Traduzione: La didattica nell’insegnamento della tattica schermistica


 

 

                                                                      Dedicato a  mia moglie Elena,

                                                                      insegnante e didatta

                

 

 

Introduzione

Preparazione di base dello schermitore

La preparazione globale dello schermitore

Perfezionamento del sistema – schermitore

Importanza dei fondamentali 

Introiezione profonda del concetto di contraria

La velocità di esecuzione

La sequenzialità dei colpi 

Alternanza dei colpi su eguali presupposti 

Vantaggi e controindicazioni 

Conoscenza di sé

La RAM dello schermitore

La percezione dello Spazio e del Tempo

La pedana come luogo fisico

La pedana come luogo tattico

La misura

Modalità di intervento sulla misura

La misura come strumento per lo spostamento tra le varie zone della pedana. 46

Misura parametrata al bersaglio da colpire

Esiguità della misura

Congettura della contraria

Categorie degli avversari 

L’attaccoa natura dei colpi

Azioni garantite

Azioni di attacco semplice

L’attacco in contropiede

Azioni composte

Azioni di doppia finta

L’attacco nelle armi convenzionali 

Schemi tattici di attacco

La difesa

La difesa mista

Le uscite in tempo

Le azioni di prima e di seconda intenzione

Le azioni ausiliarietenzione

La finta in tempo

La specialità della spada

Conclusioni 

 

 

                                                                                                                         

Introduzione

             Portato a compimento il lavoro dedicato alla didattica dell’insegnamento della tecnica, mi è naturale rivolgermi ad un altro aspetto dell’insegnamento della teoria schermistica, appunto quello relativo alla tattica.

            Com’è noto, quest’ultima è in generale lo studio della condotta adottata in funzione del raggiungimento di un determinato obiettivo immediato, obiettivo che nella nostra ottica specifica è costituito dal riuscire a portare sulla pedana la stoccata vincente ai danni del nostro avversario di turno.

            La tattica si contraddistingue invece dalla strategia in quanto quest’ultima non tratta dei singoli episodi di un determinato accadimento, quanto piuttosto si occupa della stesura di un piano di azione di più lungo termine; quindi non del singolo colpo andato più o meno felicemente a bersaglio, quanto altresì del conseguimento della vittoria finale nell’intero match.

            In effetti l’iter schermistico si perfeziona idealmente e materialmente  attraverso la fusione di elementi di tre diverse dimensioni: quella della pura tecnica, una specie di mondo delle idee platonico popolato di ideali posture e meccaniche di colpo; quello della pragmatica tattica, dove le idee surricordate vengono doverosamente calate nella realtà della pedana  condizionata dallo spazio e dal tempo; e infine quella dell’escatologica  strategia, ovvero quella dei fini ultimi per cui si combatte: la sconfitta dell’avversario.

            Il maestro di scherma, come sappiamo, si deve far carico di tutto ciò che l’allievo può utilizzare durante il combattimento: il suo è un insegnamento veramente grandangolare, che riguarda non solo l’attività corporea, ma anche quella intellettuale, sino a spingersi anche alla cosiddetta interiorità dell’allievo. Una costruzione lenta, paziente e soprattutto mirata in funzione del grado di maturazione progressiva del discepolo; nulla deve essere tralasciato oppure lasciato al caso in questo lungo cammino comune.

            Questo mio lavoro intende sottolineare l’innegabile importanza dell’insegnamento della tattica e di conseguenza delle modalità di trasmissione dei suoi contenuti; come sempre avverto, le mie osservazioni non vanno prese come “oro colato”, quanto piuttosto come stimolo alla riflessione personale e magari al confronto di idee.

                                                                                              maestro Stefano Gardenti

a Montemignaio nel luglio del 2021

 

 

Preparazione di base dello schermitore

          Quando il neofita entra in sala di scherma ovviamente nel 99% dei casi è tabula rasa, ovvero è completamente all’oscuro della teoria schermistica, al di là di sporadici affondi o sciabolate di qui e di là, mutuate da qualche ormai raro film di cappa e spada.

            Credo sia erroneo pensare che la sua formazione si debba affidare esclusivamente alla progressiva sommatoria di posture e componenti della tecnica schermistica; come parimenti ritengo opportuno fornire sempre chiarimenti e spiegazioni circa gli insegnamenti forniti.

            E non è tanto una cosa connessa, come può sembrare, ad un’adeguata età del soggetto, quanto piuttosto ad un modo di approccio culturale: in effetti al giovanissimo si dovrà parlare in un certo modo e magari la sua comprensione sarà limitata; tuttavia l’importante sarà di riuscire sin da subito a creare una forma mentis, personale e critica, idonea, secondo il mio parere, a sollecitare e rendere possibile una partecipazione più che attiva al processo conoscitivo. Non nozioni accettate passivamente, ma elaborazioni pur parziali di concetti veramente introiettati.

            Tutto ciò non è di secondaria importanza per la materia che mi sono proposto di esplorare: la capacità tattica, che come già ricordato è la teoria trasportata nel pragmatico, rappresenta il patrimonio personale di ciascun schermitore ed è di fondamentale importanza per il fine ultimo che si prefigge, cioè riuscire a colpire validamente l’avversario.

            Questa prima parte del lavoro sarà quindi dedicata alla didattica da utilizzare nella preparazione tecnica dell’allievo: saranno prese in considerazione tutte le sfaccettate ottiche che entrano in gioco nell’iniziazione di un allievo alla tecnica schermistica.

 

La preparazione globale dello schermitore

            Appena entri in sala, ancor prima di farti vedere un’arma, giustamente ti fanno correre, saltare, fare capriole e similari: le capacità coordinative e quelle condizionali sono importanti, prima che per lo schermitore, per l’individuo in sé e per sé.

            Ovviamente appena l’età lo consente, lo schermitore deve diventare consapevole dell’importanza di queste attività tutt’affatto di contorno: la tecnica schermistica ha più probabilità di successo se realizzata da un corpo ben allenato fisicamente, reattivo alle stimolazioni e resistente al particolare sforzo tipico delle pedane.

            Compito dell’insegnante è far recepire questo importantissimo messaggio e poi impegnarsi al massimo per quel che riguarda il ricorso alla metodologia ludica, ovvero all’utilizzo del gioco per finalità allenanti.

            In questa ottica mi permetterei di segnalare il mio lavoro “Il gioco sulla pedana”, che trovate da scaricare gratuitamente sul sito passionescherma.it nella rubrica Libri e Audiolibri da scaricare.

            Inutile precisare che genere di apporto alla propria capacità tattica possa derivare da un costante e proficuo allenamento sotto la guida dello staff del proprio club: sia sufficiente pensare alla capacità di oculata risposta motoria che mette lo schermitore nelle migliori condizioni per poter attuare i suoi proponimenti in pedana.

           

 

Perfezionamento del sistema – schermitore

          Nel momento in cui il maestro illustra per la prima volta al neofita una determinata postura e poi in seguito, come di rito, la botta dritta come primo prototipo di attacco, in quel momento gli comunica l’idea tecnica; subito dopo le difficoltà insorgenti e le dovute correzioni da effettuare, rappresentano già di per sé un’ambientazione tattica.

            In effetti non si tratta più di sapere come si sta in guardia, ma di stare fisicamente in guardia: dal surricordato mondo delle idee dei trattati si è giunti di fatto sulla pedana. La puntuale e continua vigilanza del maestro ha come finalità la miglior esecuzione possibile da parte dell’allievo.

            Quindi tutta questa attività viene a costituire già di per sé il substrato tecnico della tattica, cioè, in altre parole,  essere nelle migliori condizioni per poter portare a compimento un’idea schermistica: le varie posture, le varie tipologie di colpo, la velocità, la precisione e quant’altro.

            Come sappiamo il corpo dello schermitore rappresenta nel suo insieme un sistema: in effetti ogni singola parte corporea ha nelle varie contingenze tecniche compiti specifici da portare a termine con il preciso fine di rendere efficiente al massimo la prestazione sia offensiva che difensiva; anche il braccio non armato, una spalla o l’articolazione di un gomito possono e devono dare all’occorrenza il loro contributo. Ne deriva che la messa a punto di tutto il sistema risulta determinante per la migliore esecuzione del gesto tecnico.

            Come abbiamo già debitamente evidenziato nel precedente lavoro sulla didattica dell’insegnamento della teoria schermistica, il maestro in modo progressivo rende sempre più reale l’esecuzione dei vari colpi: il suo compito è quello di riprodurre in sede di lezione le condizioni del match sia per quello che riguarda lo spazio sia per quello che riguarda il tempo.

            Ecco, ad esempio, che a cura dell’insegnante la misura si allarga e si stringe sempre in modo più incalzante e che i tempi di reazione dell’allievo sono indotti a diventare sempre più esigui: tutte queste varie attività che cercano di riprodurre in sede di lezione le condizioni ambientali dello scontro sulla pedana hanno una natura fortemente tattica, in quanto costituiscono il substrato tecnico a disposizione dello schermitore per perseguire il fine di riuscire a toccare al meglio un bersaglio dell’avversario.

            In ultima analisi il proprio potenziale tattico dipende in modo diretto sia dalla conoscenza della tecnica in senso lato, sia dalla capacità di produrne la migliore personale realizzazione.

            In tal senso, con il rispetto dei dovuti tempi di assimilazione, l’insegnante dovrà ovviamente far conoscere all’allievo l’intera materia della teoria schermistica ed impegnarsi al massimo nell’esercizio pratico della sua applicazione. Altresì dovrà sollecitare la sua curiosità e facilitare la migliore introiezione dei dati tecnici.

 

Esercizi didattici: tutti quelli descritti ed elencati nelle varie ottiche di allenamento nel mio precedente lavoro “La didattica nell’insegnamento della tecnica schermistica”.

 

 

Importanza dei fondamentali

          Per fondamentali intendo tutta la serie di posture e movimenti che possono prescindere dalla reale presenza dell’avversario sulla pedana; in effetti l’insegnante deve essere recepito dall’allievo non solo ovviamente come fonte dei progressivi insegnamenti, ma anche come verace sostituto dell’avversario stesso. Ad esempio l’insegnante condizionerà lo spostamento sulla pedana, rappresenterà fittiziamente i vari bersagli dove indirizzare i colpi e fungerà anche da parametro per l’affondo e la frecciata.

            Tuttavia sarà proficuo anche far svolgere all’allievo da solo sulla pedana i passi avanti e/o indietro, l’affondo e la frecciata nel vuoto al fine di rafforzare l’idea che si sta allenando appunto nei Fondamentali. Parimenti, oltre che a far indirizzare i colpi sul suo piastrone, l’insegnante deve invitarlo talvolta a colpire un bersaglio appeso al muro o rappresentato da un fantoccio.

            Anche in tal modo il neofita sarà indotto a percepire il suo allenamento come un qualcosa ancora avulso dalla realtà di combattimento e finalizzato quindi a se stesso, come fase preparatoria al reale scontro sulla pedana.

            In questa fase l’allievo deve quindi essere esplicitamente richiamato al perfezionamento di queste prime gestualità delle quali deve prendere mano a mano possesso in modo qualitativamente quasi ottimale, naturalmente in funzione della sua età anagrafica e/o di quella di anzianità di schermitore.

            Il perché di tutto questo risiede nella necessità che il neofita, torno a dire avendo già acquisito doverosamente il concetto di guardia, di spostamento e dei primi rudimenti della tecnica, possa dedicare totalmente la sua attenzione all’acquisizione dei concetti generali di cui tratterò appresso; saranno in effetti limitate al massimo, se non del tutto eliminate, dispendiose e distrattive correzioni relative a posture di piedi, distribuzione del peso corporeo e quant’altro.

            L’allievo, percepita la vera natura di questi Fondamentali, capirà anche da solo che potranno essere oggetto di  allenamento personale fatto anche da solo a casa o comunque anche al di fuori della sala di scherma; con molta probabilità ci sarà anche qualcuno che si allenerà appositamente per ben figurare poi con l’insegnante o per primeggiare tra i suoi compagni, innestando in tal modo un interessantissimo e proficuo processo auto – allenante.

 

  

Introiezione profonda del concetto di contraria

          Il neofita, molto ovviamente, nelle prime lezioni è abbastanza carico di cose da tenere sotto controllo: i numerosi parametri della guardia, le modalità di spostamento sulla pedana e la tenuta sotto controllo del complesso sistema di pesi e contrappesi complessivi dello schermitore che varia le sue posture nel tempo.          Tuttavia sin da queste prime fasi egli deve essere messo in condizione di recepire il messaggio forse più importante di tutta la tecnica schermistica, cioè il concetto di contraria.

            Come sappiamo il mezzo più diffuso è quello di invitarlo a rispettare la misura che l’insegnante varia con i suoi passi avanti o indietro. Ebbene questo è l’istante magico per cercare di razionalizzare (anche con elementi di giovane età) questo concetto: l’avversario fa una cosa e tu devi escogitare qualcosa che tenda a neutralizzare questa sua iniziativa.

            Ancora a digiuno di quasi tutto, l’allievo scoprirà da sé, se adeguatamente indotto, che, se l’avversario si avvicinerà con un affondo, a lui “basterà” arretrare per non essere colpito; oppure nel proseguo della formazione che, se la lama antagonista sta effettivamente per raggiungerlo, l’unico mezzo per difendersi sarà quello di utilizzare il proprio ferro per deviare l’altro. Ad ogni situazione che si verrà a creare cercherà la ratio della contromossa e scoprirà (o comunque sarà indotto a farlo) la o le contrarie possibili.

            Come ben sappiamo, la teoria schermistica non è altro che una successione di presupposti, di reazioni, di controreazioni e così via. Ribadiamo ancora una volta: la conoscenza di questo meccanismo di costruzione della frase schermistica, cioè della contraria come risposta ad una determinata situazione in un costante continuum sino alla conclusione materiale di un colpo, non può altro che favorire non solo la piena comprensione degli insegnamenti che saranno proposti nel tempo all’allievo, ma anche la loro più naturale, spontanea e veloce introiezione.

            Tutto il tempo che si sarà impiegato inizialmente al fine di far capire all’allievo questo generale meccanismo – base della teoria schermistica, darà sicuramente grandi frutti per l’avvenire.

 

 

L’ideazione del colpo

            Quanto prima è possibile l’insegnante dovrà sostituire il comando verbale di un certo colpo con il relativo presupposto realizzato dalla sua lama; ad esempio non più tira la botta dritta, quanto piuttosto effettuare un invito e quindi proporre con il proprio atteggiamento con l’arma la stoccata da eseguire.

