cosiddetto ed esplicito colpo delle due vedove.

            La sciabola sportiva è stata invece concepita e regolata secondo il suo prevalente uso storico, quello della cavalleria. Ecco giustificata la motivazione, la ratio, che ha portato a limitare il bersaglio valido solo sopra la cintura dello schermitore: in effetti,colpire al di sotto di questa, esponeva il cavallo al nocumento dei colpi, cosa che per l’epoca era considerata alquanto disonorevole.

            Sempre un principio di realtà imponeva agli sciabolatori di qualche decennio addietro di colpire solo con il taglio, cioè i primi due terzi della lama partendo dalla coccia e con il controtaglio, l’ultimo terzo della lama vicino alla punta; in effetti la lama negli scontri, se colpiva di cosiddetto piatto, non offendeva l’avversario e quindi parimenti doveva fare lo sciabolatore sportivo.

            La rivoluzione tecnologica qualche decennio addietro ha dovuto poi barattare questa ratio con l’altra, ritenuta ovviamente più importante, di riuscire a determinare senza alcun dubbio la materialità della stoccata, cioè se un colpo arrivasse o meno sul bersaglio; prima era solo una questione di diottrie, quelle umane e quindi spesso fallaci degli assessori e del presidente di giuria.

            Già questo concetto, quello di distinzione dei bersagli in validi e non validi, apriva ad una diversa concezione delle regole del match al di fuori del principio di realtà: criteri teorici ed astratti prevalevano rispetto all’accaduto.

            Il passo decisivo a questo proposito l’ha compiuto il legislatore con la regolamentazione del match di fioretto.

            L’estrapolazione storica era già configurata, come già detto, con la spada e la sciabola: la ratio ora era quella di “creare” un arma che esaltasse la teoria schermistica, che fosse una specie di trasposizione sulla pedana del mondo delle idee tecniche.

            Ed ecco il fioretto, già utilizzato, come precedentemente ricordato, come attrezzo didattico: innanzitutto il bersaglio è limitato e sublimato al solo tronco del corpo come sede dei principali organi vitali; ma si vuole dare anche importanza ai bersagli costituiti dalle altre parti del corpo dello schermitore e si attribuisce loro la sotto-dignità di bersagli non validi, non atti quindi all’attribuzione della stoccata, ma aventi comunque la valenza di interrompere il fraseggio schermistico (doveroso è ricordare che lo stesso principio valeva per la specialità della sciabola, ma esso è stato sacrificato sull’altare della materialità della stoccata in quanto ancora non è stata sviluppata una tecnologia atta alla sua segnalazione).

            Ma il passo decisivo è stato compiuto per quanto riguarda la dinamica dei colpi: per l’attribuzione del colpo la ratio è stata quella di abolire completamente la valenza del tempo come anticipo e al suo posto sancire invece un sistema basato sul principio del senso unico; quindi l’arbitro ha il gravoso compito di ricostruire il fraseggio schermistico: priorità ha l’attacco – se questo viene parato o comunque non tocca, il diritto di colpire spetta a chi è stato attaccato – se la cosiddetta risposta non tocca, allora il diritto spetta all’originario attaccante  – e così di seguito sino all’eventuale corpo a corpo dove si scatenano le rimesse e i secondi colpi oppure sino all’alt dell’arbitro. Quindi uno scontro reale, ma fortemente condizionato dalla teoria.

            Tutto ciò quindi condizionato ovviamente dalla ratio della realtà: se chi secondo la Convenzione ha diritto di mettere il colpo non attiva la segnalazione automatica delle stoccate, il punto passa all’altro schermitore che invece è riuscito ad arrivare sul bersaglio.

            C’è da fare un’ultima fondamentale considerazione; l’attacco, i cui estremi devono essere giudicati dalla specifica attività del braccio armato e non, come invece in modo erroneo i più ritengono, dall’avanzamento dell’intero corpo, l’attacco, dicevo, deve svilupparsi secondo la Convenzione secondo due necessarie dinamiche: la naturale distensione del braccio e l’effettiva minaccia di un determinato bersaglio.

            La ratio di queste conditio si ne qua non risiede nel limitare troppo vantaggiosi assalti arrembanti e soprattutto nel poter consentire una possibile difesa col ferro da parte dell’attaccato, come nascondere il ferro sino all’ultimo – arrivare sul bersaglio da improbabili traiettorie d’attacco e potersi avvicinare impunemente all’avversario; chi subisce l’attacco delle avere le sue giuste chances difensive.

            Comunque le situazioni appena descritte rappresentano per l’arbitro difficili situazioni da valutare attentamente, ma soprattutto tradiscono lo spirito di un’arma assolutamente convenzionale che esiste solo per congettura regolamentare.

            A comprova di quanto detto faccio osservare che tipo di rivoluzione tecnica ha causato l’utilizzo del fuetto, reso possibile ormai da anni dall’utilizzo di nuovi materiali per le lame: in modo statisticamente rilevante ha de facto mandato in soffitta la difesa col ferro; peccato che non ci si renda conto che per sviluppare la dinamica di questo colpo il più delle volte la punta, al fine di descrivere il necessario arco di cerchio, deve abbandonare pur per una frazione di secondo la prescritta minaccia costante sul bersaglio.