            Ciò è di fondamentale importanza in quanto l’allievo imparerà quanto prima che l’unica fonte di informazione per tirare di scherma è quella di relazionarsi con la lama avversaria: la geometria dei colpi gli apparirà quanto prima familiare e quasi del tutto scontata.

            Grande attenzione va quindi riposta nel far comprendere che ogni propria iniziativa è condizionata espressamente da un certo tipo di atteggiamento che l’avversario tiene con la sua arma: in effetti, ad esempio, non c’è azione sul ferro che si possa impostare se ovviamente l’antagonista non ci concede prima il suo.

            Il successivo passaggio è precisare il concetto che tra atteggiamento dell’avversario e propria contraria non c’è la cosiddetta relazione biunivoca; in altre parole si deve sottolineare il fatto che talvolta le azioni da poter costruire sulla lama dell’avversario possono essere anche più di una e questo concede uno specifico vantaggio a chi prende l’iniziativa d’attacco. In effetti, mentre nella realizzazione di una cavazione il tragitto spaziale per giungere a bersaglio è del tutto indotto, le opzioni da poter svolgere su un ferro offerto sono almeno due, cioè battuta e colpo oltre che presa di ferro e colpo; se poi la battuta è effettuata di contro, le possibilità salgono addirittura a tre.

            L’importante è che l’allievo maturi quanto prima questa possibilità di scelta, affinché, al fine di confondere le idee difensive dell’antagonista, le possa alternare nell’ambito di uno stesso match.

 

Esercizi didattici: il conduttore deve alternare nel tempo lo svolgimento di sequenze che contemplino esclusivamente ora reazioni indotte, ora reazioni cosiddette aperte da variare, ora di natura mista; questo con il preciso fine di rendere quasi meccanica l’impostazione della costruzione della contraria.

 

    

La velocità di esecuzione

            All’inizio per il neofita il valore velocità di esecuzione sarà ovviamente messo in seconda linea rispetto a quello della tendente correttezza esecutiva: ogni incremento della velocità sarà proposto e incoraggiato dall’insegnante in seguito alla reale crescita tecnica; ciò sia in relazione alle azioni di attacco, ma anche rispetto a quelle di difesa, in primis a quelle relative alla difesa col ferro.

            Quante volte l’insegnante si ritrova ad invitare l’allievo a diminuire la velocità con cui esegue un certo gesto tecnico perché quest’ultimo viene realizzato male appunto per l’eccessiva foga impiegata!

            Ebbene anche questo è un concetto che il neofita deve essere messo in condizione di oggettivare quanto prima è possibile e ciò con molta ovvietà non per evitare i rimproveri dell’insegnante, quanto piuttosto per autoregolamentarsi proficuamente in modo quasi autonomo.

            L’allievo, il più delle volte, è assolutamente in grado di valutare la qualità del suo colpo, anche perché ciò risulta evidente quando il suo colpo non va a segno; si tratta solo di fargli capire che eccessiva velocità spesso vuol dire scarsa qualità; deve essere perfettamente consapevole che in questo parametro temporale di esecuzione del colpo deve imparare a crescere nel tempo.

            Ecco quindi la funzione importantissima dell’insegnante che attraverso la lezione dovrà portare progressivamente l’allievo alla sua maggiore velocizzazione possibile nei vari stadi della sua maturazione tecnica; ma, torno a dirlo, l’allievo deve essere già consapevole di questo “limite di velocità”.

 

Esercizi didattici: il conduttore dovrà invitare l’allievo ad iniziare ogni azione a velocità ridotta, per poi incrementarla mano a mano anche sotto lo stimolo  della sua voce; l’errore riguardo alla velocità potrà essere sottolineato magari in modo burlesco con un teatrale colpo sulla maschera. L’essenziale è che l’allievo si senta stimolato con una dosata pressione psicologica a tentare di innalzare il proprio limite di prestazione, quasi per gioco, magari con una giusta punta di orgoglio.

 

            A tempo debito c’è un altro concetto della massima importanza circa la velocità che dovrà essere accuratamente evidenziato e sottolineato all’allievo: quando si arriverà a trattare il tema delle azioni composte, ovvero quelle che nel loro meccanismo contemplano la finta, si dovrà fare una doverosa bipartizione; il concetto di velocità recepito e conosciuto sino a quell’istante in effetti sarà assoluto, cioè dipendente esclusivamente dalle capacità dell’allievo; mentre si dovrà attirare l’attenzione che in questo nuovo tipo di azioni di attacco la velocità diventa inizialmente relativa, in quanto dopo aver prodotto l’elemento scatenante finta si dovrà calibrare il movimento di elusione della parata dell’avversario sul suo soggettivo tempo di reazione. Quindi velocità relativa in esordio, per poi passare alla velocità assoluta quando, liberatosi dall’intervento della lama avversaria, si tratterà poi di raggiungere finalmente il bersaglio.

            Il concetto può sembrare semplice e del tutto ovvio per noi ormai possessori del cosiddetto facile logico, ma rappresenta una vera e propria rivoluzione culturale per il giovane schermitore che aveva della velocità solo l’accezione di valore assoluto.

 

Esercizi didattici: al momento opportuno il conduttore dovrà variare in modo marcato la sua velocità di reazione alla finta dell’allievo; non lo dovrà fare solo in modo progressivo, ma anche regressivo e alternando anche consecutivamente i tempi di risposta motoria.

           

 

La sequenzialità dei colpi

            Al neofita non si può chiedere l’impossibile, anche perché, chiedendoglielo, si possono fare grandi errori.

            Dobbiamo sempre metterci dalla parte dell’allievo e cercare di pensare non con la nostra testa di ormai logici schermitori, quanto piuttosto di ragionare come è in grado di poter fare lui a seconda del grado della sua evoluzione.

            Nello specifico: noi sappiamo che la frase schermistica può, naturalmente in linea teorica, protrarsi anche all’infinito, lui sa a malapena tirare una singola botta dritta e tutto sembra finire lì, magari con in più una parata e in seguito con una contro parata.

            Detto questo, dobbiamo far percepire al neofita quasi sin da subito quella potenziale struttura di continuum che è rappresentato dal dialogo tra le lame dei due contendenti, in una parola dal cosiddetto fraseggio schermistico. Ecco perché, ad esempio, è consigliabile far eseguire ad un allievo una botta dritta, non solo seguita dall’ovvio ritorno in guardia, ma anche da qualcosa di accessorio, come un passo indietro se il conduttore avanza o addirittura una parata e risposta se lo stato delle sue conoscenze lo permette.

            Lo schema mentale del neofita deve subito essere impostato non su un singolo colpo, ma sulla reale sequenzialità dei possibili successivi colpi: quindi  stoccata tirata – verifica del risultato – contromisura – verifica …e così via.

            L’allievo comincerà quindi a percepire la realtà dinamica dello scambio di colpi che avviene sulla pedana anche se ancora non ha di fronte il vero avversario per interloquire con lui.

 

Esercizi didattici: il conduttore fa eseguire su un suo invito la botta dritta, colpo che para e a cui fa seguire una magari lenta risposta per consentire all’allievo il ritorno in guardia, seguito o da un rapido arretramento o dalla contro parata, seguita poi dalla relativa contro risposta. Oppure, quando l’allievo produce il colpo di cui poco sopra, il conduttore arretra velocemente di un passo, sollecitando quindi l’allievo a produrre subito dopo un attacco di passo avanti affondo.

            Sempre in tema, oggetto di particolare attenzione dovranno anche essere il ritmo e la frequenza dei colpi:  ovviamente questi dovranno seguire l’evoluzione tecnica dell’allievo, concedendogli sempre un margine rispetto alle sue effettive potenzialità, ciò per garantire la qualità dei suoi gesti.

            Il conduttore dovrà vigilare attentamente e in modo costante su queste soglie per cercare al momento opportuno di elevarle in concomitanza dell’evoluzione fisico – tecnica del suo allievo.

           

Alternanza dei colpi su eguali presupposti

            Al momento ritenuto opportuno, l’insegnante deve far comprendere all’allievo un concetto basilare della tattica schermistica: la monotonia dei propri colpi il più delle volte è un grosso vantaggio che si può involontariamente e pericolosamente concedere all’avversario.

            In effetti il precedente storico offre la possibilità di prevedere un certo tipo di stoccata che è stata già utilizzata; per cui, quantomeno, il consiglio è quello di non reiterarla immediatamente o comunque di non ripeterla troppe volte nell’ambito dello stesso match.

            L’insegnante in questa ottica si può avvalere di una lezione impostata sulla diversità di reazione in successione che l’allievo può e deve dare ad uno stesso presupposto tecnico. Ad esempio sulla linea del maestro, l’allievo può e deve tirare un primo colpo di battuta semplice per poi passare ad un secondo colpo di  battuta di contro, per magari finire con una presa di ferro e filo sul relativo bersaglio.

            Il fine da perseguire sarà quello di produrre nell’allievo la capacità di poter sviluppare in simultanea diverse soluzioni in relazione ad un certo tipo di situazione tecnica; in altre parole la capacità di poter variare in modo del tutto naturale e soprattutto velocemente la propria condotta tecnica di gara.

            Dal punto di vista dell’attacco devono essere prese debitamente in considerazione tutte quelle situazioni che permettono questa ambivalenza di impostazione; quindi sono ovviamente escluse quelle originate da un invito dell’avversario (o comunque una sua involontaria scopertura) o da un suo legamento, in quanto in questi casi la contraria è indotta dalla situazione geometrica.

            Invece, se l’avversario concede di poter lavorare sul suo ferro, varie possono essere le diverse soluzioni da far meccanizzare al nostro allievo: battuta semplice e colpo su un determinato bersaglio, battuta di contro e colpo sul bersaglio opposto, presa diretta di ferro e filo su un bersaglio, presa di ferro di contro e filo sul bersaglio opposto. Ovviamente in funzione del posizionamento della lama avversaria queste azioni possono essere fatte effettuare sulla linea orizzontale (ovvero di terza – quarta) oppure sulla linea trasversale (prima – seconda).

            L’importante sarà il fatto che l’allievo interiorizzi nel tempo non solo la possibilità teorica dell’alternanza dei colpi, ma abbia una sempre crescente dimestichezza nella possibilità di effettuarli in modo indifferente.

            In altre parole compitò importantissimo dell’insegnante sarà quello di evitare quanto più è possibile che il proprio allievo sviluppi nel tempo un suo personale colpo preferito, in quanto, come precedentemente ricordato, questo fatto, andando poi a competere con avversari sempre più qualificati, potrebbe con probabilità ritorcesi contro di lui.

            In effetti l’allievo nel tempo deve essere pienamente consapevole che i tre principi attivi (se così possiamo esprimerci) del concetto di attacco sono: l’avversario deve essere all’oscuro di quando quest’ultimo si attiva – delle sue modalità attuative – del bersaglio prescelto su cui perverrà il colpo. E siccome questi ultimi due fattori sono intimamente interconnessi tra loro e derivano dalla tipologia di attacco portato, in caso di reiterazione di una stessa stoccata, si perderebbe l’effetto sorpresa ad essi connesso, e l’attaccante dovrebbe puntare tutto e solo sulla scelta del tempo. Ovviamente la monotonia ricorrente di ripetuti attacchi ad uno stesso bersaglio faciliterebbe non di poco l’esito positivo della relativa difesa col ferro.     

            Lo stesso concetto vale naturalmente per la difesa: ricorrere sempre alla stessa tipologia di parata per proteggere un determinato bersaglio favorisce in modo enorme l’elaborazione di una relativa vincente azione composta.

            In effetti l’alea più onerosa di cui si fa carico chi esegue un’azione con finta è quella di presumere il tipo di parata da mettere in preventivo di eludere prima di poter finalmente giungere a bersaglio; se si è certi al 100% di quale parata effettuerà il nostro avversario, avremmo un’altissima probabilità di mettere a segno la nostra stoccata.

            Per contro, essere in grado di pilotare la difesa con il ferro in diverse geometrie difensive, complica enormemente l’ideazione di una sicura finta da parte del nostro avversario, sino a renderla praticamente impraticabile, a meno di non correre più rischi che possibilità di successo.

            Il concetto da far capire, appena possibile, all’allievo è quello che in tal modo si tende a depotenziare ai danni dell’avversario non questa o quell’azione, bensì tutta una delle due maxi- dimensioni tecniche, ovvero l’utilizzo dell’attacco.

            L’insegnante soprattutto in questo caso dovrà lavorare ed esercitarsi a fondo con l’allievo: in effetti è innegabile che, se preso alla sprovvista, ciascuno di noi reagisca in modalità assolutamente istintiva nell’utilizzo del proprio ferro (basti l’esempio che, se minacciati, alla testa anche nella vita fuori dalla pedana reagiamo frapponendo il nostro braccio).

            Ebbene, anche se ciò richiede molto impegno ed assidua applicazione, dobbiamo cercare di sostituire all’istinto di cui sopra due (e sono già abbastanza!) reazioni diciamo pavloviane: direi una parata di tasto (la più diretta e semplice) ed una invece di contro. Se con caparbietà (da entrambe le parti) riusciremo a dotare il nostro allievo di questa duplicità di reazione istintiva, quindi assolutamente imprevedibile, le cose si complicheranno a dismisura per le velleità di attacco del nostro avversario.

 

 

Vantaggi e controindicazioni

            L’insegnante ha un altro gravoso compito: quello di far capire all’allievo che nella tattica schermistica pochi sono i valori assoluti, molti quelli relativi.

            Questo può parere anche ovvio perché, a differenza ad esempio di saltatori o di velocisti, lo schermitore non compete con centimetri o secondi, ma con un avversario, o meglio con una serie di avversari, le cui caratteristiche di ogni ordine e grado sono da mettere in relazione alle sue.

            Ma il relativismo di cui vogliamo parlare ora nello specifico risiede anche nella stessa teoria schermistica:  in effetti non esiste un colpo, come del resto anche uno stesso atteggiamento, che di per sé abbia una valore assoluto; in parole povere tutto ciò che si attua in pedana ha dei vantaggi, ma indiscutibilmente nello stesso istante ha anche delle controindicazioni.

            Esemplifichiamo: quando entro nella determinazione di effettuare un legamento posso avere motivazioni di ordine diverso, cioè voglio cercare di dominare pur per un breve istante il ferro antagonista, oppure voglio farne la base di partenza necessaria per un mio attacco di filo, oppure ancora, tirando nel fioretto o nella sciabola (in questo caso si tratta anche di battuta), voglio sfruttare la Convenzione che mi attribuisce la precedenza nella ricostruzione del fraseggio.

            Sono così attento ai vantaggi che mi può arrecare un felice legamento, che probabilmente non tengo in giusto conto il fatto che per legare il ferro avversario devo spostare necessariamente il mio, lasciando di conseguenza sguarnito il relativo bersaglio sottostante (Invito di legamento, in effetti veniva denominato questo gesto dalla terminologia dei vecchi trattati); non solo, ma effettuando una presa di ferro, suggerisco addirittura al mio antagonista di colpirmi con una bella uscita in tempo, basata appunto sull’elusione del mio ferro che naviga nello spazio alla ricerca della lama avversaria.

            Esemplifichiamo ancora: il mio avversario mi ha appena toccato di battuta e colpo e penso quindi di risolvere il problema non concedendogli il mio ferro; benissimo, ora è vero che non posso essere oggetto di battuta e colpo, ma in pratica sono in un atteggiamento di invito e quindi gli apro materialmente la porta di qualche mio bersaglio sguarnito di protezione.

            Ecco che appare evidente un necessario aspetto critico della teoria schermistica che la tattica deve doverosamente smascherare: ogni atteggiamento col ferro, ma direi ogni attività in generale sulla pedana, non è foriera solo di vantaggi, ma anche di controindicazioni.

            Il rimedio, semplice a parole ma un po’ più complesso nella pratica, è di essere perfettamente a conoscenza non solo dei cosiddetti pro, ma anche in parallelo dei contro di qualsiasi attività che si intraprenda sulla pedana con il nostro braccio armato; in tal modo dovremmo senz’altro essere maggiormente pronti a reagire nel caso in cui l’avversario dovesse appunto sfruttare a suo vantaggio queste falle di sistema.

            Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che  anche in questo caso la tattica non solo pragmatizza le nozioni della teoria schermistica tramite il filtro spazio – temporale della realtà, ma, tende in parallelo a far emergere nella loro completezza tutte le antinomie nascoste.

            Forse siamo quasi nella filosofia della scherma, ma, data l’ampiezza e la profondità della nostra Disciplina, ciò non ci deve meravigliare più di tanto.

 

Conoscenza di sé

            Affronto questo particolarissimo argomento naturalmente alla fine della prima parte di questo mio lavoro, ciò quando si presuppone che si sia già instaurato un certo tipo di rapporto tra docente e discente.

            Due cose sono innegabili: che gli elementi umani presentino un vasto campionario di modalità di vita interiore; che il maestro, come antesignano degli attuali psicologi, da sempre lavori non solo sul ferro, ma anche sulla psiche degli allievi.

            L’insegnante, nella fattispecie anche quello di scherma, a questo proposito ha una grandissima responsabilità: una stessa parola può rappresentare uno stimolo per un soggetto come un’inibizione per un altro; un ugual rimprovero può sortire talvolta effetti contrapposti in soggetti diversi; lo stesso dicasi per un apprezzamento o per un complimento.

            Da qui il dovere del docente di indagare sulle singole personalità dei diversi allievi e di adeguarsi camaleontemente a ciascuno di essi; favorito del resto dal fatto che le caratteristiche psicologiche in genere si possono raggruppare in un ristretto numero.

            Ma la tattica?!

            La tattica, come sappiamo, mira, come suo strumento, alla migliore efficienza del già ricordato sistema-schermitore; e il rapporto corpo – mente, o meglio la consapevolezza di sé, è di fondamentale importanza.

            E conoscersi ha variegati e importantissimi significati: è un limite alla propria sopravvalutazione oppure al contrario alla propria sottovalutazione; è consapevolezza di un proprio limite,  consapevolezza che può quindi sprigionare energie appunto per cercare di superarlo; è fondata certezza di poter esprime certi valori di prestazione; è magari consapevolezza di dover ancora apprendere altre cose; …ed è tanto altro.

            L’insegnante ha il dovere di sorvegliare il tipo di rapporto che ogni allievo ha verso se stesso e il mondo: spesso ha il difficile compito di intervenire ora a sollecitare, ora a sopire certi stati d’animo; e questo, lo sappiamo tutti noi che siamo stati schermitori, non è utile solo sulla pedana, ma anche nella nostra vita quotidiana.

            Il Gnosce te ipsum, che compariva sull’architrave del tempio di Apollo a Delfi, è il miglior viatico mentale per consentire allo schermitore l’applicazione della migliore tattica durante il match con l’avversario.

           

 

La RAM dello schermitore

            Una delle incombenze più importanti (e più difficili) dell’insegnante di scherma è quella di impostare la mente dello schermitore o meglio dotarlo di un meccanismo di ragionamento simile a quello della RAM, che soprassiede nei computer all’intera gestione e al funzionamento dei singoli programmi.

            In effetti sul desktop di ogni schermitore ci sono numerose icone che richiamano: – i dati fisici e tecnici relativi all’avversario di turno – le proprie conoscenze e capacità tecniche – i parametri del proprio stato di affaticamento – lo stato di controllo delle proprie emotività – i numerosissimi singoli parametri tecnici del match: registrazione continua della misura, valutazione della velocità di spostamento e di braccio armato, istintualità nelle parate di quest’ultimo, suo utilizzo o meno delle uscite in tempo, posizionatura in un certo istante su una certa zona della pedana, tempo regolamentare ancora a disposizione e così via.

            La contraria, sia in attacco come in difesa, è ottenuta mettendo a confronto tutti questi dati; poi è necessario addirittura attendere la giusta misura e il tempo idoneo oppure attendere l’attacco dell’avversario. Questa è la tattica.

            Tutto fondamentale per giungere alla stoccata ottativamente vincente; ma c’è una seconda fase forse più importante, quella relativa alla valutazione del risultato stoccata; in effetti un match non è altro che una successione di singole battaglie la cui sommatoria porta ineluttabilmente alla vittoria finale.

            Se la stoccata viene messa a proprio favore allora tutto bene, a parte la constatazione del come è stata messa, perché talvolta anche la fortuna recita la sua importante funzione ausiliatrice.

            Se invece a toccare è stato l’avversario, allora il maestro deve insegnare all’allievo come riuscire a valutare l’accaduto: è necessario rinvenire e prontamente le cause che hanno portato all’indesiderato effetto, cause che possono essere di varia natura, tipo un’erronea misura, un’imprecisione della propria punta/lama, una scarsa velocità, una cattiva esecuzione tecnica, una scelta sbagliata del tipo di contraria applicata o quant’altro …e intanto si deve in parallelo continuare a combattere sulla pedana.

            Il poter rimediare è quindi necessariamente connesso ad una veloce capacità critica che evidenzia, individua e riesce prontamente a correggere l’errore o gli errori commessi; quindi questi ultimi, si fa così per dire, sono i nostri migliori alleati per cercare di reagire alle avversità sulla pedana.

            La tattica schermistica, ogni schermitore maturo lo sa, è una realtà in continuo divenire, una specie di sovrapposizione in successione di cause ed effetti; in buona sostanza una specie di passe-partout tecnico per penetrare sui bersagli antagonisti. La tattica muta da avversario ad avversario, anche nel corso dello scontro con lo stesso avversario, cambia e poi torna sui suoi passi, può essere inficiata da un errore esecutivo per cui magari è subito riproposta. Il match lo vince lo schermitore che trova per primo la miglior tattica, accompagnata ovviamente da una corretta esecuzione della tecnica di base.

            L’insegnante sin dai primi liberi assalti in sala deve seguire e favorire questa capacità di analizzare i dati relativi allo sviluppo dell’incontro e di trovare in caso di necessità le dovute contromisure: sovente deve assistere all’avvicendarsi delle stoccate e commentare e far commentare il loro esito, sia in caso favorevole che sfavorevole, al fine di ribadire le positività e di far emergere le negatività. E deve far capire all’allievo che questo dinamismo intellettuale, che precede quello reale sulla pedana, non solo è l’anima dello scontro, ma è il bello della scherma.

                        

 

La percezione dello Spazio e del Tempo

            Anche la scherma, come gran parte delle attività umane, viene svolta in due maxi contenitori: lo Spazio e il Tempo.

            Per quanto riguarda il primo, numerosissime sono le sue accezioni nella nostra disciplina: la sua variazione come nel caso dei continui spostamenti dei due schermitori, la sua quantificazione nel caso della cosiddetta misura, la sua superficie nel caso dell’estensione dei bersagli e così via.

            Anche per il Tempo si può distinguere quello schermistico, quello tecnico, quello relativo alla durata, ad un intervallo e così via.

            Ogni azione, e a maggior ragione ogni fraseggio schermistico, sono pienamente immersi nello spazio – tempo, che quindi, a seconda della qualità di esecuzione, ne determina il più o meno felice esito.

            Anche in questi settori dello scibile schermistico è consigliabile cercare di anticipare ciò che la personale esperienza di pedana metterà a fuoco solo dopo numerosi anni. Si tratta solo di anticipare, naturalmente a tempo opportuno, alcuni temi che appunto sono strettamente collegati a fattori spaziali e temporali: gli allievi andranno aiutati nella focalizzazione delle relative situazioni, ciò al fine di migliorare quanto più è possibile la qualità del proprio valore tattico.

            Come è evidente questo è un campo dai contorni alquanto labili e soprattutto esige un’attenta valutazione del grado di maturazione del singolo allievo, affinché quest’ultimo sia messo nelle migliori condizioni per poter assimilare i concetti proposti.

 

 

Lo Spazio

 La pedana come luogo fisico

            Come sappiamo la pedana è il luogo dello scontro tra i due schermitori:  luogo di verifica dove appunto si constata la bontà delle proprie congetture elaborate nella contraria; luogo reale per antonomasia dove solo una piccola percentuale dell’accaduto è o almeno dovrebbe essere affidata al caso; luogo di verità perché si perde o si vince; luogo magico per le molteplici sensazioni che dona ai contendenti.

            E’ quindi del tutto naturale che si dia la giusta importanza a questa location dove si sfidano le tattiche dei due contendenti.

            La prima considerazione che si deve fare è proprio di ordine fisico; anche se per certe realtà sociali la carenza di pedane è endemica, si consiglia vivamente di impartire sempre la lezione sulla pedana per il semplice motivo che il combattente deve familiarizzare con il luogo di gara: il colpo d’occhio ai limiti laterali, la percezione di essere ad uno dei due limiti finali, la sensibilità dei piedi; tutto deve diventare assolutamente consueto e standardizzato.

            Magari il conduttore le prime volte dovrà esplicitamente richiamare l’attenzione del neofita su questo habitat: magari lo incalzerà per farlo uscire dal limite posteriore e subito stigmatizzerà la situazione; parimenti si collocherà proprio su uno dei bordi laterali, inducendolo indirettamente a fare altrettanto per il rispetto della conveniente geometria garantita dalla linea direttrice; insomma dovrà far percepire che la pedana, mi si passi l’espressione, è il personale territorio di caccia, di cui deve conoscere e tener presente ogni anfratto.

 

 

La pedana come luogo tecnico

            L’utilizzo di pedane anche ben al di sotto delle misure regolamentari di larghezza favorisce non poco l’introiezione, in questi casi veramente indotta, del concetto della linea direttrice (lo abbiamo appena poco sopra ricordato); e sappiamo tutti quanto è importante dal punto di vista tecnico che le azioni vengano sviluppate su questa specie di binario ideale.

            In effetti gli schermitori sono costretti a rispettare questa linea che, se non rispettata, fa insorgere alcune incongruenze di ordine geometrico: i bersagli non sono più equamente distinguibili in interni ed esterni, le parate per difenderli diventano sempre più ampie all’interno della propria guardia e il dialogo tra i ferri è reso quasi impossibile data la loro lontananza.

            A questo proposito il metodo galileiano di verifica è sempre il più redditizio: il conduttore deve alterare artatamente il rispetto della linea direttrice e invita poi l’allievo, senza che quest’ultimo compensi lo spostamento laterale,  a colpire quei bersagli e a sviluppare quelle azioni rese impossibili dall’erronea reciproca postura spaziale; deve essere quindi sottolineato questo disagio di ordine geometrico, che deve istintivamente indurlo a seguire l’eventuale spostamento laterale dell’avversario al fine di riposizionarsi sempre su l’ottimale linea direttrice.

            Torno a dire, le pedane, più strette sono, più assolvono questa importantissima funzione tecnica di primaria importanza

 

Esercizi didattici: il conduttore può riprodurre una prova a contrariis, impartendo la lezione all’allievo sul normale pavimento senza alcuna delimitazione spaziale di sorta; i suoi spostamenti laterali dovranno essere costantemente compensati dall’allievo che si dovrà sempre porre in linea.

 

 

La pedana come luogo tattico

            A ben pensare sotto l’aspetto tattico la pedana può essere suddivisa in tre parti ben distinte anche a prescindere dalle visibili linee che la attraversano in senso latitudinale.

            Come sappiamo ad inizio di ogni stoccata in palio lo schermitore si deve posizionale sulla linea di messa in guardia a 2 metri dalla linea di mezzeria; poi alle sue spalle ha la linea di avvertimento ad ulteriori 3 metri e infine, dopo altri 2, c’è lo spauracchio del limite finale; quindi in realtà i due contendenti hanno a disposizione 10 metri in cui potersi affrontare senza orpelli spaziali di sorta.

            Indubbiamente, uno schermitore, superando all’indietro  la linea di avvertimento, entra in una zona diciamo di pre-allarme, una zona abbastanza esigua, diciamo di circa un metro.

            Arretrando ulteriormente, la linea finale, sorpassando la quale risulterebbe penalizzato con una stoccata dall’arbitro, si avvicina in modo preoccupante; ecco che la zona potremmo definirla di allarme massimo.

            Inutile tacere che le tre zone, proprio in relazione alla dimensione dello  spazio a disposizione, non possono non influire in modo diretto sulle scelte tattiche dei due contendenti: ovviamente uno nel ruolo del pressato e l’altro in quello di pressante.

            In effetti, come ben sappiamo, lo spazio, inteso in questo frangente come misura, già ricopre di per sé una grande importanza, vieppiù in queste particolari condizioni di opposta dinamica.

            Lo schermitore pressato ad un certo punto sa di non poter più arretrare, ma lo sa anche colui che pressa; quindi, nel diverso gioco dei ruoli, si possono fare alcune considerazioni tattiche molto importanti, naturalmente a condizione che i due contendenti abbiano già una solida base tecnica.

            Dall’ottica di colui che pressa si può mettere in campo un’azione di controtempo in quanto l’avversario con quasi certezza reagirà all’ulteriore avvicinamento con un’uscita in tempo; ovviamente non si può escludere a priori che invece si affidi ad una difesa col ferro, ma la nostra considerazione poggia ineluttabilmente sulla legge dei grandi numeri.