            Queste ultime considerazioni mettono in evidenza un annoso problema:  quanto importante sia non solo la regola stabilita, ma anche l’interpretazione arbitrale che ne viene data. Una ratio a questo proposito recita: adeguarsi al modo di vedere di chi conduce l’incontro.

 

 

Formula di gara

 

            La gestione dei modi di far competere tra di loro gli schermitori ha la sua logica ratio nel numero dei partecipanti ad una determinata competizione..

            Nel dopoguerra il numero degli atleti iscritti alla Federazione nazionale non era molto alto ed ancora non si era sviluppato il settore giovanile.

            Ovviamente, se gli atleti sono pochi, la formula di gara ideale è quella del cosiddetto girone all’italiana, che vede ciascun partecipante incontrare a turno tutti gli altri; questo non solo per avere un completo confronto agonistico, ma anche perché altrimenti la competizione durerebbe veramente troppo poco.

            Porto una testimonianza: a metà anni ’60 del secolo scorso sul giornalino della F.I.S., ovviamente cartaceo, lessi più di una volta che in qualche regione del sud ad una determinata gara regionale c’era un solo iscritto, per cui, senza alcuna contesa, veniva direttamente proclamato campione regionale …appunto per titoli!

            Un altro concetto accessorio abbastanza importante è quello della catalogazione degli atleti circa il loro valore agonistico: invero nella stesura di almeno più di un girone si deve procedere ad un’equa distribuzione dei valori in campo, a cominciare dalla scelta delle teste di serie.

            Il numero degli schermitori, come abbiamo già poco sopra ricordato, la scarsità delle gare e la tecnologia dell’epoca hanno suggerito un metodo basato sulle categorie: ogni anno si disputavano vari campionati, in esordio i Non Classificati – poi i Terza ed infine gli Assoluti, che attribuivano quindi un ipotetico valore che andava confermato almeno ogni due anni, pena la retrocessione nell’attigua categoria inferiore.

            I parametri sopraindicati, già da alcuni decenni, sono cambiati ed hanno quindi obbligato gli organizzatori ad avvalersi dell’eliminazione diretta, in principio moderata da un meccanismo detto di ripescaggio, ma poi diventata secca. La ratio è stata indotta perché altrimenti le gare più importanti sarebbero dovute durare varie giornate di gironi all’italiana.

            Le categorie sono poi state sostituite dal cosiddetto ranking, una classifica individuale oggettiva al massimo in quanto null’altro è che la sommatoria dei vari punteggi acquisiti nelle diverse gare di calendario.

            Di conseguenza sono mutati i parametri dello sforzo degli atleti: prima le gare avevano nel complesso una durata maggiore e gli assalti una durata minore; ora si sono invece invertiti i fattori con le gare che risultano leggermente più corte e gli assalti invece, ovviamente quelli dell’eliminazione diretta, più lunghi; prima lo schermitore aveva cinque minuti più uno eventuale per raggiungere il punteggio di cinque stoccate, ora, doverosamente, il limite si è abbassato a tre, se poi frazioniamo teoricamente l’eliminazione diretta in tre assalti a cinque stoccate.

            Qualcosa è cambiato, non nella teoria schermistica, ma sicuramente nella tattica e nella strategia; la ratio di una dimensione è andata ad influirne altre in altri campi.

 

 

Commiato

 

            Quando si arriva all’ultima pagina di un lavoro si è sempre presi dal dubbio di aver trascurato qualche aspetto importante della materia che ci siamo proposti di trattare; rileggiamo e rileggiamo, ma il dubbio persiste.

            Tuttavia, mi sta veramente a cuore ripeterlo ancora una volta, i miei lavori non hanno assolutamente la pretesa di essere dei trattati esaustivi della specifica materia affrontata, ciò complice la vastità e la complessità della materia schermistica.

            Quello che invece è per me importante risiede nella speranza di esser riuscito ad evidenziare una particolare ottica da cui guardare le stesse cose, ma con occhi diversi; di aver contribuito a stimolare di conseguenza la ricerca personale del lettore, fonte principale della sua formazione.

            Nella fattispecie è stato entusiasmante andare alla ricerca della ratio, cioè del perché, della o anche delle ragioni concomitanti dalle quali poi scaturiscono i dettami delle posture di base dello schermitore, la meccanica dei suoi numerosi colpi e quant’altro.

            Nella scherma tutto ha una sua precisa ragion d’essere e non a caso accanto alla sua dimensione informata all’arte viene anche vantata la sua natura di vera scienza, costruita su dimensioni geometriche e composizione di forza fisiche.

            Ecco rinvenuto, tra i tanti, il fascino più pregnante della nostra disciplina: intuire, ragionare, rinvenire una o più soluzioni logiche al problema posto dall’avversario nelle circostanze situazionali possibili, un attacco, una difesa o un contrattacco.

            Capire, per l’uomo e quindi anche per lo schermitore, è un atto doveroso, non tanto e solo per ossequiare il pressante invito dell’Alighieri “per seguir virtute e canoscenza”, ma soprattutto per esser in condizione, al mutar dei tempi, di adeguarsi al nuovo: si pensi nel campo della scherma alle rivoluzioni legate alla segnalazione automatica delle stoccate, alla valorizzazione della prestazione di carattere fisico, al colpo di fuetto reso possibile dal nuovo materiale utilizzato per forgiare le lame, al cambiamento delle formule di gara e …chissà!