            Dall’ottica di colui che è pressato si può mettere in preventivo questo probabile controtempo dell’avversario, quindi la relativa contraria è la finta in tempo; anche in questo caso la realtà può sfatare questa previsione, ma anche qui invochiamo la legge sulle probabilità surricordata.

            In effetti noi schermitori maturi sappiamo benissimo che ogni stoccata ha una storia a sé e che ogni congettura può essere smentita dalla prova dei fatti; ma sarebbe un vero suicidio tattico non tenere in doveroso conto che in certi tipi di situazioni molto indotte, le risposte tecniche sono appunto altrettanto indotte. Ci mancherebbe solo di dubitare della bontà di questa specie di imbuti tecnici.

 

Esercizi didattici: per questo aspetto che attiene la natura tattica della parte terminale della pedana, suggerisco i cosiddetti assalti condizionati.

            In pratica, facendo disputare un assalto, i due schermitori, anche dopo ogni stoccata, non vengono fatti posizionare come di consueto sulle rispettive linee di messa in guardia, bensì uno con il piede posteriore sull’ipotetica linea dell’ultimo metro alle sue spalle e l’altro a debita misura con le punte che si sfiorano appena.

            Ovviamente, concluso il primo assalto, le parti vengono invertite e quindi i contendenti vengono a trovarsi nelle opposte situazioni ambientali.

            Proponendo in modo indotto queste situazioni che spesso vengono a verificarsi nel normale match, sicuramente perseguiremo un tipo di allenamento specifico, valido sia per colui che è sfavorito dal residuo spazio a disposizione, pena la stoccata, sia per colui che è riuscito a mettere alle cosiddette corde il suo avversario.

            In queste situazioni spaziali estreme innanzitutto alleneremo la gestione dello stress sia emotivo che fisico, stress sicuramente più intenso in queste condizioni rispetto alle altre zone della pedana in cui c’è la valida alternativa di poter ancora vicendevolmente retrocedere.

            Indurremo per necessità estrema i nostri allievi ad avvalersi di due dei meccanismi più complessi della tecnica schermistica, cioè del controtempo e della finta in tempo.

            Svilupperemo, in modo ovviamente contrapposto, due valori aggiunti al normale spostamento conosciuto e applicato dai nostri allievi: la pressione decisa in avanti e la contrapposta resistenza a non mollare invece terreno.

            Solleciteremo la ricerca e la verifica personale di tattiche alternative come ad esempio la partenza sull’a-voi, lo spostamento laterale per attaccare al di fuori della linea direttrice e quant’altro.

           

           

      Il tempo

 

            Anche il Tempo, come del resto abbiamo visto lo Spazio, ha un notevole momento nel campo della tattica.

            Innanzitutto ritornerei, pur in breve, sul concetto di velocità non più vista come caratteristica generale del colpo, bensì come specifica dimensione temporale del colpo.

            Il neofita quasi sempre pensa che la velocità sia esclusivamente il prodotto del lavoro muscolare, quindi è necessario prospettargli mano a mano le altre valenze del tempo.

            La più elementare, anche se la più nascosta come la Luna dietro il dito, si riferisce alla geometria del colpo: in effetti, a parità di velocità, un percorso più breve viene coperto in minor tempo. Basta invitare l’allievo a porre la sua lama marcatamente fuori dalla linea di guardia, chiedergli di colpire al rallentatore il nostro bersaglio interno seguendo il percorso della sua punta nello spazio. Ciò non significa che tutte le stoccate debbano essere sviluppate attraverso le sole traiettorie rettilinee, ma rende senz’altro più consapevole lo schermitore alla ricerca di una maggiore velocità.

            Intrattenendoci sempre sul Tempo, non possiamo certo trascurare ciò che i trattati si limitano solo ad accennare circa i tre elementi fondamentali della scherma: spazio, misura e, appunto, tempo.

            La definizione che ne danno è in effetti alquanto generica: l’istante più propizio per iniziare il proprio attacco. Non è certo la concomitanza di uno sternuto del nostro avversario; neanche un insetto che è riuscito ad entrare sotto la maschera!

            Scherzi a parte, l’aspirante didatta deve farsi veramente attivo e diligente: il nostro allievo dovrà capire che tutte le volte che l’antagonista è in momentanea stasi spaziale, proprio in quell’istante sarà nelle migliori condizioni per poter reagire attivamente nei confronti della nostra iniziativa d’attacco.

            Quindi un primo principio in questo campo, ragionando a contrariis, è quello di cercare di sorprenderlo mentre sta effettuando un qualche movimento, sia con l’intero corpo, ma anche con il solo braccio armato; ciò non solo perché egli è impegnato intellettivamente, ma anche perché, per potersi opporre alla nostra iniziativa, prima deve arrestare i movimenti in cui si sta producendo e solo dopo può indirizzare questi ultimi a realizzare la sua contraria.

            Una seconda possibilità può essere realizzata tramite una fulminea partenza sull’a-voi, quando l’avversario con sufficiente probabilità ancora non se lo aspetta e quindi viene valorizzato al massimo l’effetto sorpresa.

            Una terza da costruire quando l’avversario è solito riprodurre in sequenze un certo tipo di spostamento in avanti, magari accompagnato da un ricorrente movimento del braccio armato; ovviamente il colpo, qualunque esso sia, non va tirato alla fine del gesto ripetitivo, ma con la puntualità di un cronometro svizzero, sull’inizio o verso la fine dello stesso.

            E così via, perché la fantasia, la voglia di provare nuove soluzioni sulla dimensione tempo …sono il bello della scherma.

            Questo è ciò che va, tra le altre cose, infuso nella mente e nello spirito del giovane schermitore che sta crescendo tecnicamente: la tattica è uno sconfinato campo di applicazione in cui ogni allievo sufficientemente evoluto deve avventurarsi, beninteso in collaborazione con il proprio maestro a latere e sotto la sua supervisione tecnica.

            A seguire, sempre nel campo Tempo, non possiamo trascurare il cosiddetto tempo tecnico, ovvero ciò che scandisce l’esecuzione di ogni colpo, il metronomo degli schermitori.

            In effetti la stoccata, anche quella più semplice, è contraddistinta da uno o più tempi tecnici: la botta dritta ne ha uno, le azioni con finta semplice ne hanno due e così via sino ai confini della galassia della teoria schermistica, dove troviamo la finta in tempo che ha ben quattro distinti tempi tecnici.

            Essere a conoscenza di queste scansioni consente allo schermitore di eseguire l’intera azione cogitata nel migliore dei modi, quindi di dare il maggior supporto possibile alla sua tattica; ovviamente più le azioni sono complesse, più il rispetto assoluto dei tempi tecnici diventa assolutamente necessario per poterle portare vittoriosamente a termine.

            Il tema Tempo è praticamente sconfinato: il tempo come attesa, come istante, come durata, come intervallo, come anticipo, come ritmo, come esordio, come preparazione, come stasi, come recupero.

            In ognuna di queste configurazioni ci sarebbero importanti considerazioni da fare dalla prospettiva tattica, ma non voglio eccessivamente appesantire questo lavoro; per cui invito coloro che fossero interessati a scaricare dal mio sito passionescherma.it alla rubrica Libri e audiolibri il mio lavoro Lo Spazio e il Tempo nell’assalto di scherma.

 

Esercizi didattici: la procedura degli assalti condizionati può essere applicata anche nei risvolti temporali dello scontro.

            Il conduttore fa svolgere assalti della durata di un minuto effettivo di combattimento; una volta assegna la priorità (che in caso di  parità assegna la vittoria) ad uno dei due schermitori, poi le parti si invertono.

            Un’altra formula può essere quella di assegnare la vittoria a chi mette per primo una stoccata.

            Una variazione ulteriore può consistere nel far partite i contendenti con una differenza di stoccate in un match di un minuto effettivo; poi come al solito le parti si invertono.

            Lo scopo di questi assalti condizionali è quello di riprodurre artatamente alcune situazioni di pedana caratterizzate dal fluire del tempo; lo scopo primario è ovviamente quello di immergere al massimo la tattica in questo determinante contenitore e cercare, prima di capire e poi di attuare tutto  ciò che l’orologio può condizionare a nostro favore nel raggiungimento della stoccata vincente.

           

           

La misura

            A mio parere questo particolare aspetto dello spazio merita per la sua notevolissima importanza un capitolo in esclusiva.

            In effetti solitamente ci si spinge poco oltre al suo significato più immediato, cioè alla distanza di reciproca garanzia che ogni schermitore frappone tra sé e l’avversario; il solo altro riferimento dei trattati è la nota sua tripartizione in stretta, giusta e lunga.

            Innanzitutto è necessario osservare che la misura non è assolutamente standardizzabile, ma piuttosto è una variabile condizionata dal rapporto tra le altezze dei due contendenti: due stature pressappoco uguali in genere non creano alcun particolare conflitto, diversamente avviene invece quando questi due valori differiscono in modo significativo.

            Nelle due ottiche contrapposte e in funzione di chi vuole attaccare o difendersi si crea ovviamente un conflitto d’interessi: quindi prima ancora che possa cominciare il dialogo tra i due ferri, una prima battaglia ha proprio per oggetto la ricerca della misura personale più congrua a ciascuno dei due contendenti nelle loro contingenti congetture. E non è certo da ricordare l’importanza che ricopre la misura: può favorire o depotenziare spazialmente un attacco, come può facilitare oppure rendere inutile una difesa.

            L’insegnante dovrà far capire quanto prima possibile all’allievo questo fondamentale concetto e parimenti collegarlo in modo diretto all’importanza della propria capacità di spostamento veloce sulla pedana, quindi passi, ma anche balzi.

Esercizi didattici: si potranno organizzare sfide di passi avanti o indietro su prestabilite distanze, anche a cronometro; oppure sfide  in guardia sulla pedana con un elemento che incalza e l’altro che arretra e poi viceversa.

            Un altro concetto da trasmettere all’allievo sempre in tema di misura potremo definirlo attacco in economia: il significato è che lo spostamento in avanti che ci permette di raggiungere un bersaglio dell’avversario deve essere parametrato all’effettiva misura che ci separa da esso; in altre parole tutte le volte che la nostra lama si fletterà troppo avremo un’indiretta prova del nostro errore in eccesso.

            Un caso clamoroso potrebbe essere quello di effettuare un attacco tramite un passo avanti affondo quando invece sarebbe stato sufficiente un semplice allungo. In effetti l’allievo deve capire che ogni colpo ha per la sua migliore efficacia un suo preciso range spaziale: mentre è di facile intuizione il fatto che il bersaglio non si possa colpire perché troppo distante, meno intuibile è il caso opposto, cioè che non lo si possa toccare perché manca lo spazio necessario.

            Registrare la propria capacità di spostamento spaziale è una delle sensibilità tecniche di più difficile raggiungimento: quasi sempre si preferisce strafare, correndo però il rischio poco sopra accennato.

            L’allievo deve anche comprendere che il proprio affondo non è normalizzato, cioè avere un valore costante di spostamento in avanti, ma, all’occasione, può essere realizzato con un certo margine in plus o in minus.

 

Esercizi didattici: il conduttore deve lavorare di fino sulla misura ampliandola o stringendola, preannunziando magari all’allievo di utilizzare solo l’affondo; poi successivamente può lasciare all’allievo la scelta tra affondo o passo avanti affondo, commentando di volta in volta la sua risposta motoria.

 

 

Modalità di intervento sulla misura

            Come ben sappiamo sulla misura non si interviene solo tramite la produzione di passi e balzi nelle due direzioni: in effetti esistono alcuni meccanismi atti a produrre significativi risultati.

            En passant ricordiamo già il diverso risultato che si ottiene utilizzando l’energico balzo al posto del semplice passo; ma del resto allo schermitore non conviene fare sempre il canguro sulla pedana (la cosiddetta balestra), soprattutto quando ha bisogno che la sua punta operi di precisione.

            Ecco che il nostro allievo al momento opportuno deve imparare a conoscere il procedimento del raddoppio, che consiste nell’avvicinare il piede dietro a quello avanti prima di andare in affondo, una specie di Kers oppure l’apertura dell’alettone per i cultori della Formula 1: in effetti si guadagna in espressione spaziale in avanti della quantità di centimetri preesistente nella distanza tra i due piedi caratterizzante la normale postura di guardia.

            Il movimento non presenta difficoltà di sorta, magari c’è un concetto più difficile da far recepire all’allievo: questo potenziamento dello spostamento in avanti è sconveniente applicarlo in modo continuativo, per il semplice motivo che l’avversario, registrata di conseguenza a modo la relativa misura, può rendere meno efficace il colpo; si tratta invece di intervallare sapientemente il suo utilizzo, al fine di sfruttare al massimo l’effetto sorpresa e magari cercare di nascondere meglio questo sotterfugio tecnico.

            La tecnica dell’avvicinamento temporaneo tra i piedi può anche essere utilizzata in presenza dei soli passi, sia in avanti che all’indietro: come sopra accennato il guadagno spaziale coincide al massimo con la distanza iniziale tra i piedi in guardia; chi tira o ha tirato di scherma capisce l’importanza di poter disporre di uno spazio anche così apparentemente esiguo.

 

Esercizi didattici: il conduttore varia sovente la misura e invita l’allievo a sviluppare l’azione prestabilita optando per il raddoppio solo quando necessario.

           

 

La misura come strumento per lo spostamento tra le varie zone della pedana

            La misura non ha solo la funzione di salvaguardare da opposte ottiche l’incolumità dello schermitore durante la fase di studio; assolve anche un’altra importante funzione tattica: quella di poter sospingere l’avversario lungo le diverse zone della pedana.

            A questo riguardo le due configurazioni più classiche sono quelle connesse allo schermitore che vuole mettere alle corde il suo avversario sospingendolo verso il limite posteriore della pedana; l’altra, al contrario, è quella dello schermitore che cerca di attuare invece un controspinta.

            L’argomento è stato affrontato alcuni capitoli addietro quando è stata trattata la pedana come luogo tattico, ma ho ritenuto importante ribadire questo concetto che, appunto per il fatto di essere alquanto ovvio, corre invece il pericolo di non essere abbastanza oggettivato dall’allievo.

 

Esercizi didattici: rimando al capitolo dedicato alla pedana, dove illustro i cosiddetti assalti condizionati spazialmente.

 

          

Misura parametrata al bersaglio da colpire

            Sempre in tema di misura è doveroso fare un discorso molto particolare circa la sciabola e la spada.

            Queste due specialità sono caratterizzate dal fatto di considerare come bersaglio valido non solo il busto dello schermitore, ma anche i cosiddetti bersagli avanzati: polso, avambraccio e braccio per entrambe, gamba e piede ovviamente avanti per la spada.

            Il concetto di misura richiede ovviamente l’individuazione dei due punti dell’ipotetico segmento, che unisce la posizione della punta/lama nello spazio in un certo istante e il luogo del bersaglio dove si congettura di far giungere il colpo.

            Ebbene, la presenza di bersagli differentemente posizionati nello spazio, appunto tronco e bersagli avanzati, determina la configurazione di due misure: la prima in relazione al cosiddetto bersaglio grosso del tronco, la seconda rispetto a quelli più prossimi.

            Compito dell’insegnante è chiarificare quanto prima questo concetto agli sciabolatori e agli spadisti: la scelta del modo di spostamento per tirare un attacco è funzione del tipo di bersaglio; l’evidente controindicazione è che uno stesso modo di avvicinamento, se non opportunamente parametrato, può sortire l’indesiderato effetto di non riuscire a toccare perché il bersaglio è o troppo vicino o troppo lontano

            Anche in questo caso è opportuno all’inizio ricorrere al metodo galileiano: il conduttore a giusta misura rispetto al corpo, invita l’allievo ad effettuare un affondo per colpire il suo polso; ponendosi subito dopo a giusta misura rispetto al polso, invita l’allievo a colpire con il solo allungo il suo bersaglio grosso. La ricezione del messaggio dovrebbe essere istantanea e continuando in tal modo l’acquisizione dell’istruzione appare garantita.

         

Esiguità della misura

            A causa dell’innalzamento della prestazione atletica dello schermitore e il frequente ricorso al colpo di fuetto, oltre anche alla scelta tattica di sviluppare attacchi in simultanea soprattutto nella sciabola e oltre naturalmente alla pura casualità, molto ricorrenti sono le cosiddette situazioni di corpo a corpo.

            Il Regolamento a questo proposito è estremamente preciso: l’arbitro deve interrompere il combattimento quando ai due tiratori è interdetto la costruzione di una normale azione; e la cosa è evidente, in quanto in questo lavoro è stato ricordato più volte che ogni colpo esige per il suo sviluppo un suo minimo ambito spaziale.

            A giudicare dalle foto che vengono diffuse sui social forse c’è qualcosa che ci sfugge; numerose e variegate sono le posizioni circensi assunte dagli atleti: rimesse o secondi colpi che sono portati da dietro la proprio schiena, addirittura transitando in mezzo alle proprie gambe, effettuando anche balzi degni di un cestista; posture difficoltose anche per i più capaci contorsionisti.

            Lungi da me il voler apparire un esteta, estimatore delle posture di guardia a braccio disteso, tanto per intendersi alla Athos di San Malato; ma scommetto che anche gli estimatori del pugilato aborriscono i ripetuti colpi al fianco che talvolta i due contendenti continuano tranquillamente a darsi nei loro corpo a corpo prima del break.

            Il corpo a corpo ovviamente non può essere completamente bandito dal match; a mio parere si tratta solo di attenersi in modo più stringente alla surricordata norma, affinché abbia nella disputa la sua giusta dimensione e peso; soprattutto vigilare a chi per primo genera il contatto fisico: ricordiamoci che nelle armi convenzionali chi ha effettuato una parata ha diritto alla relativa risposta, che non gli può essere negata da una maliziosa chiusura dell’avversario.

            Ciò detto, è necessario affrontare il problema e quindi didatticamente siamo mal posti: in effetti come potremmo limitare l’imitazione di questi gesti visti in gara ai nostri allievi?!

             Lasciamogli pure la libertà di effettuarli, ma parallelamente insegniamo loro anche le altre tecniche, forse meno appariscenti, ma non per questo meno redditizie.

            Il problema del corpo a corpo notoriamente sorge quando i due schermitori si trovano ad una misura tale che questa risulta inferiore alla lunghezza del braccio armato.

            La meccanica non può consistere altro che nella riduzione di quest’ultimo: quindi è necessario ricorrere alle articolazioni del polso, del gomito e della spalla per spezzare appunto la linea del braccio armato.

            Tatticamente dovremo comunque fornire al nostro allievo un importante concetto: quando ci si trova a stretto contatto con l’avversario è conveniente mantenerlo e cercare ovviamente di riuscire a colpirlo; ma ci si deve ben guardare dall’allontanarsi per recuperare spazio per il nostro colpo, in quanto mentre noi saremmo impegnanti in due attività, appunto l’allontanamento e il tirare il colpo, quest’ultimo potrà concentrarsi solo sul vibrare il suo colpo.

 

Esercizi didattici: il conduttore deve suddividere i corpo a corpo generati per allenare l’allievo in tre diverse situazioni: una quando è l’avversario a chiudere e quindi chi si allena nel corpo a corpo è in genere in postura di allungo; un’altra in condizioni ribaltate; la terza con entrambi gli schermitori in allungo o in posizione eretta.

 

Congettura della contraria

            Il senso di contraria può essere ben espresso da una similitudine: come chi compone un puzzle, prima osserva tutte le tessere già piazzate e poi cerca tra i pezzi ancora da collocare quelli che presentano le caratteristiche di un possibile incastro, così lo schermitore prima osserva le peculiarità del suo avversario e poi cerca tra i suoi colpi quello che può applicare con buona probabilità di successo contro di lui.

            Questo incipit pone in evidenza due aspetti fondamentali della congettura della cosiddetta contraria, cioè di ciò che si pensa possa consentirci di prevaricare il nostro antagonista: l’attività di osservazione e il rinvenimento dello strumento idoneo.

            Ma ancor prima di questi due elementi è necessario sviluppare quanto prima nell’allievo un preciso concetto tattico: se scendo in pedana e non ho conoscenze pregresse circa il mio avversario, devo tenerlo a debita distanza, cioè mi devo preoccupare, come si dice in gergo, di allungare la misura per non espormi ad alcuna sorpresa da parte sua. Poi, mano a mano che tasto le sue capacità di spostamento, allora cerco di registrare al meglio la misura secondo le mie convenienze; già, ictu oculi, può essere utile il paragone tra la sua e la mia altezza, comunque l’imperativo categorico deve essere quello di diffidare al massimo delle sue capacità. Questo è il primo precetto tattico da ricordare quando si sale sulla pedana.

            Passiamo ora alla preannunziata attività di osservazione: spetta all’insegnante inculcare (proprio inculcare) nell’allievo la procedura mentale di non prendere alcuna iniziativa d’attacco senza prima aver doverosamente saggiato le caratteristiche difensive dell’avversario. In effetti sappiamo che ogni azione d’attacco è già basata solo su presupposti spaziali e di probabili gestualità del braccio armato (almeno nelle azioni composte); intraprendere un’iniziativa, lancia in resta, senza alcuna informazione appare veramente privo di qualsiasi logica, come puntare a caso un numero alla roulette.

            Naturalmente gli avversari appartengono a due categorie: quelli che non abbiamo mai incontrato in precedenza e invece quelli con i quali abbiamo già incrociato il nostro ferro; comunque anche in questo secondo caso la prudenza non deve mai essere tralasciata, anche perché la preconoscenza che noi abbiamo di lui, anche lui ce l’ha di noi.

            La stessa teoria schermistica ha escogitato il cosiddetto Scandaglio, che consiste in una serie di finte col corpo e con il braccio armato con lo scopo di verificare l’istintualità difensiva dell’avversario.

            In un secondo istante tutte queste informazioni, unite a quelle riguardanti il presunto rapporto di velocità esistente tra i due contendenti, compaiono, per usare un termine oggi in voga, sul desktop dello schermitore, che a questo punto deve utilizzare la seconda parte dei dati, ovvero quelli che sono compresi nel suo bagaglio tecnico.

            E’ da questo vaglio che nasce l’idea di una contraria per quanto riguarda la determinazione d’attacco; poi, prima della realizzazione pratica, si dovranno ulteriormente attendere le migliori condizioni di misura e tempo o addirittura anche una determinata postura del braccio armato avversario prima di poter scatenare il vero e proprio attacco.

            Dall’ottica difensiva poco cambia rispetto alla procedura mentale che abbiamo or ora ravvisato; la sola differenza sarà quella di dover attendere l’iniziativa antagonista per poterci intervenire sopra.

            L’insegnante dovrà parecchio insistere su questi concetti procedurali che, pur apparentemente semplici e ovvi, sono di difficile e lunga digestione da parte di molti allievi, che preferiscono abbandonarsi alla loro istintualità.

 

Esercizi didattici: il conduttore assume un certo tipo di atteggiamento con la sua arma e l’allievo deve costruirci sopra la sua contraria; subito dopo, o successivamente ad un certo numero di ripetizioni concordate, il conduttore varia il suo atteggiamento, costringendo l’allievo ad una nuova contraria e così via.

 

            Questo per quanto attiene l’attacco; invece nel campo della difesa il conduttore varierà di volta in volta appunto la tipologia della sua difesa, solo indietreggiando, alternando le modalità di parata o addirittura producendosi in una uscita in tempo.

            Tornando al discorso della congettura della contraria, dobbiamo ribadire il concetto che, una volta studiate le caratteristiche dell’avversario, si tratta di rinvenire il colpo che ci sembra più idoneo ad ipotecare la stoccata in palio.

            Va da sé che più completo è il mio bagaglio tecnico, più opportunità tecniche ho a mia disposizione per la scelta più adatta alla situazione contingente.

            Di questo concetto naturalmente è a conoscenza l’insegnante, che quindi, pur rispettando i normali tempi di digestione tecnica dell’allievo, deve progressivamente illustrargli tutta la teoria schermistica, dall’alfa alla famosa omega.

            A questo proposito due considerazioni.

            La prima che di questa crescita tecnica deve esserne pienamente consapevole l’allievo, che, se opportunamente sollecitato, dovrebbe letteralmente scalpitare per conoscere sempre più nuove soluzioni ai problemi che gli si prospettano cominciando a disputare i suoi primi assalti sulla pedana.

            La seconda che un imperativo categorico per l’allievo dovrebbe essere quello di cercare di realizzare solo tipologie di azioni a lui note, non abbandonandosi invece  a scimmiottare quanto magari vede fare a compagni più evoluti di lui. Il senso non è certamente quello di comprimere o peggio reprimere alcune sue istintualità, quanto quello di capire che quando si tratta di competere è conveniente utilizzare solo strumenti dei quali si è pratici a sufficienza; in tal modo si hanno senz’altro maggiori probabilità di successo.

            Comunque sappiamo bene che questo è un tema delicatissimo: in effetti la conoscenza teorica di un colpo è solo l’inizio, poi ci sarà da perfezionarlo e velocizzarlo nel tempo tramite la lezione con il maestro e, una volta pervenuti al nostro apice esecutivo, dovremmo comunque continuare a fare la lezione per mantenere inalterata questa nostra capacità acquisita.

            L’insegnante deve talvolta trasportare l’allievo in questo mondo fatto di desiderio di conoscenza e fatica, di fatica e di desiderio di conoscenza: è così che si comincia a costruire il proprio patrimonio tecnico, è così che le nostre istanze tattiche avranno delle solide e fruttuose basi.

 

 

Categorie degli avversari

            Come abbiamo già ricordato, l’attività di scandaglio permette, o almeno dovrebbe permettere, allo schermitore di mettere a nudo le istintualità difensive dell’avversario, cioè le sue parate più ricorrenti o l’eventuale tendenza ad usufruire delle uscite in tempo. L’altra forma di informazioni, come già detto più volte, è naturalmente costituita dal precedente storico, ovvero dal fatto che ci siano stati precedenti match.

            Comunque, una volta che queste caratteristiche vengono evidenziate, è opportuno che l’insegnante spieghi all’allievo che è conveniente che esse vengano ricordate e organizzate non tanto e solo in relazione ad ogni singolo schermitore, ma addirittura per categorie di avversari; ecco che col tempo l’allievo si costruirà un archivio personale relativo a dati di ordine sia fisico, sia tecnico, ma anche di natura caratteriale.

            In altre parole la catalogazione avverrà per specifici dati con annessa la relativa contraria: ad esempio altezza e quindi per consequenziale relativa velocità = allungare o stringere misura a seconda dei casi –  per tipologia di parata istintiva (di tasto o di contro) = esecuzione di una cavazione o di una circolata –  per tipo di uscita in tempo (inquartata, contrazione o similari) = ricorso al controtempo –  e quant’altro. In tal modo sarà già conosciuta in precedenza la soluzione dell’equazione caratteristiche antagoniste – contraria.

            Ovviamente tutto ciò avrà sempre un mero valore relativo, come del resto è caratteristico della nostra disciplina: la verità lo schermitore la conosce solo e soltanto a posteriori, come amerebbe dire il filosofo Kant.

            Questa semplificazione tattica produce senz’altro benefici effetti sullo svolgimento dell’assalto: i tempi della ricerca della giusta contraria dovrebbero accorciarsi non di poco, consentendo di conseguenza allo schermitore di avere più opportunità temporali per allocare il colpo al meglio circa la misura e la scelta del tempo; in altre parole la durata ideazione del colpo – sua esecuzione dovrebbe contrarsi alquanto.

           

            

L’attacco

            Attaccare, come sappiamo, significa prendere l’iniziativa e dar vita al  cosiddetto fraseggio schermistico.

            Dell’attuazione di un disegno intelligente e non casuale abbiamo appena detto; ora si tratta di precisare alcuni principi tattici della massima importanza.

            Ricordiamoci che l’allievo non è ancora in possesso di specifici elementi in questo campo, per cui è fondamentale intrattenerlo non solo nella scoperta esecutiva del colpo, ma anche nella filosofia e soprattutto nei principi che lo informano.

            A proposito dei principi generali che governano l’attacco, prima che l’allievo lo scopra da solo, l’insegnante deve far presente una cosa della massima importanza: l’attacco, lo vedremo tra breve, ha i suoi vantaggi, ma anche le sue controindicazioni, come del resto ogni iniziativa o risposta all’iniziativa.

            In effetti mentre l’attacco è univoco nella sua impostazione, la difesa può avere un ventaglio di reazioni diverse: l’avversario può arretrare (la cosiddetta difesa di misura), può parare e poi colpire di risposta (la cosiddetta difesa col ferro), può effettuare contemporaneamente entrambe queste due cose, può infine anche rispondere con un’uscita in tempo, che pur impropriamente potremmo definire un attacco su un attacco.

            Il rapporto di probabilità è quindi di uno a quattro; ma cosa vuol dire questo, che forse non è conveniente attaccare? Assolutamente no, anche perché vige per Regolamento il premiante concetto di precedenza dell’attacco nelle armi cosiddette convenzionali.

            La risposta a questa domanda la dà la tattica: la convenienza ad attaccare o a difendersi deve essere messa in relazione a tante cose: ad una differente fisicità tra i due contendenti, ad un diverso grado di maturazione tecnica, ad una situazione di punteggio, alla vicinanza della scadenza del termine regolamentare di scontro, ad un altro fine strategico e così via.

            Poi, umanamente e soprattutto nella fase di costruzione del proprio Io schermistico, entrano anche in gioco convinzioni personali, gusti e quant’altro; ma all’allievo andrà fatto capire che più l’azione viene sottratta agli oggettivi principi tattici, più ha meno probabilità di risultare vincente; ciò naturalmente non caso su caso, ma nel calcolo finale dei Grandi numeri.

 

 

Alternanza della natura dei colpi

            Una stoccata andata a buon segno, per giunta anche una solo tentata, sorte uno spiacevole effetto: l’avversario l’ha vista e quindi si è creato un pericoloso precedente storico.

            Un primo ovvio principio tattico è quindi quello di non riproporre subito la stessa azione, altrimenti dovremmo solo puntare sull’ingenuità e sulla sprovvedutezza del nostro avversario. A questo proposito, tuttavia, esiste un’opportunità di estremo coraggio: tirare subito sull’a-voi la stessa azione; ovviamente la regola non vale per il terzo tentativo!

            Trascorso un certo periodo del match, magari intervallato da altre stoccate, ecco che possiamo riproporre la stessa azione, augurandoci però che il nostro avversario abbia la memoria corta.

            Il principio vale, ovviamente per la stessa identica azione e non per la categoria di appartenenza: ad esempio una battuta di quarta e colpo, può essere subito avvicendata da un’altra  battuta ma in questo caso di contro.

 

Esercizi didattici: far disputare agli allievi un assalto e indurli ad attuare i principi tattici appena esposti; ogni colpo andato a buon fine deve essere opportunamente catalogato e commentato.

 

 

Traccheggio

            Un principio tattico di notevole portata pratica è il cosiddetto traccheggio.

            Il fine che persegue questa attività è di paraventare le vere intenzioni di attacco dello schermitore, cioè di sviare l’attenzione dell’attaccato da quella che sarà invece la reale natura della determinazione d’attacco.

            L’inganno si può perpetrare spazialmente, ovvero facendo presumere che l’attacco verrà portato su un determinato bersaglio per poi invece andare a colpire ovviamente quello opposto; ma l’inganno si può anche incentrare sulla meccanica del colpo, ad esempio realizzando un paio di battute per poi invece eseguire una presa di ferro e colpo.

            L’importante è che l’avversario percepisca questi accenni di attività come veraci e che quindi di conseguenza si attrezzi a difendersi con certe modalità, che invece dovrebbero risultare come inadeguate alle caratteristiche del vero attacco.

            L’insegnante deve però mettere anche in guardia l’allievo dai pericoli che il traccheggio comporta di per sé: innanzitutto che la misura più corta per poterlo attuare non venga fulmineamente sfruttata dall’avversario; ma anche che la ritmica dei gesti del traccheggio stesso non suggerisca direttamente all’avversario i giusti tempi per scatenare il suo attacco.

            Mai abbastanza si consiglierà il proprio allievo di utilizzare strumenti come il traccheggio, ma anche come lo scandaglio; il positivo esito che la tattica schermistica persegue, ovvero la riuscita del singolo colpo, dipende da un lungo iter composto: dall’osservazione delle caratteristiche dell’avversario – rinvenimento della contraria più opportuna – dalla dissimulazione del colpo – dall’attesa della sua giusta ambientazione spaziale e temporale – dalla qualità della meccanica esecutiva sommata alla velocità ed alla precisione.

           

           

Azioni garantite

            Non vorrei che il titolo fosse fuorviante: in effetti ad ogni azione corrisponde almeno una possibile contraria; non esiste nella teoria schermistica attuale, tanto per intendersi, il colpo delle cento pistole o la famosa stoccata dei Gonzaga-Newer.

            Un’azione garantita significa invece che essa presenta tutele maggiori rispetto ad un’altra; forse alcuni esempi spiegano meglio il concetto.

            Un colpo tirato tramite una presa di ferro e filo tende a controllare la lama dell’avversario durante il tragitto per giungere a bersaglio; d’accordo, può essere effettuata una cavazione in tempo in esordio di azione oppure una parata di ceduta sul finire, ma almeno si cerca di dominare il ferro avversario sino alla conclusione della stoccata. Stesse considerazioni per una risposta di filo tirata dopo l’esito positivo di una parata.

            Altro esempio: nella stessa botta dritta impostare un’opposizione di pugno rispetto alla linea antagonista, garantisce una copertura sulla stessa.

            Perché non parlare dei fili preceduti da trasporti, le famose fianconate? In pratica da  certi  legamenti ci si sposta tramite il meccanismo del trasporto in un altro e da qui si esegue, come da titolo, un filo finale.

            La maggiore garanzia in questi tipi di colpo è data dal fatto che dal primitivo dominio del ferro assicurato dal legamento, tramite un movimento avviluppante sul ferro stesso senza mai lasciare la presa, si arriva al binario che porta direttamente sul bersaglio avversario. Se già svincolarsi da un legamento o neutralizzare un filo presenta la sua difficoltà, qui è proprio il continuum diversificato nel tempo che rende ancor più difficile sottrarsi al dominio della lama attaccante.

            Continuando, il meccanismo più garantito è sicuramente quello del controtempo: in effetti l’imbuto tecnico che viene creato ad arte, dovrebbe dare le migliori garanzie di sicurezza (ovviamente finta in tempo a parte).

            La conoscenza da parte dell’allievo delle maggiori caratteristiche  garantiste di questi colpi può essere di grande utilità in chiave tattica in particolari condizioni come ad esempio una situazione di marcato svantaggio nel punteggio oppure in genere nella specialità della spada, dove, come sappiamo, le regole di combattimento sono più liberali che nelle armi convenzionali.

 

 

Azioni di attacco semplice

            Come sappiamo questo tipo di azioni ha lo scopo di battere in velocità l’avversario non concedendogli, almeno nei desiderata dell’attaccante, una compiuta reazione difensiva: l’attacco si basa in effetti su tre elementi costitutivi, che sono la sorpresa, l’ignoranza della meccanica di attacco e l’ignoranza del bersaglio destinatario del colpo.

            Ciò che induce a scegliere questo tipo di aggressione è la valutazione di essere in possesso di una velocità esecutiva superiore a quella reattiva di difesa dell’avversario, velocità magari valorizzata anche da un’ottimale scelta di tempo e misura.

            L’insegnante deve far ben comprendere all’allievo che questa deve assolutamente essere la prima opzione da prendere in considerazione dopo essere venuti a conoscenza delle peculiarità dell’antagonista; in questo caso ovviamente valore prioritario sarà quello di mettere in relazione la propria velocità con quella di quest’ultimo; ovviamente l’esito di questo rapporto sarà di fondamentale importanza.

            A questo proposito si dovrà far presente all’allievo che un principio tattico fondamentale è quello di cercare sempre di dare la precedenza nella scelta della contraria alle azioni eseguibili con la meccanica più semplice; questo per vari ovvi motivi: il primo perché appunto l’esecuzione è più stringata, il secondo perché di conseguenza l’azione è più rapida e, cosa importantissima, l’avversario non è coinvolto, anzi deve proprio rimanere estraneo all’azione.

 

Esercizi didattici: il conduttore alternerà vari tipi di velocità sia di deambulazione che di attività del braccio armato; l’allievo dovrà esercitarsi a valutare queste velocità e solo di caso prodursi in un attacco semplice.

           

 

L’attacco in contropiede

            La meccanica difensiva che contempla un calibrato arretramento del difensore, sia nel caso di pura difesa di misura oppure di difesa mista, ci permette un collegamento interattivo con una particolare tipologia di attacco, l’attacco in contropiede.

            Ricordate quando i trattati tra gli elementi fondamentali della scherma oltre la misura e la velocità parlano di scelta del tempo? Ebbene l’attacco in contropiede ne rappresenta un plastico esempio.

            In effetti, se il nostro avversario ci ha attaccato e noi siamo riusciti a non farci raggiungere dal suo colpo, possiamo approfittare del fatto che di norma egli deve ritornare in guardia, occupando in simultanea tutti i suoi arti in un non indifferente sforzo muscolare; ebbene, se il nostro arretramento lo abbiamo eseguito con un balzo all’indietro, potremmo approfittare della dinamica del gesto per caricare le nostre gambe ed effettuare il nostro attacco magari di frecciata nel preciso istante del suo ritorno in guardia; minore intervallo temporale ci sarà tra la conclusione dell’attacco e l’inizio di quello in contropiede, più si avranno probabilità di successo.

            Dal punto di vista tattico questa tipologia di colpo non è tanto e solo importante per la sua meccanica pur semplice, ma anche e soprattutto perché allena ottimamente l’allievo nella scelta del tempo.

 

Esercizi didattici: il conduttore esegue una serie di attacchi, invitando l’allievo ad eseguire il contropiede; ma, dopo una fase iniziale, alterna in modo costante la velocità dei suoi avvicinamenti per sollecitare un sempre diverso adeguamento nella scelta del tempo. Qualche volta deve anche tirare a toccare l’allievo, cercando di sorprenderlo.

 

Azioni composte

            Quando si hanno dubbi sulla propria velocità in relazione a quella dell’antagonista o, peggio ancora, lo si è già verificato pagando stoccate di pedaggio, è necessario ricorrere alle azioni composte cioè a quelle dotate di finta, che serve appunto a depistare la difesa avversaria.

            L’insegnante deve far comprendere all’allievo che un principio tattico importante è quello di utilizzare questa tipologia di azione solo ed esclusivamente quando si è indotti dalla propria minor velocità rispetto all’avversario: in effetti il colpo diventa più complesso meccanicamente e di conseguenza di più lunga esecuzione, ma soprattutto perché l’antagonista viene direttamente coinvolto nel divenire dell’azione e perché non si hanno garanzie certe che abbia nel tempo le stesse risposte difensive, di cui magari ci siamo fatti un’idea grazie al nostro scandaglio o a conoscenze pregresse sul suo tipo di scherma. In una domanda: cosa accade, se in una progettata azione di finta dritta e cavazione, il nostro avversario non para come tutto faceva presagire di tasto, ma di contro?! Oppure se si produce in un’uscita in tempo?!

 

Esercizi didattici: sullo scandaglio dell’allievo l’insegnante deve riprodurre la stessa identica parata, questo sino a quando l’allievo stesso non ci avrà costruito sopra un’azione composta; poi si ricomincia, naturalmente variando la tipologia della parata e così via.

 

 

Azioni di doppia finta

            Se già le azioni con una finta prospettavano tutte quelle difficoltà che abbiamo poco sopra elencato, figuriamoci le azioni di doppia finta.

            La meccanica diventa quella di un frullino (!), la durata si approssima alle celebri calende greche e l’alea del tipo di parata effettivamente messa in campo dall’avversario raddoppia pari pari, in quanto i movimenti difensivi sono due; considerato poi che la natura delle parate è duplice (parate semplici e parate di conto), le possibili successioni diventano addirittura quattro: due parate semplici, due di contro, la prima semplice e la successiva di contro, la prima di contro e la successiva semplice (quindi una specie di lotteria!).

            Un semplice principio tattico a questo proposito suggerisce un bel colpo d’arresto, che, in questo svolazzare di lame, ha quindi tutto il tempo d’interrompere la lunghissima azione. In effetti sulle pedane molto raramente (o mai!) si vedono azioni di doppia finta: l’atleticizzazione dello schermitore e l’inflazione dei colpi portati di fuetto le hanno relegate alle pagine del trattato di scherma, che ne parla doverosamente per sistematicità e completezza espositiva.

            L’utilizzo di queste complesse circonvoluzioni dei ferri ha comunque una residua applicazione in sede di lezione: in effetti questi indotti e precisi movimenti sono molto utili per sviluppare prima e mantenere poi il cosiddetto portamento dell’arma, ovvero il miglior modo per gestire il proprio ferro nello spazio.

 

Esercizi didattici: in quest’ultima ottica il conduttore può concordare con l’allievo una serie numerosissima di doppie finte (se ho fatto bene i conti ben 64, tenuto conto degli attacchi semplici, dei quattro bersagli e della casistica delle parate).

 

 

L’attacco nelle armi convenzionali

            Uno studio sulla tattica non può non tener conto della bipartizione esistente nella nostra disciplina tra le armi convenzionali e la spada, che invece è arma da terreno.

            Indubbiamente il fatto che il Regolamento riconosca all’attacco, naturalmente portato con i richiesti crismi, la priorità di giudizio nella ricostruzione del fraseggio ci obbliga ad una serie di considerazioni aggiuntive.

            L’attacco, magari con una similitudine un po’ forzata, è una specie di apertura dell’ala nella formula 1: ti permette di per sé di prevaricare l’avversario; il giochetto è ben noto soprattutto agli sciabolatori, che spesso inanellano una lunga serie di attacchi simultanei.

            Il trucco, a molti pare tale, è quello di iniziare uno spostamento in avanti e, laddove l’avversario produca un affondo su questo nostro avanzamento, si deve produrre a nostra volta l’allungo: la nostra versione è che l’attacco lo produco io e l’avversario tira sul tirare.

            Comunque la trappola con trucco purtroppo scatta quando la qualità dell’arbitro è ancora sotto la sufficienza: in effetti basta osservare l’attività del braccio armato, che per rendere idoneo l’attacco, secondo il Regolamento impone la sua naturale e completa distensione, unitamente alla concomitante minaccia di un bersaglio valido.

            Il ché non è solo giusto, ma anche logico; il Regolamento non è altro che un mirato sistema di pesi e contrappesi: la Convenzione attribuisce la priorità all’attacco, ma questo deve mettere in condizione chi lo subisce di poter reagire con una parata, cosa che indubbiamente non può fare se la lama gli viene negata tenendola furbescamente all’indietro e in una posizione geometrica che, non preoccupandosi di minacciare un bersaglio, risulta ancor più irraggiungibile.

            L’insegnante, a mio parere, non dovrebbe insegnare questi trucchetti non degni di un incontro vis a vis e addirittura sconsigliare l’allievo che ci pervenisse per traverse vie; ma ho già detto anche troppo, perché questo lavoro non è certo sull’etica schermistica.

            Magari, ed ecco l’interesse tattico, è quello di far capire all’allievo di non cadere eventualmente in questa trappola recitata ad arte, soprattutto tenendo conto delle qualità dell’arbitro che sta conducendo il match, come ricordavo appena sopra.

            Se proprio si decide di intervenire sul falso attacco si deve suggerire tatticamente magari un’uscita in tempo basata sulla schivata, cioè un’inquartata o una passata sotto.

            Comunque è possibile fare un’interessante considerazione finale: se attaccando correttamente, verifichiamo che il nostro avversario è solito tirarci addosso, allora possiamo disinteressarci di evitare la sua difesa col ferro che non viene realizzata e concentrarci invece sul bersaglio nel senso di prestare la massima attenzione al fatto di raggiungere l’avversario. In questo caso si verrebbe quindi a configurare un controtempo sui generis, dove chi lo imposta non deve eludere la lama avversaria, ma porsi solo la questione di colpire direttamente l’avversario.

 

Esercizi didattici: il conduttore produce una serie di diversi attacchi “truccati” e stimola l’allievo alla ricerca e attuazione dell’uscita in tempo più idonea; poi al contrario, tirerà sul tirare del suo allievo.

 

Schemi tattici di attacco

            Non siamo né su un campo di pallacanestro, né di calcio, ma credo sia possibile trasmettere all’allievo la capacità di costruirsi un personale schema tattico di attacco da reiterare nel tempo.

            Ma cosa è uno schema tattico? Non è altro che una successione di colpi, inseriti in logica sequenza.

            Un esempio per comprendere meglio: siamo nella specialità della spada – produco un colpo al piede – che sia o meno giunto a bersaglio, ciò è recepito dal mio avversario, che ora è ovviamente pronto a reagire se la cosa dovesse ripetersi – dopo un certo lasso di tempo, ma non troppo lungo, questa volta faccio solo una finta al piede – se questa è congrua, la risposta indotta dell’avversario dovrebbe generarsi con un colpo d’arresto magari in riunita per sottrarre il piede al colpo – approfittando del precario equilibrio del mio avversario, prendo il ferro e da buon spadista eseguo un filo sino al bersaglio.

            Voi direte: ma la meccanica è quella di un controtempo; sì, la meccanica, ma l’ambientazione tattica poggia tutta sul primo tentativo di colpo al piede.

            Tra l’altro, mettetevi nelle condizioni mentali di colui che subisce questo schema tattico, e pensate a cosa fareste, se lo schema fosse ancora riproposto! Potreste rispondere: esiste la pur complessa finta in tempo. Intanto lo schema fisso contempla nella seconda applicazione che la presa di ferro non sia più di tasto, ma di contro; in tal modo, come sapete, il ferro avversario sarebbe comunque imbrigliato.

            A questo punto l’avversario dovrebbe trovarsi in un pur relativo stato confusionale, in quanto uscire tecnicamente dallo schema appena sopra esposto appare alquanto complicato.

            L’insegnante deve deliberatamente invitare l’allievo a riferirgli gli eventuali schermi che è riuscito ad elaborare; in tal modo esso può partecipare in modo attivo allo sviluppo del suo sistema tattico.

           

      La difesa

            La difesa è la contromisura tecnica di colui che subisce un attacco: in questa attività due sono gli scopi da perseguire.

            Il primo, di vitale importanza, consiste nel riuscire ad evitare di essere raggiunto dal colpo dell’attaccante; il secondo, opportuno soprattutto per pareggiare le probabilità statistiche del colpo, consiste nell’approfittare della situazione spaziale che si è venuta a generare per cercare di colpire di rimando l’avversario.

            Quest’ultimo concetto è importantissimo e ogni occasione persa in questa situazione è da considerarsi un grave errore tattico.

            Come sapete ci si può difendere con varie metodologie e le andremo velocemente di nuovo a ricordare; tuttavia prima è doveroso esprimere un principio tattico difensivo della massima importanza: come del resto abbiamo già visto per l’attacco, anche per la difesa la parola d’ordine per lo schermitore è quella di variarla il più possibile; in effetti avere delle abitudini tecniche ricorrenti è un vantaggio che è sconsigliabile offrire già in partenza all’avversario. Il principio si concretizza non solo variando la tipologia di parata (semplice, di contro, di mezza contro, se di caso di ceduta), ma anche proprio la stessa metodologia difensiva: quindi difesa solo di misura, col ferro, mista o addirittura con una uscita in tempo commisurata al tipo di attacco; con una battuta potremmo dire che il difensore dovrebbe rappresentare per l’attaccante il celeberrimo mistero della Sfinge.

            In tal modo non solo avremo più probabilità di successo nelle nostre azioni difensive, ma andremo anche ad inibire le velleità di attacco in generale del nostro antagonista, scoraggiando in partenza tutte le sue iniziative in questa direzione.

            Esaminiamo ora le varie tipologie di difesa.

            La prima, la cosiddetta difesa di misura, è la più ovvia e la più spontanea, si attua arretrando quel tanto da riuscire a sottrarsi alla gittata dell’attacco dell’avversario, ovviamente questo si può fare avendo a disposizione alle proprie spalle uno spazio acconcio. Questa modalità, che quindi si avvale solo delle proprie prestazioni atletiche, ha però una controindicazione in quanto, allungando o comunque tendendo a mantenere l’originaria misura di tutela, impedisce all’attaccato di poter colpire a sua volta l’attaccante; unica eccezione è l’attacco in contropiede del quale abbiamo già parlato altrove in questo lavoro.

 

Esercizi didattici: il conduttore produce una serie di attacchi di varia natura e l’allievo deve riuscire a non farsi raggiungere solo mediante il proprio arretramento.

 

            La seconda metodologia si avvale dell’intervento del proprio braccio armato: la cosiddetta difesa col ferro si propone di intercettare la lama dell’avversario al momento opportuno per deviarla poi dalla traiettoria dell’originario bersaglio.   Il gesto è tecnicamente complesso in quanto esige sia una scelta di ordine temporale, sia di ordine spaziale in ordine all’esecuzione dell’avversario.

            Dopo il felice esito della parata, in quanto l’avversario si è dovuto produrre in un avvicinamento, il suo bersaglio risulta per un breve istante a portata del difensore, che così è in grado di attuare la sua vendetta, restando nella sua comoda ed equilibrata postura di guardia.

            Non è questa la sede per descrivere tutte le varie tipologie di parata; è invece opportuno fare alcune considerazioni di carattere generale.

            Ribadiamo ancora una volta che ogni parata non seguita dalla relativa risposta è veramente una ghiotta occasione tattica persa.

            Parimenti, anche questo l’abbiamo già detto poco sopra, è necessario variare in continuazione la tipologia delle nostre parate: in tal modo avremo la possibilità di tentare di inibire già in partenza la meccanica dell’attacco avversario; a questo proposito sia sufficiente ricordare che una parata di contro, grazie alla sua traiettoria spaziale, blocca comunque l’effettuazione di una cavazione eseguita dall’avversario.

            Va sottolineato il fatto che una parata di cosiddetto tasto genera l’opzione di poter rispondere sia a ferro libero, ma anche tramite un filo; mentre una parata di cosiddetto picco, che si risolve solo in una percussione del ferro avversario, interdice proprio meccanicamente la risposta di filo.

            Inoltre che una parata di contro, che appare forse meno istintiva di una parata semplice e che ha un tempo di esecuzione più lungo rispetto ad una di tasto, tuttavia crea nello spazio un esteso cono che dà la possibilità di  intercettare tutto quello ci transita all’interno.

            Infine che sarebbe fruttuoso creare un’istintiva meccanica composta dalla rapida successione di due parate diverse: se la sensibilità tattile segnalasse che la prima è andata a vuoto, allora interverrebbe la seconda per tutelarci a questo punto da un attacco composto dell’avversario. Ovviamente per i discorsi che abbiamo fatto poco sopra le meccaniche dovrebbero essere almeno un paio per non concedere all’antagonista alcuna sicurezza di sorta.

 

La difesa mista

            Se l’attacco è particolarmente veemente oppure ci si è accorti dello stesso con un leggero ritardo, allora utilizzeremo il combinato disposto delle due precedenti metodologie difensive, la cosiddetta difesa mista.

            Niente di particolare da segnalare, tranne il fatto di applicarla solo in caso di manifesta necessità; in effetti distanziandoci eccessivamente dall’avversario potremmo colpevolmente porlo fuori della gittata della nostra sacro santa risposta.

 

Esercizi didattici: il conduttore deve riprodurre i suoi attacchi in coppia per consentire all’allievo di differenziare sempre la tipologia delle sue parate (semplici e di contro, di tasto e di picco, di ceduta), tirando ovviamente su tutti i bersagli.

            Incalzerà opportunamente più o meno l’allievo per differenziare il caso della solo parata e di quella invece mista. Effettuerà anche degli attacchi composti in modo da allenare l’allievo nel meccanismo della duplice parata in rapida successione.

 

 

Le uscite in tempo

            Sappiamo che l’attacco dell’avversario può essere inibito anche da particolari colpi difensivi-offensivi: le uscite in tempo.

            La prima osservazione da fare è che mentre la difesa col ferro seguita dalla risposta si concretizza in due scansioni ben distinte, appunto la deviazione del colpo e la risposta stessa, l’uscita in tempo condensa questa speciale difesa in un solo istante tecnico; quindi sotto un’ottica squisitamente tecno-tattica la stoccata, pur presentando ovviamente come tutte le altre un certo tasso di difficoltà, ha il vantaggio di sunteggiare al massimo la propria azione.

            Inoltre, come sappiamo, un’uscita in tempo è letteralmente costruita sulle caratteristiche dell’attacco dell’avversario e sui suoi tempi di realizzazione; quindi è, forse ancor più di ogni altro colpo, avversario-dipendente.

            L’insegnante dovrà far capire all’allievo che, trattandosi di una meccanica di colpo alquanto ardita, la determinazione risulterà uno egli elementi portanti, come se già non lo fosse per tutte le altre stoccate.

            La valenza tattica importantissima della uscita in tempo è rappresentata dall’alternativa che concede all’attaccato: in effetti come abbiamo già considerato altrove è di fondamentale importanza poter variare il tipo di risposta difensiva al fine di aumentare l’alea dell’attacco stesso.

            Ricordiamo le uscite in tempo di più attuale applicazione: il colpo d’arresto, l’elusione in tempo, la contrazione, le schivate cioè l’inquartata e la passata sotto;  cerchiamo di carpirne le ottiche tecnico-tattiche.

            Il colpo d’arresto tende ad inibire le azioni composte: i tempi tecnici possono essere bruscamente interrotti e in qualche caso addirittura la traiettoria della lama antagonista risulta geometricamente bloccata.

            L’elusione in tempo, nella versione cavazione in opposizione alle prese di ferro attuate tramite movimento semplice e nella versione circolata in opposizione alle prese di contro, sono lo spauracchio degli attacchi sul ferro tentati dall’avversario; una specie di gioco di acchiappino tra le due lame.

            La contrazione che, sfruttando il magico effetto creato dal celebre e redditizio angolo al polso, indirizza la linea di attacco dell’avversario sulla tangente e la manda, se me lo concedete, a caccia di farfalle; di conseguenza anche chi tira una elementare botta dritta non può dormire tranquillo.

            L’inquartata e la passata sotto, un sostanziale gioco a nascondino tra il proprio bersaglio e la lama dell’avversario; già i bersagli si spostano in avanti e all’indietro, ora si mettono anche a defilarsi.

            Le uscite in tempo, forse più di ogni altra contraria, ci fanno intuire quanta alea abbiano le determinazioni di attacco degli schermitori; e tutto ciò è linfa vitale per la tattica schermistica, dove nei modi più diversi e personalizzati dalle diverse sensibilità la teoria schermistica si immerge fisicamente nello spazio e cronometricamente nel tempo. Una specie di poker sportivo, dove per andare a “vedere” l’avversario e necessario prima cogitare e poi osare.

                                 

Le azioni ausiliarie

            Al di fuori delle categorie sistematiche in cui ogni buon trattato cataloga le diverse tipologie di azioni di attacco, troviamo le cosiddette azioni ausiliarie; esse trovano la loro particolare ragion d’essere o in difetti posturali dell’avversario oppure per il fatto di essere colpi del tutto estemporanei.

            Sotto l’aspetto tattico possono talvolta avere una certa importanza, in quanto, essendo molte di esse desuete, possono spiazzare l’antagonista che non le conosce; citiamone qualcuna per nostra scienza.

            Tirare di quarta bassa significa approfittare di un vistoso difetto difensivo dell’avversario, che è solito effettuare la parata di quarta non in linea con il sottostante bersaglio da tutelare, ma con coordinate sfalsate verso il suo petto; di conseguenza la linea d’attacco al fianco diventa una specie di autostrada senza casello ed è quindi naturale ed utile percorrerla quanto più si può. Ecco che in questo caso la tattica, come accennato poco sopra, va a sfruttare un errore posturale dell’antagonista.

            Per quel che riguarda il contatto tra i ferri, un’altra azione ausiliaria è il cosiddetto sforzo: tutti sanno che il rapporto tra i ferri può avere una certa pur minima costanza ed ecco allora il legamento oppure si può risolvere in una percussione ed ecco la battuta; invece lo sforzo ha una dinamica tutta particolare in quanto la lama, che prima si è leggermente innalzata, prende contatto con la sua parte mediana con quella debole dell’avversario e poi ci striscia sopra sfruttando una certa energia del polso; l’effetto è tutto particolare e chi lo subisce lo avverte distintamente nel suo polso armato che, proprio perché la dinamica è insolita, ne resta quasi disorientato. Ecco che in questo caso la tattica approfitta della configurazione insolita di un colpo e fornisce allo schermitore che la applica uno strumento per basare sulla sorpresa il suo colpo.

            Il filo sottomesso colpisce soprattutto per la sua denominazione, che richiama qualcosa di misterioso e di mellifluo: come sapete non è altro che il ribaltare un legamento effettuato in modo erroneo dall’avversario rispetto ai prescritti gradi dominanti; la Fisica interviene, da mal dominati diventiamo noi dominatori e a questo punto colpiamo il nostro antagonista forse con lo stesso colpo che stava per effettuare lui: chi di filo erroneo colpisce, di filo corretto perisce, si potrebbe sintetizzare sotto forma di detto.        Ecco un altro caso il cui la tattica, intelligentemente, costruisce le sue fortune sugli errori dell’avversario.

            Il disarmo lo ricordo per il fascino che solo il termine suscita, ma che in concreto, come sappiamo, determina l’alt dell’arbitro che deve sospendere il match quando lo schermitore non è in grado di difendersi. La meccanica prevede una presa di ferro e poi una specie di sforzo (che abbiamo appena esaminato) che produce maggiore energia in quanto la lama dell’esecutore imprime a quella avversaria un movimento spirale all’infuori o verso il basso. Se vi chiamassero a girare un film di cappa e spada sapete benissimo come fare.

            La ripigliata o ripresa d’attacco di allungo non è altro che un sotterfugio per riguadagnare misura nei confronti dell’avversario: in effetti, se quest’ultimo in occasione di un nostro attacco reagisce solo indietreggiando, allora possiamo ritornare in guardia non con la gamba avanti, bensì con quella dietro e sviluppare immediatamente un nuovo colpo tramite un rinnovato affondo. Ecco che tattica approfitta anche della spazialità.

            Per concludere, l’importanza tattica delle azioni ausiliarie risiede, tramite l’arricchimento del proprio bagaglio tecnico, nel non lasciar nulla al caso e di essere in grado di sfruttare ogni opportunità tecnica che si viene a configurare durante il combattimento sulla pedana, anche tramite colpi forse colpevolmente rubricati come desueti e quindi spesso dimenticati.

            Inoltre lo stesso concetto di ausiliaria accende già di per sé la fantasia dello schermitore e, a completamento delle azioni diciamo classiche, lo sprona, naturalmente a tempo debito, a ricercare sempre nuove soluzioni anche di carattere personale; così facendo si possono tracciare nuovi sentieri tecnico-tattici e magari aggiungere nuove pagine ai trattati, che, a questo proposito, dovrebbero lasciare a loro conclusione qualche pagina ancora in bianco.

            In effetti credere che la teoria schermistica sia ormai tutta esplorata e teorizzata è un errore che non si deve commettere: anche perché una novità tecnica non necessariamente consiste nella scoperta ex novo di meccaniche e/o traiettorie, ma può anche risiedere nell’adattamento personale a certe componenti tecniche di un colpo già noto.

            Dopo il giusto periodo di incubazione tecnica, ogni schermitore giunto a maturazione deve, anzi ne ha il pieno diritto, di personalizzare quanto il maestro gli ha comunicato in precedenza: salvo verifica, mai si dovrà scoraggiare la sua fantasia ed estro.

 

Esercizi didattici: l’insegnante assumerà quei difetti posturali del braccio armato, che stanno all’origine dei colpi ausiliari, stimolandone l’esecuzione da parte dell’allievo.

            Allo stesso modo, alludendo alle ausiliarie, inviterà l’allievo stesso a produrre “qualcosa di diverso” rispetto alle normali e classiche stoccate.

 

 

Le azioni di prima e di seconda intenzione

            L’addestramento dell’allievo per quel che concerne l’attacco inizia ovviamente con le azioni di cosiddetta prima intenzione: in effetti nella costruzione della logica schermistica l’attacco è percepito inizialmente come prevaricazione della difesa avversaria; che poi lo sia in forma semplice, ovvero con attacchi che tendono a sorprenderla, oppure in forma composta, cioè utilizzando la finta per destabilizzarla, poco conta; in altre parole la filosofia tecnica è quella di prevaricarla in prima battuta.

            Ma sussiste anche un’altra meccanica più subdola: non cerco di ingannare la difesa, ma ne cado artatamente vittima, per poi dar vita prontamente ad un’idonea contraria; da ciò appunto la denominazione di azioni di seconda intenzione.

             L’esempio storico dei trattati è quello in cui chi prende l’iniziativa, percepito che la velocità di risposta dell’avversario è inferiore alle virtù temporali della propria contro-risposta, si fa intercettare il colpo dall’avversario per poi colpirlo come sopra descritto di rimando.

            Indubbiamente è un colpo alquanto farraginoso, ma nel commentarlo non dobbiamo trascurare il fatto che un trattato di scherma proprio per la sua natura deve essere esaustivo rispetto a tutte le possibilità tecniche prefigurabili.

            Del resto questo genere di stoccata ci permetterà didatticamente di cercare di valorizzare e stimolare nel nostro allievo la capacità di contro parata nel malaugurato caso che l’avversario sia riuscito a intercettare la sua lama.

 

Esercizi didattici: il conduttore farà eseguire degli attacchi al suo allievo e, spesso ma non sempre, eseguirà una propria parata e risposta; poi lo stimolerà a realizzare una serie di specifiche seconde intenzioni; il tutto sarà molto proficuo in chiave di allenamento del ritmo e della velocizzazione del braccio armato.

           

Il controtempo

            Questo colpo, come sappiamo, è la versione più tecnica delle azioni di seconda intenzione di cui abbiamo appena parlato: in questo caso, appurata la tendenza dell’avversario ad uscire in tempo, si simula un proprio attacco, appunto non per cercare di toccarlo direttamente, quanto piuttosto per indurlo  a tirarci addosso la sua stoccata, che abbiamo già cogitato come neutralizzare, per poi portare subito dopo la nostra botta definitiva.

            In questo caso siamo quasi ai confini della galassia della teoria schermistica e quindi il bagaglio tecnico del nostro allievo dovrà essere già completo e di una certa qualità esecutiva.

            Didatticamente è una grossa opportunità per appassionare ulteriormente lo schermitore: il fascino deriva non solo e tanto dalla complessità dei movimenti, che quindi richiede un discreto spazio temporale di esecuzione, quanto piuttosto sul fatto che si costruisce il colpo sull’interpretazione delle intenzioni dell’avversario.

            La scansione è questa: sono al corrente che esci in tempo, allora fingo di attaccare, attendo il tuo colpo, lo neutralizzo e finalmente spero di colpirti; questo meccanismo deve svilupparsi in modo compiuto e secondo la prescritta tempistica, altrimenti la stoccata fallisce.

            La didattica del colpo si basa sul sezionare le varie fasi, fermarsi alla prima e ripeterla qualche volta, per poi passare alla seconda e ripetere lo stesso tipo di operazione, sino a giungere all’intero compimento dell’iter tecnico.

            L’allievo deve capire che la tattica del controtempo si basa soprattutto sullo stimolo tecnico iniziale perpetrato da chi lo vuole attuare: ad esempio un tentativo di legamento, magari reiterato più volte, induce l’antagonista ad effettuare una cavazione in tempo; l’allievo deve capire che è necessario vigilare attentamente sul quando l’avversario “abboccherà”, per poi avere già escogitato il modo per annullare il suo colpo (per seguire l’esempio, con una presa di ferro) e poi finalmente tirare il colpo finale, se di filo meglio perché è un notevole meccanismo offensivo – difensivo.

            Se l’allievo è uno spadista, il controtempo è di più ricorrente attuazione in quanto in questa specialità la regola di combattimento è la sola precedenza temporale della stoccata, per cui il colpo d’arresto dovrebbe essere una specie di costante come quella di Planck nella fisica.

            Quindi, ad esempio, una bella finta di colpo al piede dovrebbe far scattare in automatico l’allineamento del braccio armato dell’avversario; a questo punto, dopo un’acconcia presa di ferro, è possibile tirare il nostro colpo finale.

            Dobbiamo far capire al nostro allievo una cosa molto importante: il meccanismo del controtempo è basato su un’induzione del colpo avversario; e questa è una cosa molto importante in quanto, come abbiamo già detto in altra parte di questo lavoro, l’alea dell’attacco è proprio quella di non sapere mai a priori il tipo di reazione dell’antagonista; in questo caso viene invece configurato una specie di imbuto tecnico, dove quasi con certezza cadrà la lama avversaria.

            Perdipiù il falso attacco andrà portato a velocità quasi ridotta e con modalità errate di misura e postura di braccio armato, ciò al fine di attirare ancor più l’ignaro antagonista nella predisposta trappola tecnica.

            Come capita sempre però nella teoria schermistica con tutte le tipologie dei colpi, i vantaggi del controtempo sono da ripartire equamente con gli svantaggi: innanzitutto perché esiste la contraria specifica della finta in tempo e perché il meccanismo è veramente complesso.

           

                           

La finta in tempo

          La frase “Tu non credei ch’io loico fossi” detta dal diavoletto a Dante, sembra l’incipit tecnico della finta in tempo: in effetti abbiamo a che fare con una logica spazio-temporale veramente sopraffina.

            L’ultima delle contrarie, come la definiva un mio maestro; in effetti per annullare un controtempo, a parte di non accettare lo scambio arretrando, non esiste altra soluzione tecnica.

            Se già il controtempo ha una meccanica complessa, la finta in tempo aggiunge ovviamente un’altra tessera al mosaico del fraseggio schermistico: A simula l’attacco, B non esce in tempo ma esegue solo una simulazione, A attua il preconfigurato meccanismo per annichilire il colpo di B, B elude o comunque neutralizza quest’ultimo meccanismo, B finalmente colpisce A.

            In pratica si tratta di far cadere in trappola chi la trappola la predisponeva: io so che tu sai è il substrato filosofico del colpo, materia da Sofista.

            L’insegnante ha il compito di rivelare al momento di giusta maturazione dell’allievo questa verità tattica: o apprendi e meccanicizzi la finta in tempo o potrai essere facile preda del tuo avversario esperto di controtempo.

            E’ un colpo, fatemelo affermare, fantastico: oltre non si può andare, ma solo ricascare nel normale botta e risposta tra schermitori.

            Insegnare la finta in tempo è roba da orologiaio svizzero: la tempistica ed anche la spazialità dei movimenti delle lame deve essere pressoché perfetta, altrimenti il meccanismo ovviamente si inceppa.

            La metodologia d’insegnamento anche in questo caso consiste nel frazionamento dei singoli passaggi tecnici, passando dall’uno all’altro tramite una successione di fasi, sino a giungere ovviamente allo svolgimento dell’intero meccanismo.

 

La specialità della spada

            Rispetto al fioretto e alla sciabola è incontestabile il maggior tasso tattico che presenta la specialità della spada; ciò in dipendenza di due specifici fattori, di cui il primo è rappresentato dalla mancanza di qualsiasi convenzione schermistica che non sia quella della pura precedenza temporale del colpo; il secondo per la presenza della possibilità dell’attribuzione del cosiddetto colpo doppio quando i bersagli sono praticamente colpiti in contemporanea giusta la tolleranza regolamentare.

            Riguardo all’assenza di Convenzione è importante sottolineare il fatto che il momento del giudizio dell’arbitro è alquanto poco invasivo in quanto limitato alla sola questione di quando dare l’alt in concomitanza del corpo a corpo o casi similari; mai una ricostruzione errata potrà ovviamente ribaltare l’attribuzione della stoccata, che, a ben pensare, vale due punti in quanto non solo ne attribuisce uno a chi non se lo merita, ma ne toglie anche uno al legittimo destinatario.

            Questo è molto importante da un punto di vista tattico in quanto lo spadista non dovrà preoccuparsi affatto della sensibilità di un arbitro rispetto ad un altro circa la valutazione dell’ossequio delle condizioni che un attacco deve avere rispetto alle norme regolamentari oppure, nell’altra ottica di pedana, delle caratteristiche di un’uscita in tempo. In effetti i maestri di fioretto e sciabola invitano i propri allievi a tener d’occhio sin dalle prime stoccate l’interpretazione del Regolamento di cui ogni arbitro è depositario: inutile continuare ad eseguire uscite in tempo, se poi non ne riconoscono la valenza.

            Riguardo invece il colpo doppio, si aprono scenari molto interessanti: come sappiamo nella spada l’incremento di punteggio non avviene solo per singola stoccata, ma ci può anche essere la condivisione del colpo.

            Considerare il colpo doppio solo in ottica squisitamente strategica è, a mio parere, alquanto riduttivo: in effetti è poi la tattica che in pratica lo realizza.

            Il maestro di spada deve far capire all’allievo che dall’istante in cui si trova in vantaggio anche di una sola stoccata scatta nella potenziale conduzione del match una specie di switch: in realtà si inserisce tra gli elementi che concorrono a  determinare l’esito di ogni singolo colpo una nuova variabile, appunto la possibilità di poter sfruttare la ripartizione del punteggio.

            Si tratta a questo punto di ripartire sotto due punti di vista tattici le tecniche spazio-temporali che portano al colpo doppio: chi è in testa deve saperne approfittare, chi invece si trova in svantaggio deve saperne guardarsi. In effetti uno dei due schermitori può optare per due soluzioni, colpo singolo o colpo doppio, mentre l’altro ne ha a disposizione solo una; e questo, si intenda bene, non vale solo per l’ultima stoccata magari allo scadere del tempo regolamentare, bensì per quanto persiste la durata del vantaggio di punteggio.

            Ecco che ancora una volta la tattica deve saper scegliere nelle disponibilità della tecnica gli strumenti più idonei.

            Chi vuol cercare di mettere un colpo doppio ha varie opzioni: – come si dice, tirare sul tirare, tenendo comunque in debita considerazione la reciproca lunghezza dei due bracci armati; chi invece lo vuole evitare deve assolutamente parare e rispondere – se l’avversario è solito arrestare e non parare, allora può sferrare un attacco anche a ferro libero; invece chi vuole evitare il colpo doppio deve ovviamente attaccare utilizzando esclusivamente il filo, meccanismo che tende a tenere a bada la punta avversaria – se l’avversario para e non risponde di filo, può attuare una specie di seconda intenzione attaccando e poi rimettendo subito appena l’antagonista lascia il suo ferro.

                                                                                                                                  

           

Conclusioni

            Alla fine di ogni mio lavoro vengo preso da dubbi circa il fatto di essere stato sufficientemente esaustivo rispetto ai temi che mi sono proposto di illustrare.

            Invero la nostra disciplina è un vero e proprio coktail di elementi: oggettivi come la geometria e la fisica a cui cerca di attenersi al meglio il braccio armato dello schermitore, ma anche soggettivi come il proprio bagaglio tecnico, la propria fisicità, il proprio profilo psicologico, i gusti e le convinzioni.

            La teoria schermistica non è solo qualcosa di razionale, di formale e di impersonale: la sua obbligata trasposizione che ogni schermitore fa dalle pagine di un qualsiasi trattato alla realtà di pedana, la rendono al contrario qualcosa di vivo e palpitante, diciamo di umano. Il match è la summa di tutte queste diverse dimensioni.

            Ed in questa prospettiva credo di avere fatto quello che è un dovere di ogni appassionato: comunicare agli altri le sue idee e soprattutto i suoi sentimenti, nella speranza di aver creato nuove opportunità di conoscenza e soprattutto di avere stimolato nuovi interessi culturali anche al di fuori dell’attività agonistica pura e semplice.

            Tecnica, tattica e strategia, tre facce di un’unica pietra preziosa: la Scherma.

                                                                                                      M° Stefano Gardenti